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Sullivan si avvicinò lentamente al letto. Non voleva disturbarla nonostante si rese conto che sarebbe stato impossibile. Era sedata in modo che dormisse, e nemmeno una mandria nella sua stanza l’avrebbe svegliata. A volte sperava fosse stato così. Doveva vedere i suoi occhi aprirsi, e udire la sua voce impertinente tirare fuori vecchie storie.
Non aveva voluto allontanarsi da Lana, ma qualcun altro l’aveva fatto uscire dalla stanza. Sua madre aveva più diritto a stare accanto alla figlia, ma nessuno di loro comprendeva. Da quando Lana era stata ricoverata, lui era stato a malapena in grado di funzionare. Tutti pensavano che se ne fosse andato, ma si faceva semplicemente vedere meno quando c’era qualcuno. Non poteva fare in modo che si rendessero conto di quanto terrore aveva riempito il suo cuore quando era venuto a sapere del suo incidente d’auto. Se ci fosse stata anche una remota possibilità che lei—no, non voleva nemmeno pensarci. Lana stava bene. Si era assicurato che ricevesse le cure migliori. Se quella stronza psicopatica, Imogen Duncan, non avesse tentato di uccidere la sua stessa sorella, Jessica Sousa, non sarebbe accaduto niente di tutto ciò. Lana sarebbe stata al sicuro. Invece di essere colpita dal fuoco incrociato di una vendetta di anni prima.
“Signor Sullivan” disse un’infermiera. “Pensavamo fosse andato a casa”.
Scosse il capo senza guardarla. “Dovevo vederla ancora prima di andarmene”. In realtà aveva utilizzato l’ufficio che aveva acquisito quando avevano sparato a Daniella un paio di mesi prima. Aveva dormito lì quando era stato obbligato a riposare. Ci era stato anche prima quel giorno, per cercare di non pensare a Lana ed allo stato in cui versava. Qualcosa lo aveva fatto alzare e tornare alla sua stanza. Ora che si trovava lì, niente poteva allontanare il suo sguardo dall’incosciente Lana che giaceva sul letto d’ospedale. Gli si formò un nodo in gola che non sembrava andarsene. Aveva sprecato così tanto tempo ad allontanarla. Perché era stato così stolto? Se avesse potuto tornare indietro…no, pensarla in quel modo non avrebbe aiutato.
Niente avrebbe cambiato il cammino che si erano ritrovati ad intraprendere. Anche Lana l’aveva allontanato. Avevano preso entrambi quella decisione; forse era ora di scoprire quali fossero le ragioni. Doveva esserci un modo per mettere da parte le loro differenze e scoprire se avessero avuto un futuro insieme. Tale evento era stato il campanello d’allarme che aveva fatto ragione un testardo come lui.
“È un bene che lei sia qui” gli disse l’infermiera. “Il dottore ha deciso che è ora di svegliarla. Qualche ora fa hanno interrotto l’apporto di sostanze che la facevano restare incosciente. Potrebbe svegliarsi presto, e le farebbe bene vedere un viso famigliare”.
Alzò il capo per guardarla. “Perché nessuno ha detto niente prima? Sua madre dovrebbe essere qui…” Non lui. Avrebbe probabilmente avuto una ricaduta o qualcosa di simile nel vederlo. Non erano in buoni rapporti, non ancora. Aveva l’assoluta intenzione di cambiare lo stato delle cose, ma lei avrebbe avuto bisogno di tempo per adattarsi.
La Signora Kelly avrebbe dovuto essere con sua figlia. Avrebbe dovuto chiamarla. Chiuse gli occhi e sospirò. Era tardi, e tutti già dormivano alla villa. Sarebbero venuti qui in mattinata, e sarebbe stato abbastanza presto per rendersi conto che Lana si sarebbe svegliata. Non avrebbero dovuto decidere questa cosa nel bel mezzo della dannata notte. Se non avesse corrisposto all’ospedale un’importante somma di denaro per il privilegio di andare e tornare come gli faceva comodo, anche lui non sarebbe stato lì.
“Il dottore non voleva aggiungere ulteriore ansia” spiegò l’infermiera. “Il suo cuore ha subito molto stress. La ferita era piccola, ma se non l’avessero curata in tempo sarebbe morta. Il Dottor West vuole fare le cose in modo cauto”.
Perché l’infermiera doveva ripetere che Lana sarebbe potuta morire? L’eventualità lo fissava negli occhi ogni volta in cui la guardava giacere nel letto d’ospedale. Tristemente, la realtà continuava a colpirlo al volto. Ogni giorno ne riceveva una dose che gli faceva rimpiangere le molteplici decisioni che aveva preso durante il proprio cammino.
“Il dottore sarà qui quando si sveglierà?”
L’infermiera si mordicchiò il labbro. Era meglio che Preston fosse stato qui quando Lana avrebbe aperto gli occhi. Era stata una sua idea, ed era il suo dottore. A Sullivan non piaceva il modo in cui l’infermiera era rimasta in silenzio. Voleva scuoterla come se avesse aiutato a farla rispondere, ma evitò di farlo—a fatica.
“Il fatto è che è difficile stabilire quando riuscirà ad allontanare le sostanze dal proprio corpo. La dobbiamo tenere d’occhio e chiamare immediatamente il dottore quando si sveglierà. Sarà qui il prima possibile quando la paziente avrà ripreso conoscenza”.
A Sullivan non piaceva questa situazione; ciononostante aveva stranamente senso. Lo staff medico all’Envill East era il migliore. Doveva fidarsi di loro e del modo in cui svolgevano il proprio lavoro. Non poteva fare niente per aiutare Lana oltre che restare al suo fianco e pregare che riuscisse a farcela. Lo uccideva vederla restare inerte.
“Dovrei restare?” voleva, ed allo stesso tempo era terrorizzato dal farlo. “Il dottore lo sta facendo per un motivo. Se resterò le farà male vedermi?” Avrebbe preferito strapparsi il cuore piuttosto che ferirla.
“Va bene se resta”. L’infermiera gli sorrise. “Come ho detto quando sono arrivata, è bene che almeno una persona sia qui quando si sveglierà. Una folla di persone potrebbe essere troppo, e durante le ore diurne di visita ha più ospiti”.
Lana aveva molte persone che l’amavano. Si meritavano di essere nella sua vita molto più di lui. Qualcuno migliore di lui sarebbe dovuto essere lì per lei, ma poiché lui era tutto ciò che lei aveva al momento, avrebbe fatto ciò che poteva.
“Si può svegliare in ogni momento?” domandò.
“Mi aspetto che lo faccia presto” rispose l’infermiera. “La lascio solo con lei. Prema il pulsante di chiamata se si sveglierà, arriverò subito”.
Annuì ed avvicinò una sedia al letto. Non l’avrebbe lasciata sola anche se una parte di lui voleva correre il più lontano possibile. Non voleva evitarla, solo le sensazioni che lei invocava dentro in lui. A volte le vecchie abitudini erano difficili da perdere. Per anni avevano avuto questo rapporto canzonatorio che rasentava la derisione. Non capiva come mai Lana sembrasse odiarlo, ma le concedeva alcune malignità perché a volte si sentiva di meritarsele. Inoltre non credeva che lei lo trovasse veramente così antipatico. Per la maggior parte del tempo si trattava di un gioco a cui non riuscivano a smettere di giocare. Sullivan la rispettava molto più di quanto rispettasse ogni donna al di fuori della propria famiglia. Avrebbe provato ad essere un uomo migliore per lei. Non era completamente certo che ne fosse in grado…
Provò un forte dolore alla testa, ed il suo respiro. Oh Dio… chi l’aveva colpita con così tanta forza al petto posandovi poi un peso importante sopra? Che cos’era quel bip? Dove diavolo si trovava? Mosse la mano e palpò di fianco a sé, cercando di capire che cosa stesse succedendo. Un materiale morbido riempì il palmo della sua mano quando lo strinse. Il suo respiro si fece ancora più irregolare, ed il bip si fece più acuto, infiltrandosi con fare insistente nelle sue orecchie. Lo stridere del metallo e dei vetri infranti si unì al bip, generando un caos di suoni. Facevano eco attorno a lei, riportandola al momento in cui la sua auto era stata colpita, facendola sbandare ed arenandosi a lato della strada. Un forte dolore la pervase paralizzandola. Il panico la fece andare in crisi mentre cercò di riottenere il controllo di sé stessa e ciò che la circondava.
“Sshh”, disse un uomo.
La calmò in un modo che non riusciva a spiegare. Non si era resa conto che stava urlando fino a quando la sua stessa voce raggiunse le sue orecchie. Chi c’era con lei? Aprì lentamente gli occhi e non trovò altro che un’immagine sfocata. Sbatté le palpebre diverse volte fino a quando riuscì a mettere a fuoco. Il bellissimo diavolo che non sembrava allontanarsi dai suoi pensieri nonostante tutte le volte in cui lei cercasse di esorcizzarlo, ed ora la fissava con preoccupazione. Non poteva essere un buon segno. “Sully?” La sua gola era secca, rendendo la sua voce roca.
I suoi capelli scuri e gli occhi verde smeraldo erano solamente una parte della sua maschile bellezza. Era il pacchetto completo—una bocca peccaminosa, zigomi marcati, ed un bel corpo definito. Peccato che fosse un irraggiungibile abile sciupafemmine. Avrebbe forse prevalso su Lucifero in persona in quanto al più bell’angelo caduto di sempre. Era la personificazione dell’iniquità, Sullivan Brady.
“Non parlare”, le disse. “Chiamo l’infermiera”.
Estese il braccio afferrandolo per il polso per fermarlo. Normalmente non sarebbe stato la sua prima scelta in fatto di compagnia, ma era terrorizzata, e lui era l’unico viso famigliare nelle immediate vicinanze. “Non andartene”.
“Non me ne vado” la rassicurò. “Premo solo il pulsante di chiamata”.
Aveva parlato di un’infermiera. Si trovava in ospedale? Doveva essere così; altrimenti nulla di tutto ciò avrebbe avuto senso. Che motivo avrebbe avuto Sullivan di essere lì? Dov’era sua madre? Lana si prese il tempo di guardarsi attorno. Riconobbe la stanza, o meglio, una delle stanze dell’ospedale. Si era già trovata lì lavorando come infermiera. Nella struttura erano disponibili solamente poche stanze per la terapia intensiva. Doveva essere ferita gravemente per trovarsi in una di esse. Il bip proveniva dai monitor attorno a lei. Misuravano il suo battito cardiaco, il livello d’ossigeno e la pressione sanguigna. Li guardò, valutando le cifre su di essi. Non sembrava andare male…
“La bella addormentata si è svegliata” disse un altro maschio. Alzò lo sguardo incrociando quello di Preston West. “Come ti senti?”
Si leccò le labbra. Erano un po’ secche e screpolate. La sua bocca era riarsa e la sua lingua le pareva di cotone. “Potrei avere dell’acqua?”
“Fra un momento” disse il Dottor West. “Devo esaminarti, poi l’infermiera ti porterà del ghiaccio”.
Annuì. “Dov’è andato Sullivan?” Aveva detto che non l’avrebbe abbandonata. Ma perché era rimasto? Loro non erano niente. Una volta sperava di essere qualcosa di più per lui. Una sciocca fantasia adolescenziale che morì altrettanto velocemente di quanto nacque.
“Sono qui” disse. Si voltò verso la direzione della voce. Era appoggiato alla finestra. Nel suo sguardo era presente un’intensità che le faceva venire i brividi lungo la schiena. La fissava come se non l’avesse mai vista prima. Doveva essere solo la sua impressione. Sullivan Brady aveva cose migliori da fare che prendersi cura di lei in ospedale. Avrebbe dovuto chiedere chi l’aveva costretto a sedersi accanto a lei. Sua madre avrà avuto bisogno di una pausa, e lui stava facendo una cosa onorevole.
“Non devi restare”, disse. “Sto bene adesso”.
“Non vado da nessuna parte, Lisanna” disse con decisione.
Era come se una parte di lei che aveva seppellito fosse stata riportata in vita alla menzione del suo verso nome. Non veniva chiamata Lisanna da anni, tutti la chiamavano Lana. Anche i suoi documenti all’ospedale erano intestati con il suo soprannome. Non molte persone si ricordavano di lei come Lisanna. Sua madre la chiamava ancora così in certe occasioni, solitamente quando si arrabbiava con lei. Sullivan non la chiamava Lisanna da così tanto tempo da essersi dimenticata come suonasse pronunciato da lui. Qualcosa doveva essere cambiato in lui, ma non era sicura se le piacesse.
Lana decise di ignorarlo e portò la propria attenzione su Preston. “Che cosa mi è successo?”
“Sei stata coinvolta in un incidente stradale con Jessica” rispose. “Che cosa ti ricordi?”
Le si accese una lampadina nella mente, e poi era come se udisse ancora lo stridere del metallo sul metallo. Le gomme che stridevano dallo sforzo—era stato orribile.
L’infermiera entrò in stanza e le porse un bicchiere di ghiaccio. Lana se ne mise un po’ in bocca con l’ausilio di un cucchiaio, ricordandosi che l’incidente non era più in corso. Non voleva riviverlo, ma temeva che l’avrebbe perseguitata nei suoi incubi per un po’ di tempo a venire. Dopo aver deglutito alcuni ghiaccioli alzò lo sguardo su Preston e rispose alla sua domanda, “la stavo portando all’ospedale”. Lana non voleva dirgli nulla di più. Jessica poteva già avergli confessato tutto, e nonostante pensava che il dottore avesse il diritto di sapere tutto, non era un segreto che Lana poteva condividere. “Un’auto ci ha colpite”.
“Esatto”, disse. “Jessica sta bene. È stata operata ed è stata dimessa un paio di settimane fa. Sarà felice di vedere che sei sveglia”.
Lana si accigliò. “Non è rimasta ferita?”
“Non ho detto che non è stato così”, rispose Preston. “Ha dovuto essere operata ulteriormente alla procedura che era stata programmata. Ma tu eri ferita molto peggio di lei”.
Se Lana avesse letto fra le righe, avrebbe appreso che Preston fosse al corrente dell’operazione alla quale Jessica doveva essere sottoposta in primis. Ad ogni modo non voleva rischiare. Dopo aver parlato con Jessica avrebbe compreso meglio che cosa le era successo.
“Che cosa mi è successo?”
“Quella stronza, Imogen, voleva vendicarsi di sua sorella, e vi ha colpite con l’auto” sbottò Sullivan. “Verrà condannata per tentato omicidio”.
Preston gli rivolse un’occhiata. “Non è il momento”.
Le labbra di Sullivan formarono una linea retta. Era incazzato…chi era la sorella di Imogen? Intendeva Jessica? Le faceva male la testa solamente a pensarci. Si massaggiò le tempie e riportò l’attenzione su Preston. La sua rabbia sembrava diretta ad Imogen. Si era reso conto della propria colpevolezza? Era uscito con lei accogliendolo nelle loro vite. A Lana non era piaciuta Imogen sin da subito, ed era prima che Sullivan iniziasse ad uscire con lei. Ovviamente non aveva aiutato il fatto che gli fosse piaciuta una bionda immatura, ma non era questo il punto. Lui non vedeva oltre il bel viso della ragazza, e voleva dare la colpa agli altri per le azioni di Imogen. Imogen, e solamente Imogen, era responsabile per il caos che aveva causato.
“Avevi una piccola ferita alla membrana attorno al cuore. Una delle tue costole ha bucato un polmone e ti ha tagliato il cuore. Fortunatamente non ti trovavi lontano dall’ospedale, ed i primi soccorsi sono arrivati velocemente, o avresti rischiato di non farcela”.
Lana deglutì. Una ferita al cuore sarebbe potuta essere fatale. Era fortunata di essere sopravvissuta. Se le fosse successo altrove, e se Preston non fosse stato il suo dottore…allontanò il pensiero. Le cose succedono per una ragione. Non era sicura quale fosse al momento, ma l’avrebbe scoperto in seguito.
“Per quanto sono rimasta incosciente?”
“Troppo” mormorò Sullivan sottovoce.
Preston gli rivolse un’altra occhiataccia. Sullivan era restato al suo fianco più a lungo di quanto pensasse? Avrebbe posto ulteriori domande dopo essersi riposata. Sorprendentemente era ancora stanca, nonostante avesse sicuramente dormito per giorni. Essere feriti faceva schifo.
“Sullivan ha ragione” disse Preston con fare allegro. Stava probabilmente cercando di lusingarla per non farla preoccupare. Una ferita al cuore era qualcosa di serio, e se la sua pressione sanguinea si fosse alzata, avrebbe complicato le cose. “Sei stata incosciente per una settima. Mi aspettavo di tenerti sotto osservazione per un’altra settimana, ma mi sento a mio agio a dimetterti”.
Lana grugnì. “Odio essere una paziente”.
“A nessuno piace stare in ospedale” disse Preston ridacchiando. “Non ti preoccupare. La renderemo il più facile possibile per te. Me ne vado così puoi riposare”. Poi guardò Sullivan e disse con decisione, “Dieci minuti e poi te ne vai anche tu”.
Stranamente Sullivan annuì senza ribattere. Lana non avrebbe dovuto essere sorpresa dal suo essere d’accordo con il dottore. Lana e Sullivan non avevano un rapporto facile, e forse il ragazzo non vedeva l’ora di uscire dalla stanza. Preston e l’infermiera uscirono, lasciandola sola con Sullivan.
“Non ho bisogno che tu resti tutti i dieci minuti” disse Lana. “Sono stanca. Puoi dire a mia madre che vorrei vederla domattina?”
“Lo farò” disse. “E non resterò a lungo. Volevo assicurarmi che stessi bene prima di seguire il dottore”.
Perché era così preoccupato? Non si era mai comportato come se gli importasse prima d’ora. Era stato più un fastidio nella sua vita. Quasi in modo fraterno. Soppresse un grugnito ed alzò mentalmente gli occhi al cielo a quel ricordo lontano. Non era la sua dannata sorella, e forse un giorno gliel’avrebbe detto. “Sto bene”, gli disse. “O starò bene con il tempo. Niente che un po’ di riposo non possa curare”.
“Non scherzarci su” disse brevemente. “Sei quasi morta. Io—“ s’interruppe. Lana voleva chiedergli di continuare, ma evitò di prolungare la cosa. Principalmente perché era troppo stanca per ribattere, e parzialmente causa l’espressione addolorata sul viso di lui. Qualcosa al riguardo la metteva a disagio e le faceva pensare che fosse meglio non conoscere i meccanismi della mente di Sullivan.
Lana sospirò. “Non capisco che cosa ti stia succedendo, ed in questo momento sono esausta per cercare di decifrare il tuo umore. Se non ti dispiace adesso mi riposo, e quando avrai capito che cosa ti frulla nella mente, fammi un favore e lasciamici fuori”.
Chiuse gli occhi aspettandosi che lui se ne andasse; dopo tutto l’aveva essenzialmente congedato. Lana avrebbe dovuto rendersi conto che non sarebbe stato così semplice. Sullivan non faceva mai le cose nel modo più facile. Quando aprì gli occhi trovò il suo sguardo su di lei, e prese un respiro. Il modo in cui la fissava—era quasi come se non esistesse nessun altro in quel momento, se non loro due.
“Lisanna” disse. Fece per dirgli di non chiamarla così, ma lui la zittì posando un dito sulla sua bocca. “Non ribattere”. Le accarezzò i capelli con fare amorevole. “Prenditi cura di te stessa. Tornerò domattina con tua madre”.
Poi fece qualcosa che non aveva mai fatto prima. Si abbassò e posò brevemente le labbra sulle sue. Lo shock la pervase, lasciandola senza parole. Dopo che Sullivan se ne andò, Lana si portò una mano sulle labbra, sfiorandosi le labbra con le dita. In che realtà alternativa si era risvegliata?
CAPITOLO DUE
I monotoni muri bianchi della sua stanza d’ospedale stavano portando Lana sull’orlo della pazzia. Spenti, noiosi, e privi di emozione—li avrebbe uccisi aggiungere un po’ di design a questo posto? Peggio ancora, li aveva fissati per diversi giorni, ed era pronta per scatenare una rivolta per scappare da queste mura. Dal reparto di terapia intensiva era stata spostata in una normale stanza due giorni prima, ed ora voleva fuggire dell’ospedale alla prima occasione. Razionalmente comprendeva il motivo per il quale si trovava ancora lì, ma emotivamente era pronta per andare a casa. Quando Preston era venuto a controllarla, lei aveva fatto del proprio meglio per convincerlo a dimetterla.
“Sembri stare meglio” disse un maschio riportandola al presente.
Alzò lo sguardo trovando quello di Sullivan. L’era venuta a trovare tutti i giorni da quando si era svegliata. Lana ancora non comprendeva come mai fosse così premuroso nei suoi confronti. Sua madre insisteva sul fatto che fosse venuto a trovarla ogni giorno da quando aveva avuto l’incidente, e che nessuno l’aveva obbligato.
C’era qualcosa di diverso in lui, ma non riusciva a capire che cosa fosse. In Sullivan c’era sempre stato un velo di tristezza, ed ora era come se l’avesse esposto in modo che tutto il mondo ne fosse testimone. Il playboy di Envill, ed Amministratore Delegato della Brandy Blue non permetteva agli estranei di vedere i suoi sentimenti reconditi. Forse era ancora così, e questa vulnerabilità era riservata a lei. Lana non voleva accettare l’ultima parte. Se lui le stesse mostrando un lato diverso di sé, allora anche lei avrebbe forse dovuto far emergere i propri demoni. Alcune cose erano difficili da lasciare andare, anche quando era il momento di intraprendere un cammino diverso. Aveva proseguito inserendo l’autopilota per troppo a lungo per cambiare così facilmente le cose.
Alzò gli occhi al cielo. “In che senso, ‘meglio’?”
Sullivan si avvicinò a lei prima di rispondere. “Sei viva, respiri, e sei sveglia. Tanto per iniziare”. Si fermò accanto al suo letto e posò una mano sul braccio di lei. “Mi rendo conto che sia difficile essere incapaci per un certo periodo, ma cerca di ricordarti che sei quasi morta. Per me non sei mai stata più bella di adesso, perché mi rendo conto che potrebbe essere andata molto peggio”.
Lana prese un respiro che aveva trattenuto senza accorgersi, perché lo shock l’aveva scossa. Più lui parlava, più lei veniva messa all’angolo. Quelle parole…le facevano venire la pelle d’oca, e le facevano venire voglia di porre domande per le cui risposte non era pronta. Sullivan non era incline a professare cose poetiche tutti i giorni. Lei aveva un aspetto orribile, e lo sapeva per certo. Lui però aveva ragione su una cosa: era fortunata di essere ancora viva, e lo apprezzava. Non avrebbe mai più preso niente alla leggera. Ciò non significava che non fosse più che pronta ad uscire dall’ospedale e vegetare nel proprio letto per una settimana o venti.
“Che ci fai qui, Sully?” era stanca di ignorare ciò che le dava veramente fastidio. Il suo improvviso desiderio di trascorrere più tempo con lei era strano. “Abbiamo fatto il nostro meglio per porre della distanza fra di noi quando siamo uno in prossimità dell’altra. Che cos’è cambiato?”
Lui inarcò un sopracciglio e le rivolse il suo sorriso più seducente. Avrebbe voluto dire che non aveva nessun effetto su di lei, ma sarebbe stata una bugia. Le aveva sempre fatto perdere un battito o due. Sullivan Brady ed il suo fascino erano troppo potenti per ogni femmina mortale—diavolo, forse sarebbe stato in grado di sedurre anche una dea. “Credo sia abbastanza ovvio” le disse lui.
“Chiaramente non lo è, o non te l’avrei chiesto”. Sospirò. “Sono abbastanza irritata, e non ho la pazienza per sopportare le tue stronzate. Dimmi solo qual è questo tuo nuovo gioco in modo da poter apportare i relativi cambiamenti”. Invece di risponderle, lui avvicinò una sedia al letto e si accomodò. Unì le mani muovendo le dita quasi con fare pensieroso. Stava veramente cercando di farla arrabbiare? “Ti rendi conto che lo stress di ogni genere fa male al mio cuore che sta cercando di guarire, vero? Se stai cercando di farmi avere una ricaduta, stai facendo un ottimo lavoro”.
Sullivan si accigliò. “Non è mai stata mia intenzione, e mi scuso se rappresento la causa di ogni genere di tensione fra di noi”. S’interruppe per un momento e poi si avvicinò a lei, posando i gomiti sul bordo del letto. “Mi piacerebbe che ricominciassimo. Non so per certo che cosa sia andato male, e rimpiango qualsiasi ruolo io abbia rappresentato in questa nostra animosità”.
Lana fece congiungere le sopracciglia. Il suo giudizio iniziale era corretto. Si trattava di universo alternativo; o così, o era morta e si trovava in una qualche tipo di inferno. Avrebbe senso se si facesse ausilio della sua analogia che metteva in paragone Sullivan a Lucifero. Forse era l’angelo caduto portato in vita per torturarla.
“D’accordo” era esasperata. “Cercherò di trattenermi dal comportarmi da stronza con te. Non ti faccio altre promesse”.
“Per ora accetto questa” disse. “Vorrei chiederti un favore”.
Certo che voleva. Sullivan non aveva mai fatto niente senza un secondo fine. Non sarebbe dovuta essere sorpresa dall’improvviso cambio di direzione, ma, tristemente, lo era. “Che cosa vuoi?” domandò con fare sprezzante. “Mi piacerebbe liberarmi di te il prima possibile in modo da riposarmi”.
Lana voleva del tempo per piangere in pace. Avrebbe mai imparato? A Sullivan non importava veramente di lei. Si trattava di un’astuzia tramite la quale lui controllava tutto ciò che lo circondava, ed in qualche modo ora includeva molto di più di ciò che le piaceva.
“Non è male come credi” disse lui, un po’ preso alla sprovvista dal tono acerbo di lei. “Ti prometto che ciò che devo chiederti ti aiuterà”.
“Sono certa che nella tua mente sia così” ribatté. “Ma siamo onesti. Non ha niente a che vedere con me. Riguarda unicamente te e qualsiasi insicurezza che ti porti dietro”.
Sullivan sussultò. “Non sono affatto insicuro”.
Lana sorrise con fare derisorio. “L’importante è che tu ne sia convinto. Ma un tizio che cambia ragazza così spesso come fai tu non è una persona come si deve”.
La bocca di Sullivan formò una linea retta, e contrasse i muscoli delle guance. Non gli piaceva nemmeno un po’, ma era così. Molto tempo prima lei aveva realizzato che la mancanza d’interesse di lui nei confronti di Lana non aveva a che fare non lei personalmente. Sullivan aveva problemi molto più grandi, ed avevano avuto inizio quando sua sorella era scomparsa anni prima. Parti del suo guscio avevano iniziato a creparsi quando l’aveva rivista qualche mese prima di quel momento. Le lacune nella sua famiglia avevano iniziato ad essere colmate da una fragile colla, ed una sola mossa falsa avrebbe potuto far crollare tutto ciò che lo circondava. Lana comprendeva Sullivan molto meglio di quanto lui se ne rendesse conto. Non voleva rendere niente permanente in quanto temeva di perdere nuovamente qualcosa di così caro. Solo perché lei aveva riconosciuto tale colpa non significava doverla accettare.
Qualche istante più tardi Sullivan disse, “Non sono venuto qui per discutere con te. Ciò che devo chiederti è abbastanza importante. Tua madre è preoccupata da molto tempo riguardo al tuo benessere. Ciò di cui volevo parlarti ha a che fare con lei, e per estensione, con te”.
“Che cosa c’entra mia madre con tutto questo?” La paura la pervase alle parole di lui. Le stavano nascondendo qualcosa di importante? “Sta bene?”
“Tua madre sta bene”, la rassicurò. “È solo molto preoccupata per te, ma ho una soluzione che vi aiuterà”.
“Oh?” inclinò la testa di lato. “E che cosa ha inventato il potente Sullivan per risolvere tutti i nostri problemi?” si portò una mano sul cuore e disse con fare sprezzante, “oh, che cosa faremmo senza di te?”
Lui strinse i denti e contrasse la mano attorno al bracciolo della sedia. L’aveva fatto incazzare. Era bello vedere che non aveva perso il suo tocco.
“Quando eri incosciente pensavo di aver perso la tua insolenza. Sto iniziando a rimpiangere il fatto che non sia stato così, adesso che mi ha colpito nuovamente”.
“Si apprezza con il tempo. Sei abbastanza fortunato perché non mi hai ancora apprezzata completamente. Non ti preoccupare, sono sicura che tu non sia l’unico a non possedere l’abilità di abituarsi alla mia magnificenza”.
Qualcosa che lei non comprendeva completamente era come riuscisse ad articolare ciò che diceva. Apriva la bocca e le parole uscivano. Per la maggior parte ne traeva vantaggio, ma a volte desiderava rimangiarsele. Non voleva veramente far disperare Sullivan, ed era stanca. Forse sarebbe stato più facile farlo arrivare al punto. Specialmente se riguardava sua madre…
“Lisanna” disse sospirando. “Porti un uomo forte all’alcolismo. Non sopporterei di vedere che cosa faresti ad uno debole”. Scosse il capo. “Fidati, sono molto più che in grado di gestirti. Mi gusto l’idea che un giorno avrò quel piacere”.
“Come se ti darei mai la possibilità” ribatté lei. “Lasciamo perdere questo battibecco e ritorniamo al problema principale. Che cosa vuoi? Così posso cacciarti e dimenticarmi della tua esistenza”.
Ridacchiò. “Fa finta fin che vuoi, ma sappiamo entrambi che tu pensi a me più di quanto tu stessa desideri”.
“Per favore”, disse Lana con fare derisorio. “Ho cose ben migliori con cui trascorrere il mio tempo, ma se ti rende felice continua a pensarla così”. Perché non riusciva ad allontanare questo stronzo presuntuoso? Era stato così gentile con lei quando si era svegliata, ed ora—doveva chiedersi dove fosse andata quella versione di Sullivan. Eppure lei era stata una stronza in ogni scambio che avevano avuto. Che cosa si aspettava da lui? “A patto che smetti di chiamarmi Lisanna. Ti ho detto tempo fa…che non sono più quella bambina”.
“Sarai sempre Lisanna per me” spiegò. “Non ti chiamerò più diversamente. Forse dovresti pensare al perché sei così insistente sul voler essere Lana, invece di insistere che Lisanna non esiste più.