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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale
La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale
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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale

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La Trasformazione: Sull'Eterno Corpo Glorioso Spirituale E Sul Nulla Eterno Infernale

Per gli gnostici conta la conoscenza mentre per i cristiani è essenziale – o dovrebbe esserlo – l’amore.

A parte gli aristotelici, per cui l’anima è mortale col suo corpo, e a parte gli epicurei, che sono materialisti ed escludono ogni principio spirituale, per i pensatori greci antichi – e, come s’è appena ricordato, per gli gnostici – l’essere umano ha non solo corpo e anima ma pure pneuma personale e quest’ultimo è la sola componente umana assolutamente vitale, per essi l’uomo sopravvive esclusivamente in essenza, cioè il suo corpo con la sua psiche-anima non risorge e solo lo spirito si salva. Quando i colti greci e latini sostenitori della sopravvivenza del solo spirito si convertono al Cristianesimo ammettono, dato che lo dice il Testamento, che alla fine dei tempi risorgerà anche il corpo e non solo l’anima ch’essi intendono in senso non solo psichico ma spirituale. Poiché i credenti gentili acquistano l’assoluta supremazia su quelli ebrei dalla seconda metà del II secolo, il Giudeo-Cristianesimo si muta in Cristianesimo ellenizzato, o per meglio dire platonizzato. A questo punto si pensa nella Chiesa che l’uomo non è solo un corpo animale raziocinante che, grazie a Cristo che lo giustifica, risorge trasformato gloriosamente in spirituale, ma che già sulla terra la persona ha il suo spirito individuale oltre al corpo: da allora per l’antropologia cristiana l’essere umano ha corpo personale, ha individuale anima-spirito e non più semplice anima-psiche e, inoltre, ha in sé il vivificante pneuma divino indiviso e presente in tutti gli uomini. Le conseguenze non sono da poco.

Cenni all’idea d’inferno vissuto derivante dalla platonizzazione del Cristianesimo

Da un lato la nuova concezione favorisce la conversione al Cristianesimo dei colti greco-romani i quali giungono a intendere il pensiero cristiano come il compimento della filosofia greca; alcuni di loro, addirittura, divengono apologisti cristiani e altri, più tardi, padri della Chiesa; d’altro lato, una volta che il pensiero cristiano si è generalmente platonizzato, cambia il concetto di perdizione del peccatore impenitente: prima, la persona dannata era vista come colui o colei che, meramente, muore per sempre perché non si trasforma in persona spirituale e perciò non è assumibile allo Spirito di Dio, ossia l’eternità infernale era il non vivere mai più, era il fallimento totale della propria esistenza; dopo la platonizzazione, l’inferno diventa atrocemente vissuto, infatti se l’anima umana è spirituale in sé fin dal concepimento della persona, essa è, logicamente, anche immortale e, allora, l’inferno in cui il dannato precipita dev’essere sempiternamente da lui vissuto; quanto al corpo, ormai si pensa che Dio lo farà risorgere alla fine del mondo affinché soffra pur esso per sempre assieme all’anima.

Solo nel XX secolo, finalmente, durante e dopo il concilio ecumenico Vaticano II, nascono dibattiti sullo scandaloso inferno vissuto. Il Cristianesimo delle origini, restato nella semioscurità per tanto tempo, inizia di nuovo a mostrasi, dopo che teologi si sono accorti che certe lagnanze e miscredenze forse si sederebbero se si tornasse al pensiero della Chiesa dei primi due secoli.

Il corpo umano e la sua trasformazione secondo san Paolo

Vediamo meglio cosa vuol significare san Paolo, nelle sue Lettere neotestamentarie, laddove, nella loro versione italiana, leggiamo corpo, anima, spirito.

L’apostolo delle genti usa i termini greci sarx e soma per indicare il corpo. Col primo vocabolo, traducibile anche come carne umana, intende l’intera persona quando non è in grazia di Dio e, essendo peccatrice mortale, è rivolta alla morte invece che alla Vita in Dio, a meno ch’ella si converta. Con soma san Paolo dice dell’essere umano quando la sua fede, la pistis, nel battesimo ha incontrato la Charis, la Grazia, e dunque l’uomo, ripieno del Pneuma divino, ha la strada aperta per l’assunzione alla Vita: in senso stretto, solo Gesù risorge, perché egli è divino oltre che umano, i salvati sono assunti a Dio grazie a Cristo.

Tanto che la persona sia in grazia quanto che non lo sia, san Paolo considera psichico il corpo umano, in quanto è un corpo che ragiona e ha libertà di scelta: ognuno è una persona completa in corpo e anima-psiche; leggendo corpo dobbiamo comprendere anche la relativa psiche, cioè dobbiamo intendere che si tratta della persona completa: parlare di risurrezione del corpo è come parlare di risurrezione della persona.

Quando nelle versioni in italiano delle lettere paoline troviamo anima o spirito, dobbiamo far attenzione al contesto7 . Nell’originale certe volte, anche a proposito dell’essere umano, san Paolo usa pneyma, ma per indicare la situazione dell’essere umano sulla terra in Grazia, non additando cioè una sua anima personale spirituale, ma significando che lo Spirito, che è come dire l’Amore assoluto e l’assistenza spirituale del Paraclito (Avvocato, Protettore) cioè del medesimo Spirito santo, agiscono in lui. Altre volte san Paolo usa la parola psyché: come s’è detto, egli non si riferisce a un’essenza eterea ma alla concreta individuale ragione-psiche che ogni essere umano (malati psichici integrali a parte ovviamente) possiede e che è concepita dal corpo, che Dio ha creato capace, a differenza del corpo animale, di ragionare sofisticatamente ad alto livello e di sentirsi individuo elevato sulle altre specie e ulteriormente elevabile credendo in Dio e nella propria assunzione a lui nell’eterno.

C’è un che di diverso tra corpo glorioso e corpo su questa terra; san Paolo scrive nella 1 Corinzi: “Ma qualcuno dirà: “Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno? Stolto! Ciò che tu semini non prende vita se prima non muore; e quello che tu semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco […]. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale (1 Cor 15, 35-44.). ” Tra vita terrestre e vita in Dio degli assunti c’è somiglianza, si tratta sempre di individui, non ci si confonde cioè nell’Essere perdendo la propria individualità come, invece, per certe filosofie religiose orientali. Risuscita, con l’individuale psiche-anima, trasformato in spirituale il soma del giusto: il corpo risorto dell’essere umano giustificato da Cristo e perciò assunto a Dio è un corpo glorioso pneumatico, ineffabile, spirituale, eternamente vivo per e nel Pneuma divino; in altri termini, un corpo glorioso pneumatico è una persona ineffabile, spirituale, eternamente viva per e nel Pneuma divino.

Non risorge una greca anima-essenza secondo il platonismo, anche se questa è l’idea vincente nella Chiesa tra la fine del II secolo e il XX; e ancor oggi tuttavia, nonostante molte discussioni teologiche e saggi pubblicati al riguardo, posteriori al concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), forse nel timore di scandalizzare fedeli, figura nel Catechismo della Chiesa cattolica l’affermazione che anzitutto è l’anima spirituale del beato che va a Dio e ch’ella si congiunge al corpo alla fine dei tempi.

Dobbiamo pensare più al neoplatonismo che a Platone e al platonismo di mezzo. Come rileva Aldo Moda8 , in particolare fu Plotino – peraltro, si può notare, filosofo assai critico verso il Cristianesimo – a rendere l’anima il substrato delle verità eterne, ad averne rifiutato la corporeità e ad averne affermato l’inseità, ad averne illustrato l’immortalità in quanto natura unica, semplice, interamente inclusa nel fatto di essere vivente. Il fondamentale Padre della Chiesa sant’Agostino, come già s’era accennato, oltre che da ormai consolidata tradizione ecclesiastica trasse, in primo luogo, dalla lettura delle Enneadi di quel filosofo neoplatonico la visione dell’anima in sé stessa spirituale e immortale.

II – OTTICHE ANTROPOLOGICHE CRISTIANE E CRISTIANEGGIANTI

La risurrezione di Cristo e, analogamente, l’assunzione a Dio per suo tramite degli esseri umani giustificati è un concetto inteso in tre guise diverse dai credenti, a seconda della loro ottica antropologica e, in generale, del loro pensiero metafisico-teologico:

1 Secondo i cristianeggianti gnostici, Gesù il Salvatore non porta in terra, come credono invece i cristiani, l’amore di Dio per ogni essere umano e l’insegnamento ad amarsi gli uni gli altri fino al sacrificio, ma offre la conoscenza del divino, la gnosi; il dono è indirizzato solo ai migliori, gli spirituali o pneumatici, che posseggono l’animo (o spirito o pneuma) oltre al corpo e all’anima-psiche, e non è rivolto agli esseri umani materiali, o ilici o terreni, che sono costituiti solo dal proprio corpo con la sua anima-psiche; per Valentino d’Alessandria († 165 circa) e i suoi seguaci esiste pure una terza categoria di umani, gli psichici, i quali sono privi di animo ma hanno sia libero arbitrio sia un’anima-psiche sufficientemente intelligente per poter raggiungere un certo livello di gnosi: a seconda delle loro scelte intellettuali, costoro possono salvarsi, anche se solo ai margini del pleroma, oppure morire per sempre come i materiali: per gli gnostici valentiniani essi stessi e gli altri gnostici sono spirituali, i giudei e i cristiani, i quali credono errando che il Demiurgo-Jahvè sia Dio stesso, sono psichici e possono salvarsi solo se, avendo psiche molto intelligente, riescono a giungere a un livello sufficiente di conoscenza del vero divino, i pagani sono materiali e senz’altro finiscono nel nulla della dannazione. Secondo il pensiero gnostico in genere, come d’altronde per il platonismo, l’uomo spirituale che ha raggiunto la gnosi quando muore è ammesso appieno nel pleroma di Dio col proprio animo, mentre il suo materiale corpo psichico perisce, proprio come quello degl’ilici e quello degli psichici che non si sono potuti o voluti elevare nella gnosi. Per gli gnostici anche Gesù il Salvatore risorge da morte soltanto come puro Spirito e non come corpo e anima umane; addirittura, per quei particolari gnostici che saranno detti doceti dagli studiosi – da dokeo, sembro – l’umanità di Cristo è soltanto apparente: apparenti sono il suo corpo psichico umano, la sua morte e la sua risurrezione, per essi Cristo è solo divino e semplicemente continua a essere nonostante l’apparenza della sua morte. Diversamente, secondo i cristiani il Salvatore oltre che Spirito è vero uomo in corpo e anima-psiche, egli è realmente ucciso e veramente risorge da morte. Tuttavia ci sono diversi modi cristiani d’intendere la Risurrezione:

2 Uno dei modi, suscitato non solo dal Nuovo Testamento ma da una mentalità essenzialista-platonica e che è tipico del Cristianesimo ellenizzato, è semidualista se non addirittura dualista. Secondo questo sentire la risurrezione è analoga per Cristo e per gli altri uomini ma con una differenza temporale: b1) per il solo Gesù, che è giustamente visto come vero Dio in Spirito e vero uomo in corpo e anima ma essendo questa ritenuta spirituale e intrinsecamente immortale, avviene la risurrezione dell’anima stessa nell’attimo del trapasso: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso” dice Cristo sulla croce al cosiddetto buon ladrone pentito, suppliziato alla sua destra (Lc 23, 43); e avviene la risurrezione e trasformazione in spirituale glorioso del corpo il terzo giorno dopo la morte; b2) per gli altri uomini, c’è assunzione a Dio dell’anima al momento della morte e solo alla fine dei tempi, al Giudizio Universale, anche il corpo risorge, si trasforma in spirituale glorioso e si ricongiunge alla sua anima, beandosi anch’esso in Dio. La differenza è dettata solo da una ragione pratica: per riconvertirsi dopo la crocifissione e morte di Cristo gli ormai increduli seguaci non solo dovevano incontrare il Risorto glorioso e spirituale, ma non ritrovare nella tomba il materiale suo corpo, altrimenti avrebbero pensato a una mera allucinazione e non avrebbero creduto: il corpo doveva sparire dal sepolcro e i discepoli di Gesù, vedendo la tomba vuota, potevano verificare che Cristo era interamente risorto, primizia fra i morti come dice san Paolo nella 1 Corinzi: “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 1, 20).

C) L’altro modo cristiano d’intendere la risurrezione è ispirato a un monismo radicale ed è quello stesso del Cristianesimo delle origini. Due però sono le relative ottiche, quella appunto dei primordi della Chiesa, detta della dormizione, e quella che viene formandosi col tempo sulla base della riflessione teologica e che si potrebbe dire della risurrezione istantanea integrale: c1) Nei primi due secoli della Chiesa si pensa, san Paolo in testa, che la persona morta dorma sino alla fine dei tempi e al Giudizio9 , quando i resti mortali dei salvati da Cristo si animano, trasformati finalmente in gloriosi e spirituali, e c’è l’assunzione a Dio della persona. c2) Col passar del tempo, mentre parallelamente si fa strada dalla fine del II secolo l’idea spiritualista e semidualista ricordata al punto B), ne sorge un’altra, sempre monista, che trova finalmente sistemazione teologica nella seconda metà del IV secolo in un paio di fondamentali omelie10 del Padre della Chiesa san Giovanni Crisostomo11 : morendo, si esce dall’immanente e perciò anche dal tempo, dunque è logico tralasciare l’idea, meramente umana, di dormizione e intendere, più essenzialmente, che nell’attimo stesso della morte c’è l’assunzione in Dio sia del corpo sia della sua anima-psiche che da esso è indivisibile: la persona completa salvata esce dal mondo-tempo, si trasforma sùbito in spirituale gloriosa e sale immediatamente al Trascendente, anche se nell’immanente continua a scorrere il tempo e il cadavere del beato vi rimane, ormai bruta materia: la massa di quel corpo si dissolverà nel nulla con tutto il resto dell’universo quando questo finirà – se finirà: il senso teologico di fine del mondo, al di là delle allegorie, è quello di fine della specie umana.

Quanto sopra per quanto riguarda la Salvezza dei beati o, se si preferisce altro termine, dei salvati.

Il concetto di purgatorio per molti secoli non c’è, i casi sono ancor solo due: senz’appello, o alla morte ci si salva, o ci si danna.

Per adesso si tralascia l’argomento purgatorio, ci si tornerà più avanti, in apposita sezione12 .

Per quanto riguarda la situazione infernale del dannato, essa è diversa a seconda delle concezioni antropologiche sopra richiamate:

Nel caso della concezione A) la dannazione consiste nell’annichilimento della persona ed è propria dello Gnosticismo; come s’era visto, essa riguarda le persone materiali, cioè prive di animo-pneuma, che alla morte cadono nel nulla, eterna privazione di Dio, cioè, in ancor più semplici parole, non risorgono e perciò più non esistono, e riguarda inoltre gli psichici che non si elevano nella conoscenza del vero divino. Non è questione d’amore e di odio come nel Cristianesimo, secondo gli gnostici non ci si danna per odio verso Dio e il prossimo, non ci si salva perché si ama alla sequela di Cristo, ma si cade nel nulla perché non si ha la conoscenza adeguata a salvarsi, e questa non è stata raggiunta perché non si possiede lo pneuma che l’avrebbe consentito.

Può essere interessante ricordare per inciso che per Platone non si tratta di persone spirituali da una parte e di altre irrimediabilmente materiali dall’altra, ma gli spiriti son stati resi tutti imperfetti dalla carne in cui sono stati imprigionati per colpa del Demiurgo, e però gli stessi, teoricamente tutti, possono giungere a perfezione e alla salvezza nell’Essere grazie alla ricerca durante una o più reincarnazioni, ricerca che comprende anche quella etica: quella stessa perfezione che, verosimilmente, il filosofo doveva ritenere d’aver ormai raggiunta egli stesso. Evidente è l’influenza su Platone del pensiero reincarnazionista orientale, forse non conosciuto direttamente dal filosofo ma assunto dal pitagorismo (cfr. il Fedone platonico) il cui pensiero non è dissimile da quello dell’induismo, tanto che per Pitagora anche gli animali partecipano allo stesso ciclo delle nascite e rinascite; Pitagora a sua volta poteva aver assunto l’idea dalla dottrina orfica che, reincarnazionista, vedeva nella ricerca e ritrovamento della memoria della propria origine divina l’unica possibilità d’uscita dalla ruota delle rinascite e di accesso finale al mondo dei giusti. L’idea di reincarnazione è anche uno dei cardini del successivo neoplatonismo; e qualche suggestione in merito tocca forse, per un momento, pure sant’Agostino che sappiamo influenzato dal neoplatonismo di Plotino; egli scrive nelle sue “Confessioni”: “Dimmi, Signore, dimmi se la mia fanciullezza venne dietro ad altra mia età morta prima di essa e se prima ancora di quella vita, o Dio mia gioia, io fui forse in qualche altro luogo o in qualche altro corpo.”

Nel caso del concetto antropologico B) secondo il quale l’anima-psiche è spirituale e immortale, si ha dapprima la discesa all’inferno, vissuto, della sola anima pneumatica immortale e, alla fine del mondo, pure del corpo che si riunisce eternamente all’anima; quindi si soffre anche una perenne pena fisica, come aveva scritto sant’Agostino nell’opera “De catechizandis rudibus”: “Quelli che deridono la resurrezione, credendo che questa carne che si decompone non può risorgere, risusciteranno in essa per le pene e Dio dimostrerà loro che chi poté fare questi corpi prima che fossero, può in un attimo restituirli così come erano.”13

Nel caso della concezione C), diversa sia da quella di anima immortale alla Platone, sia da quella del perituro sinolo umano alla Aristotele, mentre il corpo del giusto con la sua individuale psiche-anima risorge, quello del peccatore non pentito, semplicemente, resta morto: l’inferno coincide con la morte eterna della persona. Si possono al riguardo richiamare, fra altre affermazioni del Nuovo Testamento, la testimonianza di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni: “Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno […]”14 e, per contro, si può ricordare l’ammonizione di san Paolo nella lettera ai Romani: “[…] il salario del peccato è la morte” (Rm 6, 23); san Paolo tuttavia aggiunge, nello stesso versetto, “ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.”

Per inciso, può essere interessante un’osservazione relativa alla più volte citata concezione antropologica aristotelica del sinolo umano che, comunque, per lo Stagirita è mortale tanto che la persona sia stata giusta quanto che sia stata peccatrice: Tal idea, dopo essere passata in ambiente culturale arabo, insidia in tempo rinascimentale il credo di cristiani neo aristotelici; in particolare, influisce sull’illustre filosofo Pietro Pomponazzi il cui relativo pensiero, pubblicato nel 1516, viene giudicato eretico quasi immediatamente dal V concilio Lateranense, svoltosi fra il maggio 1512 e il maggio 1517 – vedi anche l’Appendice 2, I 21 concili ecumenici della Chiesa e tracce dei relativi argomenti trattati -, concilio che tuttavia, più che richiamarsi all’affermazione di san Paolo sulla trasformazione del corpo umano da materiale a spirituale, si basa sul platonismo con la sua anima umana naturalmente immortale. S’era scritto in un precedente saggio15 : “Il filosofo arabo Averroè (Ibn Rushd, 1126-1198) tanto tempo dopo Aristotele, afferma dietro di lui che l’intelletto produttivo16 è unico com’è unica la specie umana e conclude espressamente che non c’è permanenza in vita per la persona ma solo per le specie e che di quella umana sopravvive l’intelletto produttivo, cioè la razionalità dell’uomo di tutti i tempi, e non l’anima intellettiva personale17 . L’idea d’Averroè passa a un certo numero di cristiani colti, causando crisi di fede, tanto più che Aristotele è ormai considerato in quel tempo quasi un cristiano ante litteram, in qualche modo ispirato da Dio, almeno di fondo, prima della venuta di Cristo. Tra coloro che perdono la fede ragionando sull’inseparabilità di anima e materia, c’è il noto filosofo cristiano e aristotelico Pietro Pomponazzi (1462-1524), anche se continua a manifestarla pubblicamente, come tanti altri, secondo la cosiddetta doppia verità, religiosa e filosofica: un atteggiamento – che viene attribuito erroneamente all’aristotelismo averroista – tutto sommato di comodo perché mostrarsi credenti evita di correre rischi con l’Inquisizione e, comunque, di perdere privilegi sociali. Il Pomponazzi scrive un suo trattato sull’immortalità dell’anima proponendosi d’esporre fedelmente la dottrina d’Aristotele, diversa da quella, a suo parere, stravolta dalla dottrina cattolica scolastica e in particolare da san Tommaso d’Aquino, il quale secondo lui avrebbe coperto con la ragione quanto doveva riguardare la sola fede. Il Pomponazzi, in sintonia con Averroè, conclude che l’anima non può svolgere la propria più alta funzione, quella intellettiva, se privata dei dati provenienti dagli organi del corpo: anche per lui, morto il corpo, morta l’anima; ovvero, per il principio della doppia verità, se per la fede l’anima è immortale, secondo ragione invece muore col corpo, con cui costituisce un’unità vale a dire forma una singola persona, cioè, aristotelicamente, è un sinolo.

L’errore sta nel vedere la sopravvivenza in modo platonico, possibile cioè solo grazie a un’anima intrinsecamente immortale, invece di contemplare paolinamente, e pure secondo la Genesi, lo spirito di vita di Dio che, secondo il Cristianesimo del I secolo, non solo mantiene viva la persona sulla terra ma la fa risorgere dopo la morte, o per meglio dire la mantiene viva nell’Essere eterno, in modo soprannaturale, prescindendo dalla naturale mortalità del suo corpo e della sua inscindibile anima.

Parlerò ancora della sopravvivenza a proposito dei cosiddetti Novissimi, parola che è la trascrizione in italiano del termine latino plurale novissĭma cioè cose estreme o ultime. A volte lo si trova citato in greco antico come éschata. S’intende parlare in sintesi, usando tal vocabolo, di Paradiso (l’unico che si deve, o si dovrebbe, scrivere con l’iniziale maiuscola perché è un soprannome di Dio), di purgatorio, accolto dai soli cattolici e d’inferno.

Dirò anche qualcosa, per inciso, sul limbo dei neonati e dei giusti morti senza battesimo e di come nacque fra i teologi tal fantasiosa idea del limbo, non dogmatica nemmeno per i cattolici.

Intanto torniamo ai casi A), B), C) più nei particolari e cominciamo, nel capitolo seguente, a esaminare il caso A, la risurrezione del solo animo.

III – RISURREZIONE DEL SOLO ANIMO UMANO SECONDO I PLATONICI E GLI GNOSTICI CRISTIANEGGIANTI

Dualismo greco e gnostico e semidualismo cristiano platonizzato: cenni

È noto che, con eccezioni come il monista Aristotele, i filosofi greci antichi hanno di regola un’ottica antropologica dualista, dagli orfici ai pitagorici a Platone fino a Plotino: per loro, corpo psichico e spirito dell’essere umano sono scindibili e il primo ha fine con la morte mentre lo pneuma, parte nobile dell’uomo di natura spirituale, sopravvive, si reincarna più volte e si confonde finalmente con Dio, per cui si può dire che l’individuale persona non c’è più, come d’altro canto, fuori d’Europa, è nel sentire delle religioni e metafisiche orientali reincarnazioniste dal buddismo in poi, che influisce in tal senso sull’induismo il quale, precedentemente, contempla invece un ciclo eterno e disperante di morti e rinascite.

L’idea dualista – o se vogliamo, trialista, ma usiamo il classico termine considerando singolare il corpo psichico – col pneuma da una parte e la psiche e il corpo dall’altra, è accolta sia dall’ipotetico Gnosticismo precristiano, o comunque acristiano, sia da quello cristianeggiante.

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