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Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien
Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien
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Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien

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Per prima cosa volle tuffarsi nella lettura dei suoi amati e preziosi libri di storia e, per sentirsi più vicino ad Akhmed, chiese al responsabile delle cucine reali di preparargli, per pranzo, le famose ciambelle di Astagatt, di cui il fratello era ghiotto. Le fece servire sulla grande terrazza antistante il salone da ballo così da poter godere della splendida vista sull’oceano e provare a scovare, sul lontano orizzonte, la sagoma di qualche nave.

Ma la flotta reale aveva già attraversato la pericolosa Barriera d’acqua e, ormai, non era più visibile ad occhio nudo.

All’ora desiderata le ciambelle furono pronte e portate al principe. Quel piatto emanava un intenso profumo di miele e di Vergara, la famosa pianta della felicità che cresceva rigogliosa solamente su Astagatt. La rara pianta aveva fatto la fortuna dell’isola e, grazie alla sua particolare coltivazione, tutti gli abitanti potevano dirsi esperti produttori e agricoltori.

Partenza per l’isola di Cora (Amir saluta i genitori e il fratello Akhmed)

Tutti quelli che avevano a disposizione un piccolo pezzetto di terra coltivavano la radice di Vergara.

In questo modo, non solo la nobiltà, ma anche ogni singolo e intraprendente abitante poteva trarre profitto affidando il proprio prezioso carico nelle competenti e capaci mani del Ministro degli Affari Esteri e della Casa Reale: Idris al-Shafi.

Tutte le navi commerciali, al seguito della flotta reale, erano sotto la sua personale responsabilità. Ogni carico di Vergara, anche il più piccolo, veniva annotato in un apposito registro con il nome del produttore, a cui veniva assegnato un numero personalizzato con il peso e il nome della nave sul quale era imbarcato. L’organizzazione del ministro al-Shafi era molto efficiente e nulla sfuggiva al suo vigile controllo. Poiché tutte le navi potevano superare la Barriera del Muro d’acqua solo per pochi giorni all’anno, la flotta reale faceva scalo, per motivi logistici, sull’isola più vicina: Cora.

Fu qui che il re Mohammed, durante una visita di cortesia al Sultano Modaffer III (Akhmed Al Kebir), conobbe la sua futura moglie e regina. Adeele era la figlia maggiore del sultano e il padre fu ben contento che i due provassero una reciproca e irresistibile attrazione.

Il loro matrimonio assicurò al vecchio Modaffer III diversi vantaggi. Innanzitutto, si imparentava con la potente famiglia regnante l’isola di Astagatt e, in questo modo, trasformava l’isola di Cora in un centro di commercio internazionale della rara pianta Vergara.

Con il matrimonio di sua figlia il furbo sovrano aveva assicurato al suo popolo un luminoso e prospero futuro economico. Infatti, per ogni carico di Vergara sbarcato sull’isola di Cora, il sultano impose una “speciale tassa doganale”.

Ma all’ennesimo aumento di questa impopolare tassa ricevette le energiche proteste diplomatiche del potente e rispettato Idris al-Shafi.

Il ministro, eseguendo gli ordini di re Mohammed, promise al sultano che, in caso di mancata cancellazione dell’ultimo aumento della tassa doganale, la flotta reale di Astagatt non sarebbe entrata nel porto di Cora e si sarebbe ancorata al largo, ben oltre il limite delle acque territoriali dell’isola.

Il Sultano Modaffer III, conoscendo il carattere fermo e irascibile del ministro Idris al-Shafi, ben presto si rese conto che la sua fame di ricchezza, la sua incontrollabile avidità, aveva creato una pericolosa crisi diplomatica e commerciale tra le due isole.

La radice di Vergara, oggetto del desiderio di tutti i popoli delle terre emerse, proprio perché rara, era ricercatissima e, praticamente, si vendeva da sola.

Di questo ne era ben consapevole il sultano.

Infatti, benché la flotta reale di Astagatt fosse rimasta ad aspettare tutto il giorno in mare aperto, ciò non aveva scoraggiato i numerosi acquirenti che erano arrivati da ogni angolo dell’oceano Pacifico.

Il Sultano Modaffer III, mostrando assoluto senso pratico e fiuto per gli affari, decise di ritornare sui suoi passi. In ogni caso, per non perdere la faccia davanti al suo popolo, decretò, unilateralmente, che “l’importo dellatassa speciale sulla radice di Vergara” sarebbe stata decisa, di anno in anno, da un apposito consiglio composto dai membri di entrambe le due isole ma da lui presieduto.

Il compromesso escogitato dal sultano produsse gli effetti sperati e la flotta di Astagatt, finalmente, attraccò nel porto di Cora.

Modaffer III, per festeggiare l’avvenimento e dare un segno della sua potenza, fece allestire un’imponente cerimonia ufficiale, con tanto di esercito schierato in parata, alla quale presero parte entrambi i sovrani. L’accordo venne firmato solennemente e, da quel momento, cessò ogni forma di disputa commerciale tra i due regni.

Lo stratagemma del Ministro Idris al-Shafi aveva funzionato e, nonostante non fosse stata cancellata l’odiata tassa, era riuscito a far cessare i continui soprusi del Sultano ed a stabilizzare i traffici commerciali tra le rispettive isole.

Tra tutti i viaggiatori della flotta di Astagatt, la regina Adeela era la più entusiasta. Desiderava rivedere suo padre, le sue sorelle e, cosa ancora più gradita, tutti i posti dove aveva trascorso la sua infanzia e parte della sua gioventù. Più di ogni altra cosa le mancava il gigantesco e bellissimo orto botanico dove, fin da bambina, aveva ammirato fiori e piante provenienti da tutto il mondo conosciuto.

Durante la sua adolescenza, in quello splendido giardino a cielo aperto, aveva vissuto la sua intensa storia d’amore con l’adorato marito Mohammed. Insieme avevano trascorso intere giornate a passeggiare mano nella mano e, complice una gigantesca pianta di Palmira, proprio in quel posto si erano scambiati il loro primo e tenero bacio, al riparo da sguardi indiscreti.

Anche Akhmed era curioso di rivedere suo nonno e tutti i suoi numerosi parenti perché sapeva che un giorno, alla morte del sultano, sarebbe diventato il padrone incontrastato dell’isola di Cora. Nella sua testa già si affollavano piani stravaganti o rischiose imprese da realizzare in un prossimo futuro. Il suo carattere ribelle lo condizionava in tutto quello che faceva e diceva.

Perfino durante il breve viaggio fino a Cora aveva avuto il tempo di litigare con alcuni sottufficiali della nave Glorius che, secondo il suo “modesto parere”, non eseguivano a regola d’arte gli ordini impartiti dal loro comandante.

Dopo la miracolosa salvezza dal naufragio si sentiva invincibile, quasi immortale. In cuor suo credeva che il destino lo avesse risparmiato per offrirgli un futuro fatto di grandi imprese.

Dal naufragio era solito ripetere al fratello Amir: “Un giorno il mio nome sarà temuto e rispettato… non solo qui ad Astagatt o sull’Isola di Cora… ma in tutto l’arcipelago. Spazzerò via… senza pietà… chiunque si metterà sulla mia strada… chiunque sarà un ostacolo tra me e i miei piani… e non avrò pietà né degli amici né dei parenti”.

I giorni di vacanza sull’Isola di Cora trascorsero serenamente tra feste, balli a corte, e lunghe nuotate nel meraviglioso mare corallino.

Il re Mohammed, quando gli fu comunicato che tutto il prezioso carico della radice di Vergara era stato venduto, convocò il vice ammiraglio Abdul-Lateef Kafer e gli ordinò di far preparare la flotta per l’imminente partenza.

Finalmente era giunto il tempo di tornare a casa.

Prima di ritornare sulla nave ammiraglia Glorius, al momento del commiato, i sovrani Mohammed e Adeela convocarono il figlio Akhmed per un colloquio riservato.

“Caro figlio”, esordì il re con la voce commossa, “è giunto il momento tanto atteso… quello per il quale… in tutti questi anni… sei stato addestrato. Il tuo destino è scritto da tempo… sarai il principe ereditario dell’isola di Cora… siederai alla destra del Sultano in tutte le occasioni ufficiali e… alla sua morte… salirai al trono”.

Akhmed, dopo avere ascoltato in silenzio le parole del padre, divenne improvvisamente rosso in volto e, come in preda all’ira, si rivolse alla regina Adeela: “Tu madre… anche tu… dunque… alla fine mi tradisci!!”.

Iniziò a urlare e ad agitarsi come un selvaggio qualunque, cercando di dare l’ennesima cattiva dimostrazione, ai suoi illustri genitori, di quanto fosse poco adatto al ruolo che gli avevano riservato.

Inoltre, cercò di togliersi da dosso tutti i “ridicoli vestiti da cerimonia” come lui spesso, in modo sprezzante e offensivo, si divertiva ad apostrofarli. Ma ben presto si rese conto che la sua inutile sceneggiata non stava dando i risultati sperati.

Improvvisamente, come un esperto attore, cambiò strategia. Smise di urlare e si buttò ai piedi della regina. Con le sue tozze mani le afferrò la caviglia destra e la strinse forte al suo petto, nell’ultimo, disperato tentativo, di commuoverla e farle cambiare idea.

“Madre… non mi lasciare qui da solo… portami a casa con te…” iniziò a supplicarla piangendo.

“Il mio destino non è questo… io non sarò mai il Sultano di quest’isola brutta e inospitale. Il mio destino è quello di diventare il re di Astagatt. Non mettere il nostro amato regno nelle mani di mio fratello… quello stupido… quello sciocco… che sa amare solo i suoi ridicoli libri di storia. Io sono il destino di Astagatt!! Madre… non soccombere ai desideri del re… aiutami a tornare a casa… non abbandonarmi tra gente sconosciuta e ostile”.

La regina Adeela lo guardò con aria severa e indignata, tirò via il suo piede dalle forti e possenti mani del figlio e, con piglio autoritario, lo rimproverò energicamente: “Akhmed… il tuo tempo è arrivato. Sii uomo… comportati da futuro sovrano. Fai in modo che tutti noi… un giorno… potremo essere fieri di te. Dovrai essere d’esempio per tutti e farai in modo di non far ricadere la vergogna sulla tua famiglia. Sii forte… un anno passa velocemente. Ti prometto che con l’arrivo della prossima estate…», ma la regina non fece in tempo a finire la frase che Akhmed si era già rialzato e ricomposto. Con un gesto deciso della mano, fece segno alla madre di aver compreso il suo discorso.

“Va bene madre… mi fido di te… come sempre!”, replicò il principe ormai rassegnato all’inevitabile.

“È vero… il tempo passa rapidamente e un anno corre in fretta. Troverò sicuramente qualcosa d’interessante da fare su questa stupida isola… ma se non ti rivedrò qui la prossima estate… sappi che farò il diavolo a quattro per ritornare ad Astagatt e… destino o non destino… lì resterò per sempre…”.

Il re, che fino a quel momento non era intervenuto ed era rimasto in disparte, fece un segnale con la testa alla regina per farle capire che il tempo era scaduto.

I genitori abbracciarono affettuosamente Akhmed e si diressero verso il porto per imbarcarsi sulla nave ammiraglia Glorius e fare ritorno a casa.

Tutta Astagatt stava aspettando, con ansia, il ritorno della flotta.

Capitolo sesto

IL LIBRO DEI RICORDI

La grande flotta imperiale era partita per l’isola di Cora già da due settimane. Con la vendita del suo prezioso carico, la rara spezia “Vergara”, gli abitanti dell’isola di Astagatt avrebbero trascorso un anno tranquillo e sereno, almeno economicamente. Ma un cattivo presagio aleggiava nell’aria.

Era una notte senza luna e l’oscurità si era impossessata dell’intera isola, avvolgendola in una stretta morsa. Stranamente anche il vento dell’est aveva ripreso a soffiare con vigore e una pioggia torrenziale tintinnava con forza sui vetri della camera da letto di Amir.

Il rumore della tempesta si faceva sempre più forte e il giovane principe, al lume delle candele, non riusciva a dormire. Se ne stava seduto sul letto, immobile, con le gambe incrociate e con lo sguardo fisso sulla parete. Sperava, in cuor suo, che la Grande Flotta fosse rimasta saldamente ancorata nel porto di Cora.

Le condizioni del vento erano troppo rischiose per tentare di attraversare la “Grande barriera d’acqua”.

Amir provò a liberarsi di tutti i cattivi pensieri.

Si sollevò in piedi sul letto e cominciò a saltellare, sempre più forte e sempre più in alto, fino a quando, con il rumore tipico di legni rotti, il suo enorme letto si accasciò sul pavimento con un grande frastuono. Le due guardie imperiali che, fino a quel momento, avevano sonnecchiato davanti alla sua porta, si precipitarono dentro la stanza con la spada sguainata. Immediatamente si resero conto del falso allarme e trassero un profondo sospiro di sollievo. Videro che il principe Amir, disteso ai piedi del letto, rideva a crepapelle.

“Ciao ragazzi…», s’affrettò ad esclamare, “scusatemi ma… questa notte non riesco proprio a dormire. Non sapevo cosa fare e mi sono messo a saltellare sul letto… era divertente ma… come potete vedere… questo è il risultato”.

“Per farmi perdonare…», continuò il principe, “mi accompagnerete giù nelle cucine dove vi farò gustare le mie buonissime ciambelle con miele e Vergara… Oggi ne ho mangiate tantissime… ma credo di averne lasciate in dispensa ancora abbastanza per soddisfare qualunque improvviso assalto di fame notturna”.

I tre si diressero, con passi decisi, fuori dalla camera da letto.

Il principe indossava ancora il lungo camicione bianco con cui era andato a dormire la sera prima e che gli arrivava fin sulle caviglie. Con il suo metro e ottanta camminava impettito ma stretto in mezzo ai due enormi soldati della guardia imperiale. Questi lo sovrastavano di almeno dieci centimetri, perfetti nelle loro impeccabili uniformi d’ordinanza.

Per arrivare alle cucine bisognava percorrere il corridoio che dava anche sulla grande biblioteca reale. Giunti nei suoi pressi il principe ebbe un sussulto e si fermò di scatto. All’improvviso, dal suo angelico volto sparì quel tenero sorriso che lo aveva accompagnato fino a quel momento e, assunto un atteggiamento serio, con tono perentorio, ordinò ai suoi due improbabili compagni d’avventura di aprire la porta della biblioteca.

“Ma noi non abbiamo le chiavi… solo il Capo Bibliotecario può farlo…», i due corazzieri s’affrettarono a replicare, per nulla intimoriti dallo sguardo severo del ragazzo.

“Va bene… allora farò da solo… ma dovete giurarmi di non rivelare a nessuno il mio segreto… nemmeno al re e alla regina quando faranno ritorno ad Astagatt. Quello che state per vedere non sarà mai successo… e adesso giurate sul vostro onore d soldati!”

I due militari si guardarono perplessi ma Amir era pur sempre il loro principe ed il futuro sovrano del regno. Senza perdere altro tempo, uno dopo l’altro, ripeterono ad alta voce: “Lo giuro!”.

Amir s’inginocchiò e, con estrema cautela, spostò un piccolo pezzo di marmo che ornava il bellissimo pavimento del corridoio. Da un piccolo foro, delicatamente, ne estrasse un sacchetto. Quindi, con il tipico atteggiamento di ladro esperto, tirò fuori una chiave d’oro. In pochi istanti aprì l’enorme porta di legno massiccio della biblioteca ed entrò dentro, mentre i due militari furono lasciati fuori di guardia.

L’enorme sala della biblioteca era perfettamente illuminata.

In ogni suo angolo si potevano scorgere centinaia di grandi candele, anche a gruppi di dieci per volta, sistemate con cura nei punti più strategici.

Per evitare il pericolo che potesse scoppiare un incendio erano state raccolte su splendidi lampadari sotto i quali si potevano notare dei grandi vassoi di bronzo che raccoglievano la cera che si fondeva lentamente. Con questo semplice stratagemma nessun libro correva il rischio di essere, anche accidentalmente, colpito dal fuoco. In ogni caso, la sicurezza della biblioteca era garantita da dodici bibliotecari che si alternavano al controllo della sala.

Il capo bibliotecario, “Ermes il greco”, era perfettamente a conoscenza delle intrusioni notturne di Amir in quanto lo aveva sorpreso, più di una volta, a sfogliare con curiosità i volumi che raccontavano la storia dell’arcipelago e dei suoi stessi avi.

Qualche volta se ne era lamentato con lo stesso re Mohammed ma spesso faceva finta di niente purché il principe, dopo la lettura, rimettesse esattamente al loro posto ogni libro consultato.

Ormai erano quasi le due di notte e fuori continuava ad infuriare una tempesta tropicale, con il vento e la pioggia sempre più forti e impetuosi.

Amir, giunto nei pressi della grande finestra della biblioteca provò ad affacciarsi dietro i vetri e, alla tenue luce delle candele, provò a guardare in lontananza cercando di scorgere con lo sguardo l’arrivo della flotta. Ma la notte era troppo intensa e scura e rinunciò immediatamente all’impresa, lasciandosi cadere sulla prima sedia capitatagli a tiro. Non aveva dormito per quasi due giorni e due notti e adesso la stanchezza e il sonno stavano prendendo il sopravvento.

In quello stesso momento si accorse del forte brusio di voci eccitate che proveniva dall’entrata della biblioteca.

Dalle tipiche imprecazioni in lingua greca capì che Ermes il Greco aveva scoperto la sua nuova intrusione notturna, ma non potette fare a meno di trattenere una grossa risata immaginando la comica scenetta che si stava svolgendo lì fuori, in corridoio.

Era giunto il momento di tornarsene nella sua camera da letto per farsi una bella dormita rigeneratrice. Non fece in tempo a concludere questo pensiero che una fortissima folata di vento gelido spalancò violentemente l’enorme finestra della biblioteca, sparpagliando sul pavimento tutti i fogli che si trovavano sul tavolo.

Con prontezza, Amir riuscì a richiuderla e si mise subito a raccogliere tutti quei fogli sparsi sul pavimento, anche per evitare che Ermes potesse accusarlo al re di aver distrutto chissà quale antico manoscritto.

In pochissimo tempo li recuperò quasi tutti, tranne un foglio che proprio non voleva saperne di essere catturato. Si era nascosto nell’angolo più remoto della biblioteca, infilato sotto un battiscopa per quasi tutta la sua lunghezza.

Amir gli si avvicinò sospettoso.

Quindi, provò a tirare verso di sé il piccolo lembo di foglio che era rimasto fuori dal suo strano nascondiglio.

Immediatamente sentì lo scatto di un meccanismo metallico.

Con stupore, vide una parte del battiscopa aprirsi lentamente verso l’esterno e, senza pensarci due volte, infilò la mano destra in quell’angusto spazio. Al tatto delle sue dita gli sembrò di aver trovato un grosso libro rilegato in pelle. Lo afferrò con forza ma lo estrasse delicatamente.

Istintivamente, capì di aver fatto una scoperta sensazionale e il titolo, scritto con caratteri cubitali in oro, non ammetteva equivoci.

Aveva trovato il leggendario “Libro dei ricordi”.

Il Libro dei Ricordi

Nel frattempo, Ermes il greco era riuscito a superare l’ostinata opposizione delle due guardie all’entrata ed aveva fatto irruzione all’interno della sala. In quello stesso istante la finestra della biblioteca si riaprì violentemente con un grande rumore di vetri rotti. Amir approfittò della confusione e rapidamente si diresse verso l’uscita e da lì alla sua camera da letto. La prima cosa che fece fu quella di nascondere il libro in un posto sicuro e segreto. Si sentiva stanchissimo e troppo assonnato per iniziare a leggerlo ma promise a sé stesso che, il mattino seguente, avrebbe iniziato a sfogliarlo senza perdere altro tempo prezioso.

Alle prime luci dell’alba il principe era già sveglio. Eccitato si rimise in piedi e tirò fuori, da sotto il materasso, il “Libro dei ricordi”.

Ne accarezzò delicatamente la copertina, realizzata con una pregiata pelle di colore marrone scuro e intarsiata con diverse incisioni. C’erano anche diversi disegni ma riuscì a distinguerne solo alcuni.

Riconobbe l’isola di Astagatt, la montagna dove viveva la strega Luthien e la pericolosa foresta degli inganni, ma non seppe dare una spiegazione al gioiello dalla forma strana che vedeva inciso, per la prima volta, su di un libro.

Sapeva di avere tra le mani il libro più antico del mondo. Era stato scritto dal misterioso mago Sekmet, di cui tutti parlavano ma che solo pochi eletti avevano avuto il privilegio di vederlo nella sua vera essenza. Amir sperava che, un giorno non lontano, anche lui avrebbe fatto parte di quel ristretto gruppo di “illuminati”.

Si fece coraggio ed iniziò a leggere.

La prima pagina del libro esordiva con un terribile avvertimento: “Solo i membri della famiglia reale hanno il diritto di consultare queste pagine. Su tutti gli altri… indegni e usurpatori… cadrà la mia tremenda vendetta”.

Il principe rimase per due giorni chiuso nella sua stanza, insensibile alle richieste del personale di servizio che, al di là della porta chiusa a chiave, lo invitavano a fare colazione, poi a pranzare e, infine, a cenare. Ma Amir aveva dato disposizioni ben precise al capo della sua scorta personale: nessuno poteva entrare nella sua stanza senza un suo preciso ordine.

Grazie al “Libro dei ricordi” scoprì la sua vera origine.

I suoi ascendenti erano arrivati sull’isola di Astagatt centinaia di anni prima, provenienti da una terra ormai perduta.

Quel vecchio mondo non esisteva più.

A causa di un terrificante e misterioso evento naturale, di cui però il libro non dava alcuna spiegazione, la terra si era trasformata in un’enorme palla d’acqua salata. Solo l’isola di Astagatt e poche altre terre emerse erano sopravvissute al cataclisma.

Molti popoli erano scomparsi, ma molti altri si erano salvati approdando con mezzi di fortuna su ogni isola dell’arcipelago. Nonostante avessero conservato la propria antica lingua, la cultura e le tradizioni, era andata perduta tutta la tecnologia precedentemente acquisita dall’umanità.

Grazie all’intervento del mago Sekmet, quell’iniziale babele di popoli diversi era stata trasformata e modellata come si fa con una scultura di cera.

Per prima cosa, stabilì delle precise regole di convivenza e donò a tutti i popoli una lingua universale, in modo che potessero capirsi l’un l’altro senza malintesi.

Ogni isola fu libera di dotarsi del sistema di governo ritenuto più opportuno e conveniente da parte dei loro cittadini. Alcune popolazioni europee mantennero un regime sostanzialmente democratico, con un parlamento e un presidente eletto direttamente dal popolo, come sull’Isola della Torre Bianca. Altre, tra cui le stesse Astagatt e, parzialmente, l’isola di Cora, scelsero un sistema più complesso, realizzando un mix tra monarchia e califfato che tenesse in perfetto equilibrio le varie etnie presenti sulle rispettive isole.

Grazie al mago Sekmet, nonostante un coacervo di razze e culture diverse, dopo oltre mille anni non era scoppiata nemmeno una guerra o una piccola rivoluzione.

Nell’arcipelago tutti vivevano pacificamente.

Per evitare che in futuro potessero sorgere problemi di convivenza tra i diversi popoli, il mago Sekmet bandì per sempre ogni forma di religione monoteista. Favorì, invece, la diffusione del politeismo e la cosiddetta “magia bianca”, ma solo se a praticarla fossero stati sacerdoti o sacerdotesse esperte. Al contrario, veniva punito con la morte, mediante il rogo, chiunque fosse stato scoperto a praticare rituali di “magia nera”.

Nel Libro dei ricordi si parlava anche della strega Luthien, ma la sua storia era completamente diversa da come gli era stata raccontata dai suoi precettori.

La strega, quand’era bambina, aveva abbracciato “lo spirito della luce”. Aveva usato i suoi grandi poteri solo per fare del bene.