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L'Incubatore Di Qubit
L'Incubatore Di Qubit
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L'Incubatore Di Qubit

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“Reclusi?”

“Lei è qui in libertà vigilata per i primi trenta giorni. Penso che i reclusi siano chiamati ‘Mocciosi’ là fuori”. Victor inclinò la testa verso il recinto.

“Sì e i droni hanno i cubicoli”.

“Esatto”.

“E i Re salgono verso gli uffici al piano di sopra?”

Lui annuì.

“Come fa un drone a diventare un Re?” Chiese Catalina.

“Riceve un brevetto su un’idea o un dispositivo”.

“Un brevetto. Va bene”.

“Deve dare a quel Caffè …” Lanciò un’occhiata alla rossa.

“Piatto speciale blu di Hugo”, lei disse.

“Come ha fatto …”, iniziò Catalina. “Non importa”.

“Deve avvisare quando decide di licenziarsi?”

“Solo con una telefonata. Non devo dare nulla come preavviso di due settimane. Hugo può facilmente trovare qualcun altro al posto mio”.

“Probabilmente dovrebbe effettuare quella chiamata oggi”.

“Ok”. Lei si alzò in piedi. “È meglio che vada”.

“Non si dimentichi quei dati finanziari”.

Capitolo Tre

Alle 19:30, Catalina riscaldò una tazza di noodles istantanei.

“Come fanno a piacerti quei noodles?” chiese un ragazzo magro mentre prendeva dal frigorifero una ciotola di vetro coperta di un foglio di alluminio.

“Non sono male”, disse Catalina. “Mi piacciono perché sono facili e veloci”.

Il microonde si spense e lei tirò fuori la sua tazza fumante, tenendo la porta aperta per lui. “E’ il tuo turno, Drover”.

Lui corrugò la fronte. “Sai chi sono?”

“Sì e anche perché c’è scritto il tuo nome sulla ciotola di vetro”.

Lui rise. “Chiamami ‘Alex’”. Dopo aver rimosso l’alluminio, mise la sua ciotola di purè di patate e salsa nel microonde.

“Sono Catalina Saylor”.

“Veramente? Catalina è un’isola. Come si scrive il cognome?”

Lei gli fece lo spelling.

“Fantastico gioco di parole dei tuoi genitori. Un’isola e un marinaio”.

“Sì, erano piuttosto cool”.

La guardò ma non chiese il perché della parola ‘erano’. “A cosa stai lavorando?”

“Conversione delle onde sonore di eco localizzazione per impressioni tattili”.

“Santa merda”.

“Lo so e mi restano solo ventinove giorni per dimostrare il concetto. E tu?”

“Sto lavorando su celle solari flessibili”, disse Alex.

Lei sorseggiò dalla sua tazza di noodles. “Quanto flessibili?”

“Come una stoffa che può essere trasformata in un capo di abbigliamento”.

“Bello. Potrei fare una passeggiata sotto il sole e caricare il mio telefono morto allo stesso tempo”.

“E anche il telefono del tuo ragazzo”.

“Che si fotta”, disse lei. “Che abbia un suo caricatore”.

“Ahi, pesante. Che ti ha fatto di male?”

“Mi ha scaricato. Devo tornare al mio lavoro”.

“Sì, anch’io. Ho sette giorni prima di morire”.

“Ce la farai”, disse lei.

Il microonde si spense. “A dopo”.

Sul bordo del recinto notò una grande lavagna sul muro accanto a un pannello proiettore. C’era segnato un elenco di nomi, date e informazioni. In cima c’era scritto “Brevetti concessi”.

Il primo era Wayne Ponicar – corpo terapeutico d’acqua.

Il successivo era Dwight Calister – sedia a rotelle per salire le scale.

Seguito da molti altri nomi e dalle loro invenzioni.

Quando tornò indietro attraverso il recinto, vide ancora nove persone che lavoravano.

Mentre stava mangiando alla sua scrivania, guardò un video su YouTube di una mano protesica. Disattivò il sonoro in modo da non essere sgridata.

A metà dei suoi noodles, iniziò a scrivere un nuovo programma.

Quando si appoggiò allo schienale per allungare le braccia sopra la testa, si rese conto che era passata mezzanotte. Girandosi sulla sua sedia cigolante, vide che tutti i banchi dei mocciosi erano vuoti. Attraverso la porta di uno dei cubicoli, vide un ragazzo che lavorava al suo computer.

Drone cazzone McGill. Perché sei ancora qui?

Lei si strinse nelle spalle e si voltò a guardare il suo muro di mattoni. Dopo un momento, si alzò in piedi, spinse via la sedia, quindi allontanò la scrivania dal muro.

Lei notò che McGill la stava guardando in modo accigliato quando lo scricchiolio della scrivania sul pavimento di cemento attirò la sua attenzione. Lei lo ignorò.

Davanti alla sua scrivania, fissò i mattoni per un momento, quindi aprì la sua scatola di gessi colorati.

Intorno all’una, Catalina sentì che McGill stava facendo molto rumore alla sua scrivania, apparentemente preparandosi a tornare a casa.

Immagino che voglia che io sappia che se ne sta andando. Buon viaggio a un brutto fastidio.

Non si girò per dargli la soddisfazione di sapere quanto fosse fastidioso per lei.

Erano passate le 4 del mattino quando uscì dalla porta laterale controllando che si chiudesse dietro di lei.

* * * * *

Catalina dormì solo tre ore, poi tornò in motorino all’Incubatore.

Con una tazza di caffè e una ciambella ripiena di crema presa da una scatola rimasta dal giorno prima, era di nuovo sul suo codice.

Alle 9:30, Joe venne alla sua scrivania.

“Stai disegnando qualcosa sul tuo muro”, disse Joe.

Catalina lo guardò per un momento. “Sì, ho iniziato ieri sera”.

“Che cosa sarà?”

“Non ne sono ancora sicura. Qual è il tuo progetto?”

“Occhiali teleobiettivi”.

“Veramente?” Rimase in silenzio per un momento. “Come li controlli?”

“Ci sarà un display heads-up sulla superficie interna degli occhiali. Il movimento degli occhi lo accenderà e spegnerà e attiverà la quantità di zoom”.

“Mi piacerebbe avere un paio di quelli”, disse lei. “Potrei essere in viaggio e zoomare su una catena montuosa in lontananza senza mai staccare le mani dal volante”.

“Esattamente”.

“Bella idea”.

“Grazie”, disse Joe.

“Chi è quella rossa?”

“L’assistente di Victor, Tracy”.

“Non è molto amichevole”.

“E’ dedita solo al suo lavoro”, disse Joe. “Bene, torniamo al nostro lavoro”.

* * * * *

Nell’ufficio esterno, Tracy aprì il cassetto della scrivania. Raccolse un orecchino penzolante con una pietra ovale di giada circondata d’oro e lo fece scivolare nel buco del lobo sinistro. Quando cercò il secondo, non c’era. Mise da parte matite e graffette ma non riuscì a trovarlo.

“Che diavolo?” sussurrò mentre apriva un altro cassetto.

* * * * *

Alle 3 del pomeriggio, due operai portarono una grande cassa sul lato della scrivania di Catalina. Senza dire una parola, aprirono la scatola e rimossero l’involucro.

Catalina sorrise. La stampante 3D!

Tracy venne a guardare gli uomini al lavoro.

Ben presto installarono la macchina e collegarono la protezione da sovratensione di Catalina.

Uno degli uomini la accese e fece un po’ di diagnostica, mentre l’altro uomo rimuoveva il materiale d’imballaggio.

Apparentemente soddisfatto che tutto fosse in ordine, il ragazzo consegnò una cartelletta a Tracy. “La sua firma, per favore”.

Tracy firmò il modulo, quindi scambiò la cartelletta con un grosso manuale.

I due uomini presero la cassa e il materiale da imballaggio e lasciarono l’edificio.

Diverse persone nel recinto fissarono Catalina, Tracy e la nuova stampante.

Dopo che Tracy diede il manuale a Catalina e iniziò a dirigersi verso l’ufficio, gli altri mocciosi chiesero: “Perché ha avuto una stampante 3D?”

“Non ne ho idea, Crammer”. La porta si chiuse dietro Tracy.

Mentre Catalina leggeva il manuale, McGill venne ad esaminare la stampante.

“Perché hai una stampante 3D?” chiese lui.

“Non è mia, McGill. Appartiene all’Incubatore”.

“Come possiamo usarla se sta qui da te?”

“Ha la Wi-Fi. Se hai dei pastelli e una grande bacheca, proverò a disegnare un’immagine di come una periferica Wi-Fi può essere connessa a un server. Il disegno sarà grande e semplice, qualcosa che potresti comprendere”.