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La Corona Bronzea
La Corona Bronzea
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La Corona Bronzea

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«Stai zitto, tu! Sarai vecchio e invalido, ma combatti molto meglio e sei molto pi? astuto di un giovane guerriero. E poi...»

Le parole gli si smorzarono in bocca, perchе erano arrivati alla fine del corridoio. La porta spalancata di fronte a loro mostrava la sala da pranzo, dove una lunga tavolata era imbandita con ogni ben di Dio. Due riverenti servitori tenevano aperte le pesanti tende di velluto rosso che fungevano da riquadro all’uscio. Al loro passaggio si proferirono in un profondo inchino, poi richiusero le tende una volta che gli ospiti ebbero varcato la soglia. Andrea e Gesualdo guardarono con meraviglia gli arrosti di pavoni, fagiani e faraone, le patate arrosto e le verdure lesse. Tutti i piatti erano abbelliti da decorazioni, in un tripudio di colori raro a vedersi. Per non parlare degli odori, che giungevano alle narici di Andrea a ricordargli i profumi che solo nella casa paterna aveva a suo tempo apprezzato, e che aveva quasi del tutto dimenticato. Il vino nelle brocche era rosso, del tipico colore scuro del vino del Monte Conero. Andrea avvert? una leggera gomitata, preludio del consiglio sussurrato dal Mancino.

«Vacci piano con il vino. Per uno come te, abituato a Verdicchio e Malvas?a, il Rosso Conero pu? essere pericoloso. Va subito alla testa!»

«Il momento favorevole potrebbe non durare a lungo, e quindi dobbiamo agire ora a sostegno del nostro amico Sigismondo Malatesta», inizi? a dire Berengario rivolto ai suoi ospiti, mentre addentava un coscio di pollo, tenendolo per l’osso, mentre l’unto dalla mano gli scivolava lungo l’avambraccio. «Ora che Leone X ? morto, Urbino e il Montefeltro vanno strappate ai Medici e alla Santa Sede! Entro breve tutti i territori delle Marche, compresa la Marca Anconitana, dovranno essere riportati ai giusti equilibri. Sottomessi s?, allo stato della Chiesa, ma pur sempre con governi civili indipendenti. Purtroppo, il Duca Francesco Maria Della Rovere sembra essersi ritirato nella sua Senigallia, rinunciando a riconquistare il Ducato di Urbino, toltogli da Cesare Borgia e poi passato al nipote di Papa Leone X. Inoltre, i territori di Jesi sono nel pi? totale abbandono. Dopo la morte del Cardinal Baldeschi, ? stato inviato un legato pontificio, che sembra non abbia tanto intenzione di governare la citt?, quanto di finire di ridurla allo stremo, alla miseria, approfittando della vacanza di un governo civile.»

A queste ultime parole, il cuore di Andrea fece un balzo. Il governo civile della citt? di Jesi era suo di diritto. Se il Duca di Montacuto voleva ristabilire gli equilibri politici, sarebbe bastato che lo avesse rinviato nella sua citt?, e ci avrebbe pensato lui a mettere a posto le cose e far rientrare nei ranghi questo famigerato legato pontificio. Che senso aveva mandarlo a combattere per il Signore di Rimini? Ma forse gli intenti del Montacuto erano ben altri. Forse gli avrebbe fatto comodo mantenere la situazione di disordine nella vicina Jesi, ora che aveva fatto fuori il Consiglio degli Anziani e aveva preso in mano il governo della Citt? e della Marca Anconitana. Magari, all’ultimo momento, avrebbe girato le spalle a tutti e avrebbe venduto Ancona al Papa per qualche decina di migliaia di fiorini d’oro. O forse si sarebbe alleato segretamente con il Duca della Rovere e avrebbe fatto fronte comune con lui, contro il Papa e contro lo stesso Malatesta, affinchе quest’ultimo non avesse esteso le sue mire espansionistiche verso Sud. Chiss?! Ad Andrea non sarebbe dispiaciuto ritornare a Jesi e poter rivedere la sua amata. Ma se neanche era stato informato della morte del suo giurato nemico, il Cardinal Baldeschi, figuriamoci se fosse passato per la mente del Duca farlo ritornare in patria. Per cui Andrea decise di rimanere in silenzio e seguitare ad ascoltare il ragionamento del Duca Berengario, portando distrattamente alla bocca alcune patate e assaporando la loro delicata bont?. Solo fino a pochi anni prima non si conosceva neanche l’esistenza di questo delizioso tubero, che era stato da poco importato dal Nuovo Mondo. Un servo gli vers? del vino rosso nella coppa e lui lo trangugi? per accompagnare le patate lungo il loro percorso verso lo stomaco.

«Il Papa da poco nominato, Adriano VI, ? un burattino, un fantoccio in mano all’oligarchia ecclesiastica, che ha fatto s? di spazzare via la casata dei Medici, che stavano prendendo troppo potere, finanche a Roma. Non credo che durer? a lungo, prima che Giulio de’ Medici escogiti qualcosa per farlo fuori e riprendere le redini dello Stato Ecclesiastico. Per cui dobbiamo sfruttare il momento, prima che sia troppo tardi. Domani mattina di buon ora, Andrea, partirai per Pesaro, dove prenderai il comando di una guarnigione dell’esercito di Sigismondo Malatesta. Guiderai questa guarnigione verso Urbino, mentre il Malatesta raggiunger? la stessa citt? da Nord con il resto del suo esercito, attraverso i territori del Montefeltro. Stringerete Urbino in una morsa, da nord e da sud e, sia Medici che occupano il Montefeltro, che il conte Boschetti che governa Urbino su incarico della Santa Sede, non avranno scampo. Tu, Gesualdo, accompagnerai Andrea fino a Pesaro. La strada ? lunga e rischiosa, e tu conosci le vie migliori da percorrere. Farai in modo che Andrea giunga a destinazione il prima possibile. Poi tornerai subito indietro. Che non venga a sapere che per qualche motivo, valido o meno che sia, tu abbia seguito Andrea in battaglia. Entro quattro giorni ti rivoglio qui a castello, altrimenti…», e si pass? due dita a strisciare la pelle del collo, simulando quello che avrebbe fatto la lama di un coltello premuto contro la giugulare.

Anche cercando con se stesso di non ammetterlo, Andrea aveva scorto brillare una luce di tradimento negli occhi del Duca, mentre questi parlava. Non si era mai fidato di lui, e ora anche meno. Quando poi lui e Gesualdo furono congedati e, uscendo, incrociarono due brutti musi di sgherri, che non si erano mai visti prima a corte, i timori di Andrea furono ancor pi? accentuati. Per fortuna il Mancino, in cui aveva cieca fiducia, nelle ore e nei giorni a venire, gli sarebbe stato accanto a difenderlo a costo della sua stessa vita.

«Secondo te chi sono quei due, Gesualdo? Sicari, forse? Tagliagole?»

«Non saprei. ? la prima volta che li vedo. Ma le loro facce non ispirano alcunchе di buono. Ma non parliamone qui. Vieni, andiamo a scegliere i cavalli per domattina. Nelle stalle potremo parlare tranquillamente.»

Quando Matteo e Amilcare furono dentro il salone, il Duca fece sprangare la porta, poi battе le mani. Subito alcune ancelle, in abiti colorati, dalle trasparenze che mettevano ben in evidenza tutte le loro grazie femminili, raggiunsero la sala da una porta secondaria e iniziarono a danzare sulla base di una melodia suonata da invisibili musicanti, nascosti chiss? dove. Berengario aveva pi? di sessant’anni e, in vita sua, aveva avuto ben tre mogli, tutte scomparse in giovane et? e in circostanze misteriose. Qualcuno, a corte, mormorava sul fatto che le avesse fatte uccidere lui stesso, una volta che gli erano venute a noia. Era sempre stato un lussurioso, oltre che un amante delle delizie della tavola, tanto da avere dubbi su quale girone infernale sarebbe andato a finire dopo la sua morte. Ma poco importava. L’importante era godere dei piaceri che la vita offriva, finchе poteva. E da questo punto di vista, in privato, non si faceva mancare nulla. Allung? il braccio verso una delle ancelle, quella che indossava una tunica di color rosso acceso, e gliela strapp? via lasciandola del tutto nuda. La ragazza sapeva gi? cosa doveva fare, ed era bene a conoscenza del fatto che, se non avesse assolto a dovere il suo compito, l’indomani il suo corpo senza vita sarebbe stato ritrovato in mezzo al bosco da qualche cacciatore. Si avvicin? al Duca e gli abbass? le calze braghe. Poi prese il membro tra le sue mani fino a farlo inturgidire, abbass? i suoi seni prosperosi verso il basso ventre del suo signore, cercando di farlo eccitare sempre di pi?. Solo quando ritenne che l’uomo era sul punto di esplodere, si rigir? e si fece sodomizzare. Alla fine, il Duca cacci? un grido soddisfatto di piacere e, per ricompensa, infil? una moneta d’oro nella fossetta tra i seni della giovane, che fu abile a trattenerla senza farla cadere in terra.

«Avanti, miei cari ospiti! Ci sono cibo e donne per tutti, qua dentro. Fatevi sotto. Offro io, e oggi sono generoso. E alla fine, parleremo anche di affari.»

Le stalle del castello di Massignano erano in grado di ospitare pi? di un centinaio di cavalli, ma al momento ne erano presenti una trentina. Tralasciando le giumente pi? tranquille e docili, il Mancino guid? Andrea fino alla zona in cui erano stati realizzati alcuni scomparti in muratura, dove i destrieri pi? focosi erano rinchiusi a evitare che si innervosissero solo vedendosi tra di loro.

«Gli stalloni sono pi? difficili da montare, ma danno molte pi? soddisfazioni. Sono molto pi? veloci e possono scagliarsi contro il nemico infischiandosene delle frecce che sibilano vicino alle loro orecchie. E anche se li appesantisci con le armature, diminuiscono di ben poco il loro rendimento. Ecco qua», disse Gesualdo aprendo la porta di un ricovero, dove un cavallo tutto nero nitr? nervoso alla vista dei nuovi arrivati. «Ruffo ? il mio preferito. ? un murgese, un cavallo originario della Puglia, dove un tempo venivano allevati i cavalli per l’Imperatore Federico II di Svevia e per la sua casata.»

Andrea apprezz? le stupende forme del destriero, poi abbass? lo sguardo per studiarne zampe e zoccoli.

«Si vede che non ? un cavallo allevato in pianure verdi e umide, ma sulle colline aride e pietrose della Murgia. Amiamo molto ricordare Federico II a Jesi, perchе ? la citt? dove egli nacque, e io ho avuto modo di avere tra le mani il suo trattato De arte venandi cum avibus, dove descrive come questi fossero cavalli adatti alla falconeria, in quanto, al contrario di altri, il Murgese non teme un falco o un’aquila che gli svolazzino intorno, specie quando essi scendono in picchiata per ritornare sul braccio guantato del padrone…»

I loro discorsi furono interrotti dall’udire voci che indicavano la presenza di altre persone. Il Mancino fece cenno ad Andrea di fare silenzio e di rimanere nascosto, acquattandosi vicino a Ruffo e accostando la porta di legno del ricovero senza chiuderla del tutto. I due sgherri poc’anzi incrociati nelle stanze di sopra avevano forse avuto la loro stessa idea, quella di venire a scegliere i cavalli per l’indomani. Convinti che non ci fosse nessuno nelle stalle, parlavano a voce piuttosto alta, cosicchе era facile captare i loro discorsi. Un groppo sal? alla gola di Andrea quando i tipi si fermarono proprio avanti alla porta semichiusa del ricovero di Ruffo. L’idea di essere scoperti l? dentro e doverli affrontare non ? che gli garbava molto, anche perchе sia lui che Gesualdo erano disarmati.

Per fortuna i due passarono oltre.

«Meglio non rischiare di cavalcare stalloni che non conosciamo», disse quello pi? anziano e pi? brutto, un tipo dal viso butterato incorniciato da una barba spelacchiata. «Prendiamo piuttosto due giovani castroni. Tanto abbiamo il vantaggio della notte. Raggiungeremo con comodo la Torre di Montignano e avremo tutto il tempo di preparare l’imboscata. Sar? un lavoro semplice e veloce e il Duca sapr? ben ricompensarci.»

L’altro accompagn? le ultime parole dette dal compare con una sonora e grassa risata. Sotto gli occhi increduli di Andrea e Gesualdo, che continuavano a rimanere ben nascosti, gettarono le loro misere bisacce sui primi due cavalli che capitarono loro a tiro, saltarono in groppa agli animali e scomparvero nel buio della notte, lasciando dietro di sе la scia delle loro risate sguaiate e del loro odore pestilenziale.

CAPITOLO 5

Cultura ? quella cosa che i pi? ricevono,

molti trasmettono e pochi hanno.

(Karl Kraus)

Anche quella mattina, Lucia si risvegli?, con i primi raggi del sole che filtravano dalla persiana, tra le braccia confortanti di Andrea. Il suo corpo nudo, saturo d’amore, dell’amore dato e ricevuto durante la nottata, era protetto dalle braccia forti e muscolose del suo amato, che lo racchiudevano come un guscio. Conosceva Andrea da cos? poco tempo eppure ne era talmente innamorata che non avrebbe pi? potuto concepire la sua vita senza di lui. Se in quel momento si fosse svegliata su un letto da sola, gi? si sarebbe ritrovata con una sigaretta accesa fra le dita, ancor prima di alzarsi. E invece ora no, ora c’era Andrea ad appagarla, e non c’era bisogno di nient’altro. Aveva scoperto in lui un uomo appassionato di cultura, di storia, di letteratura antica e moderna, e questo faceva di quel giovane il compagno ideale per lei, con cui condividere interessi e passioni, oltre la dimora e il letto. Gli aveva chiesto pi? di una volta che lavoro facesse e lui aveva sempre risposto in maniera evasiva: l’antropologo, l’archeologo, il geologo. Insomma, ancora non aveva capito quale fosse esattamente la sua fonte di sostegno economico. Per essere un ricercatore, come si definiva, doveva avere un supporto, essere un borsista in una qualche Universit? come minimo, italiana o straniera che fosse. Oppure avere finanziamenti da qualche importante organizzazione privata interessata ai suoi studi. Sapeva bene lei come fosse difficile portare avanti delle ricerche con gli scarsi fondi messi a disposizione dal governo e dal Ministero dell’Universit? e della Ricerca. Sembrava invece che Andrea avesse disponibilit? economiche sufficienti per realizzare tutto quello che gli passava per la testa. Ma forse era supportato dalla ricchezza della sua famiglia di origine. Chiss?, magari i Franciolini, nel tempo, avevano saputo amministrare i loro beni in maniera pi? efficace e produttiva rispetto ai Baldeschi-Balleani. Ma che importava? Lei ora godeva ancora del calore del contatto pelle contro pelle, contrastato dal fresco delle lenzuola che ricoprivano in parte i loro corpi. Fuori ben presto il sole avrebbe picchiato forte, ma le spesse mura dell’antico Palazzo Franciolini mantenevano l’ambiente fresco anche in piena estate, senza bisogno di installare alcuno split di aria condizionata.

Aveva cercato di limitare al massimo i suoi movimenti, ma a un certo punto Andrea aveva percepito il suo risveglio, aveva appena aperto le palpebre a fessura, aveva avvicinato le labbra al suo viso, le aveva stampato un bacio su una guancia e l’aveva sciolta dall’abbraccio con delicatezza. A quel punto Lucia, anche se a malincuore, decise di alzarsi. Raggiunse il bagno e fece scivolare a lungo l’acqua tiepida della doccia sul suo corpo, poi, ancora in accappatoio e con i capelli bagnati, guadagn? la cucina e prepar? il caff?, per lei e per Andrea. Si sedette al tavolo, con la tazza fumante avanti a sе, riprendendo con avidit? la lettura del testo che aveva lasciato l? sopra la sera precedente. Attirato dal forte odore della bevanda, in breve apparve Andrea, che tir? gi? il suo caff? dal bricco e si sedette di fronte a lei, attivando il tablet per leggere le notizie della mattina sul sito dell’ANSA.

«Non capisco perchе non accenda la televisione, anzichе rovinarti la vista su quel piccolo schermo. In certi canali ci sono notiziari in continuazione e…»

«Non ? lo stesso», la interruppe Andrea. «Certe notizie particolari in TV non le passano. Sto seguendo con attenzione le vicende dei siti archeologici oggetto di distruzione da parte dei Jihadisti, degli estremisti islamici. I notiziari ufficiali ci stanno facendo credere che la situazione sia molto pi? grave di quello che non ? nella realt?. Ma comunque, per me, la perdita di reperti vecchi di millenni resta comunque un fatto di estrema gravit?. Quando alcune di queste zone saranno liberate, credo che potrei essere pronto a partire subito per valutare i danni e aiutare alla ricostruzione storica delle antiche citt?. Abbiamo visto lo scorso anno con Ninive che si ? potuto recuperare molto di ci? che i militanti dell’ISIS avevano mostrato come distrutto.»

«E lasceresti me qui da sola per dei ruderi vecchi di millenni?», si rivolse a lui afferrandogli la mano e trattenendola tra le sue.

«Se tu non volessi seguirmi, s?. Il lavoro ? lavoro, e il mio lo ritengo molto appassionante. Certo, non che smetterei di amarti, ma non rinuncerei comunque ai miei impegni.»

Fingendo di fare un po’ l’offesa, Lucia ritir? le mani, cerc? il pacchetto delle sigarette e ne accese una.

«Senza magari disdegnare qualche avventura amorosa esotica, eh? Mmmm… Mai fidarsi degli uomini: sono traditori per natura.»

Lucia aspir? a lungo dalla sigaretta e sbuff? il fumo verso di lui, che gliela prese via dalle mani e fece a sua volta una tirata.

«Oh, non io. Sono un uomo fedele!»

«Questa affermazione ? tutta da valutare. Hai trent’anni suonati e fai l’amore come una persona “esperta della materia”. Non so niente della tua vita precedente. Chiss? quante donne hai avuto prima di me!»

Come per non invischiarsi in un discorso che non volesse affrontare per nessun motivo al mondo, Andrea cambi? argomento.

«Ma veniamo al tuo lavoro, piuttosto. Che cosa hai trovato di cos? interessante nell’umile biblioteca di questa dimora, da farti stare in piedi fino alle due di notte e ritrovarti qui alle sette della mattina che gi? hai ripreso la lettura?»

In attesa di una risposta, Andrea schiacci? nel posacenere la sigaretta consumata solo per met?. Lucia, non soddisfatta della dose di nicotina assunta, tir? fuori dall’astuccio la sigaretta elettronica e ag? sul tasto d’accensione. Il vapore sbuffato dalla giovane si dilegu? nell’aria della cucina.

«Questi documenti si riferiscono alla storia di questa citt? nei primi decenni del XVI secolo, e sono interessanti, perchе descrivono gli eventi succeduti alla morte del Cardinal Baldeschi, in maniera diversa da come li conoscevo e da come sono descritti nei testi ufficiali della storia di Jesi. ? molto strano come la copia de “La Storia di Jesi” conservata in questo edificio, che dovrebbe essere gemella delle altre due rinvenute nel Palazzo Baldeschi–Balleani e nella Biblioteca Petrucciana, non abbia le pagine strappate, ma sia integra. Ma quello che ? pi? interessante ? che alcuni particolari sono riportati in maniera difforme rispetto agli altri testi che ho avuto modo di avere sotto mano.»

«Ad esempio?», chiese Andrea incuriosito.

«Ad esempio, io ero convinta che un alto prelato della famiglia Ghislieri fosse succeduto alla carica Vescovile al Cardinale mio avo. Invece sembra che le cose fossero andate ben diversamente e il Ghislieri sia giunto a ricoprire questa carica solo dopo un certo periodo di tempo. Pensavo che mai la mia antenata Lucia Baldeschi avrebbe assunto la carica di Capitano del Popolo e invece qui viene riportato che dal 1522, per un certo periodo, il governo della citt? fu portato avanti, anche se in collaborazione con la nobile casta jesina, da una donna, che addirittura aveva scongiurato una ribellione popolare, riappacificando gli animi infiammati con la sua sensibilit? femminile. Molto strano per quei tempi!»

«Credo che di certe notizie si debba valutate la veridicit?. Non ? infrequente che in documenti di epoche remote siano riportati clamorosi falsi storici. E poi spesso chi redigeva queste cronache tendeva a mescolare realt? e leggende in maniera davvero facile. Su, vestiamoci e usciamo a fare quattro passi per il centro storico, prima che l’aria, l? fuori, si scaldi troppo. A volte le pietre rivelano molto pi? dei libri, se uno le sa interpretare. Lasciati guidare da un archeologo, e non te ne pentirai!»

Convinta che Andrea sapesse molte pi? cose di quelle che nel giro di alcuni mesi le aveva rivelato, corse in bagno, diede una botta di fon ai capelli per finirli di asciugare, si trucc?, si infil? una maglietta e un paio di jeans e si ripresent? in cucina pronta per uscire. Sent? l’occhiata compiaciuta di Andrea su di lei, rendendosi conto che, non essendosi affatto preoccupata di indossare un reggiseno, la forma dei suoi capezzoli era distintamente stampata sulla t-shirt. Ma chi se ne importava. Se anche Andrea fosse stato geloso delle sue grazie, meglio cos?: uomo geloso, uomo innamorato!

Mentre risalivano, mano nella mano, le scalette di Costa Baldassini, godendo dell’aria ancor fresca delle prime ore del mattino, Lucia lasciava che le pietre delle antiche costruzioni le sussurrassero storie vecchie di secoli, rimuginando nella sua testa quanto aveva letto la sera precedente.

MISERIA

Le scorrerie degli eserciti invasori non erano terminate e, tra il 1520 e il 1521 sostarono dalle nostre parti gli uomini di Giovanni De’ Medici prima e quelli di Leone X poi. Erano, questi ultimi, Svizzeri assoldati dal Papa, e che si erano trattenuti per ventisei giorni, recando danni infiniti alla citt? e al contado.

Oltre ai danni e alle angherie, la peste era tornata come un incubo a terrorizzare la popolazione. In un Consiglio generale del 6 dicembre 1522, trattandosi di provvedere sopra un minacciato passaggio di 2.500 spagnoli militanti al

soldo del Papa, si deliber? di fare il possibile per allontanarli, anche con qualche dono, e se volessero venire ad ogni modo, di riceverli fuori della citt?, essendo risaputo che essi portavano con loro il contagio. Tutta l’Italia, del resto, in quegli anni era ridotta nelle pi? misere condizioni. Alle rovine e carneficine causate dalle battaglie e dalle scorrerie degli eserciti stranieri, si aggiungevano le alluvioni e la peste, che continuava ovunque a fare le sue vittime. Nonostante l’opera preventiva dei cittadini, il terribile morbo, secondo alcuni, in particolare secondo lo storico Antonio Gianandrea, sarebbe giunto a Jesi per via d’Ancona, in certe balle di corde. Dicesi anche che detta peste venne per giusto giudizio di Dio, perchе l’anno avanti alcuni giovani, trovando un corpo morto di un forestiero in casa Caldora, tutto intero, per gioco, lo portarono nei giorni di Carnevale in maschera per la citt? e, non essendo stati di ci? puniti, ma piuttosto da tutto il popolo aiutati, in sogno apparve loro l’immagine di un uomo nero che li avvertiva che poco appresso sarebbero morti di peste. Sta di fatto che la peste gett? la popolazione nella miseria pi? nera.

Gi? l’anno prima una moltitudine di locuste avevano quasi mangiato tutte le biade, apportando una grandissima fame e tante altre miserie, che fu opinione universale che, se il Magistrato non avesse aiutato molti col denaro pubblico e ordinato che si premiassero quelli che ammazzavano una certa quantit? di locuste, l’anno seguente una buona parte della cittadinanza sarebbe morta di fame. Fu tale la miseria che i pi? poveri, non avendo di che sfamarsi, erano costretti a cibarsi di erbe, come le bestie, e di qualche quantit? di semola.

Intanto i due giovani, quasi col fiatone, erano giunti in cima alla salita, avevano percorso un breve tratto di Via Roccabella ed erano sbucati in Piazza Colocci, illuminata dal sole di una splendida giornata di luglio, fermandosi ad ammirare la facciata del Palazzo del Governo, dai pi? conosciuto come Palazzo della Signoria.

«Non capisco perchе si insista a chiamarlo Palazzo della Signoria, quando a Jesi una vera e propria Signoria non ? mai esistita», esord? Lucia rivolta al suo erudito compagno, sperando nel suo solito competente intervento.

«E in effetti Jesi era una Repubblica, come vediamo riportato in diverse scritte sulle icone delle pareti di questo palazzo. Una repubblica comunque assoggettata al pi? alto potere papale, che estendeva fin qui le sue ali protettive: “Res Publica Aesina, Libertas ecclesiastica - Alexander VI pontifex maximus”. Questo per ricordare a tutti che lo stesso Papa Alessandro VI, nell’anno 1500, inaugur? e bened? questo palazzo, opera dell’architetto Francesco di Giorgio Martini, concedendo alla citt? di Jesi di continuare a essere una repubblica indipendente e di continuare a poter fregiare il simbolo della citt?, il leone rampante, con la corona regale, purchе fosse comunque ossequiosa del potere della Chiesa, e nel contempo accettasse l’importante presenza di un legato pontificio.»

«Interessante. Quindi ? evidente che il nome Palazzo della Signoria sia legato all’architetto che lo ha realizzato, e che ? tra coloro che progettarono il Palazzo Vecchio a Firenze.» In quel momento Lucia pos? lo sguardo sull’icona in marmo, raffigurante in rilievo il leone rampante, sovrastato da una posticcia corona di bronzo. Sotto l’icona, una scritta in un latino poco comprensibile. «Sembra che quella corona, al di sopra del leone, c’entri ben poco con il resto dell’opera. Perchе lo scultore che ha realizzato l’opera non ha scolpito anche la corona sopra la testa del leone? E questa iscrizione? Un latino molto approssimativo, direi. Neanche le date sono scritte in maniera corretta!»

MCCCCLXXXXVIII

AESIS REX DEDIT FED IMP

CORONAVIT RES P. ALEX

VI PONT INSTAURAVIT

«Certo», replic? Andrea. «? un latino piuttosto “maccheronico”, ma che vogliamo farci, qui siamo tra la fine del 1.400 e l’inizio del 1.500. Forse la grammatica latina era caduta nel dimenticatoio. Ma il senso della frase ? che nel 1498, con la benedizione di Papa Alessandro VI - Rodrigo Borgia - nella facciata del Palazzo della Signoria di Jesi al leone rampante fu aggiunta la corona, in onore dei natali dati dalla citt? all'Imperatore Federico II. Ma se sollevi lo sguardo vedi anche che il Papa fece aggiungere un’altra icona, quella raffigurante le chiavi incrociate, simbolo del vaticano, e la frase “LIBERTAS ECCLESIASTICA – MCCCCC”, per rafforzare il concetto di cui parlavamo poc’anzi.»

«Cercando di tradurla alla lettera, il senso della frase mi sembra un po’ diverso», prosegu? Lucia. «Prendendo il leone come soggetto sottinteso della frase, si potrebbe tradurre: Re Esio lo diede, Federico imperatore lo coron?, a simbolo della “Res publica”, Alessandro VI Pontefice lo instaur?. Ossia, Re Esio, il mitico fondatore della citt? di Jesi, indic? il leone come simbolo della stessa; in seguito, l’Imperatore Federico II, che ebbe i natali qui a Jesi, lo fece incoronare proclamando la citt? “regia”, ossia fedele all’Impero; infine Papa Alessandro VI fece installare il simbolo sulla facciata del palazzo, a suggellare il fatto che Jesi rimaneva comunque una repubblica indipendente, sia pur soggetta all’autorit? ecclesiastica.»

Dubbioso, Andrea rimase qualche istante in silenzio, poi riprese, non senza una punta di scetticismo.

«Dovrei consultare alcuni testi per risponderti in maniera adeguata. In ogni caso, su un fatto hai di certo ragione: la corona in bronzo ? stata aggiunta in maniera posticcia in un tempo posteriore all’esecuzione della scultura vera e propria.

CAPITOLO 6

Tutto prendeva luce da lei: era lei il sorriso che illuminava tutto, d’ogni intorno.

(Leone Tolstoj: Anna Karenina)

Le luci del pomeriggio gettavano ombre sinistre sui volti della folla infuriata. Lucia fu lesta a risalire di corsa la Costa dei Pastori, percorrere in diagonale la buia strada che correva sotto le mura della Rocca e spuntare nella Piazza del Governo, prima ancora che il primo dei facinorosi giungesse in quel luogo risalendo la Costa dei Longobardi. Sal? i tre gradini che conducevano al sagrato della Chiesa di Sant’Agostino, rimanendo cos? in posizione pi? elevata rispetto alla Piazza. Di fronte a lei, dalla parte opposta del piazzale, si ergeva il Palazzo del governo, da poco terminato e rifinito anche all’interno grazie all’opera di illustri architetti, quali Giovanni di Gabriele da Como, Andrea Contucci, detto il Sansovino, e altri insigni scultori e intagliatori di legno. Solo il fabbro lignario doveva ancora completare il suo lavoro: gli era stato assegnato il delicato compito di intagliare e lavorare di rilievo i soffitti della Sala Grande, di quella della cancelleria, della Camera del Podest? e di altre stanze.

Quando le prime persone armate di rudimentali attrezzi, quali forconi, asce, vanghe, ma anche coltelli e lance rimediate chiss? dove, iniziarono a giungere rumoreggiando nella Piazza del Governo, Lucia cerc? di ergersi in tutta la sua altezza, per farsi notare da tutti, sovrastando la folla. Era emozionata, aveva il cuore in gola, non sapeva se le parole che sarebbero uscite dalla sua bocca potevano essere quelle giuste. Ma doveva tentare il tutto per tutto. Qualcuno inizi? a riconoscerla, indicandola ad altri, a coloro che man mano stavano invadendo la Piazza.

«? la nobile Lucia Baldeschi! La promessa sposa del mancato Capitano del Popolo!»

«Gi?, avessimo avuto Andrea dei Franciolini a capo della citt? e del contado, non saremmo di certo ridotti cos?!»

Lucia temeva che qualcuno, a quel punto, potesse dire che lei era d’accordo con il suo malvagio zio per far fuori Andrea, e che se quest’ultimo non era stato giustiziato era stato per un puro caso, e non certo per la sua intercessione. Non si era nemmeno resa conto che tutto intorno a lei si stava formando come un’aura luminosa, cos? intensa che la gente ne ebbe quasi timore. Mentre il sole calava, la Piazza era illuminata dalla luce che lei stessa sprigionava da l?, dal sagrato della chiesa. Quando alz? le braccia e tutti si ammutolirono, a Lucia non sfuggirono le frasi bisbigliate da chi era pi? prossimo a lei.

«? una santa. ? la Vergine Maria fatta persona!», dicevano inginocchiandosi e lasciando cadere a terra le loro armi. Tutto ci? infuse maggior coraggio in lei, che sapeva di avere poteri al di sopra della norma, che a volte sfuggivano al suo controllo, come in questo caso. Ma non poteva perdere tempo a correre dietro ai suoi pensieri, al fatto che se la nonna avesse avuto il tempo necessario a finirla di istruire, ora avrebbe saputo controllare alla perfezione queste sue capacit?. Doveva parlare a chi le stava di fronte. Lasci? dunque che le sue parole fossero ispirate dallo spirito della sua nonna, che forse ancora aleggiava indomito intorno a lei.

«Ors?, signori, sollevarsi contro le autorit? non ha alcun senso. L? dentro quel Palazzo, i nobili e gli anziani di Jesi, quelli che noi chiamiamo il Consiglio dei Migliori, stanno solo aspettando una guida forte. E questo ? il momento giusto. S?, perchе il Papa Adriano VI ha deciso di richiamare il legato pontificio, ritenendo che il Cardinal Cesarini sia pi? utile a Roma, che non qui a Jesi, dove peraltro non ? quasi mai presente. E questo ? un bene per noi!»

La notizia, ancora sconosciuta alla maggior parte dei presenti, anche perchе solo in parte vera, fece il suo effetto e il brusio cominci? a sollevarsi tra la folla, costringendo Lucia ad alzare il tono della voce, fin quasi a provare dolore alla gola.

«Come dicevo questo ? un bene per noi. Abbiamo pieno diritto di cacciare gli esosi vicari del Cardinale. E lo faremo senza spargimento di sangue. Gi? so di avere l’appoggio del Papa, a cui ho inviato delle missive in proposito, tramite dei messaggeri che sono gi? in viaggio per Roma. Padre Ignazio Amici, il Domenicano Inquisitore, sta gi? facendo i bagagli, ma state certi che non sar? il solo a lasciare la citt? nei prossimi giorni. E avremo di nuovo un Vescovo Jesino, il Cardinale Ghislieri. Avanti, dunque, deponete le armi, tornate a casa e dormite sonni tranquilli. Anche perchе – e questa ? una solenne promessa da parte mia – domani mattina stessa varcher? quel portone, s?, il portone del Palazzo del Governo. Mi presenter? al Consiglio dei Migliori e reclamer? la carica che mi spetta di diritto, per essere stata promessa in sposa ad Andrea Franciolini: SAR? IL VOSTRO CAPITANO DEL POPOLO!»

L’entusiasmo esplose tra gli astanti, chi era in ginocchio si sollev?, tutti abbandonarono attrezzi e armi che avevano in mano, qualcuno si diresse verso la giovane nobildonna per sollevarla e portarla in trionfo lungo Via delle Botteghe fino a Piazza del Mercato. Lucia, sollevata dalle braccia di alcuni energumeni, sorrideva, e il suo sorriso illuminava tutto e tutti. A un certo punto anche le campane delle varie chiese iniziarono a suonare a festa. Quando il corteo giunse dinanzi a Palazzo Baldeschi, Lucia chiese di essere messa a terra, perchе era molto stanca e voleva rientrare nella sua dimora per riposare.

«Andate ora, e ritornate domani a festeggiare il nuovo Capitano del Popolo e il nuovo Vescovo di Jesi.»

Mentre la folla si disperdeva e Lucia stava per varcare la soglia del suo palazzo di famiglia, a molti non sfuggirono i movimenti l?, all’ingresso di Palazzo Ripanti. Il vicario del Cardinal Cesarini stava facendo caricare in fretta e furia i suoi bagagli su un carro trainato da cavalli.

Quel bastardo ha mangiato la foglia e se ne sta gi? andando!, disse tra sе e sе. Meglio cos?. Non sono cos? sicura di poter controllare tutti coloro che reclamano la sua testa.

Le emozioni di quel giorno erano state tali e tante da far sprofondare Lucia in un sonno profondo, senza aver neanche cenato. Avrebbe desiderato fare un bagno caldo prima di coricarsi, ma a palazzo non aveva pi? neanche un’ancella che si prendesse cura di lei. Inoltre, col fatto che aveva preferito adottare per le bambine la residenza di campagna, aveva trasferito l? la maggior parte dei domestici e nell’austero palazzo Baldeschi era rimasta ben poca servit?, per lo pi? maschile, che si occupava delle cucine e delle stalle.

Fu risvegliata da un insistente bussare alla porta della sua camera, che ancora non si era fatto neanche giorno. A fatica, si sollev? dal letto, si diede una sistemata alla bell’e meglio e apr? la porta di uno spiraglio, per vedere chi fosse che la disturbava a quell’ora insolita. Un giovane ragazzo, ancora imberbe, ma vestito di tutto punto in farsetto, calze braghe e con in testa un cappello dalla lunga piuma, fece una riverenza e cerc? di scusarsi per l’orario, quasi balbettando.

«Scusatemi tanto, Madonna, ma quello che devo riferirvi ? della massima urgenza. Mi manda il boia, dalla Piazza della Morte.»

A Lucia sal? un groppo alla gola e la sua mente, da assonnata qual era, ritorn? lucida all’improvviso, ricordandosi che quello era l’orario deciso per l’esecuzione capitale di Mira. Che stava succedendo? Perchе mai il boia aveva mandato questo giovane a scomodarla?

«Attendi qualche istante, ragazzo. Mi rendo presentabile e sono subito da te. Accomodati in una delle seggiole lungo il corridoio. Faccio prima che posso.»

Si acconci? i capelli, indoss? un abito sobrio che le concedesse libert? di movimenti, e in breve raggiunse il giovane nel corridoio.

«Allora? Cosa succede?»

«Il boia vi vuole in Piazza della Morte.»

«Perchе mai?», rispose Lucia indignata. «Avevo detto chiaramente che giammai avrei voluto assistere all’esecuzione della mia ancella! Quindi, perchе disturbarmi?»

«C’? un problema. L’ultimo desiderio di un condannato a morte ? sacro e deve essere esaudito. Il boia non pu? procedere finchе la vittima non sia stata soddisfatta. ? una legge non scritta, ma per Gerardo, il nostro boia, ? una questione d’onore.»

«E io cosa c’entro, di grazia? Quale sarebbe l’ultimo desiderio di Mira?»

«? questo il punto. La vostra ancella ha chiesto che voi le siate vicina in punto di morte. Dovete venire.»

«Non se ne parla nemmeno. Ho giurato a me stessa che non avrei mai pi? assistito a un’esecuzione capitale.»

«In questo caso sar? costretto ad andare a svegliare il giudice Uberti, che non ne sar? molto contento...»

Avendo capito l’antifona, e sapendo che in quei giorni era meglio non mettersi a piantare grane con le autorit? della vecchia guardia, Lucia decise di seguire il giovane in Piazza della Morte. In fin dei conti, da l? a poche ore si sarebbe presentata a Palazzo del Governo e avrebbe per sempre dato il ben servito alle vecchie “cariatidi”, che ormai non avrebbero pi? continuato a ricoprire cariche pubbliche. Quindi era meglio non iniziare a inimicarsi giudice e quant’altri prima del tempo.

Camminando lungo via delle Botteghe nell’umidit? dei primi albori, Lucia si strinse nel vestito percorsa da un brivido di freddo, nonostante si fosse gi? nel pieno della stagione estiva. Attravers? Porta della Rocca continuando a seguire il ragazzo che le faceva strada, ma quando intravide la sua giovane ancella, il cuore le fece un balzo, lo sent? pulsare in gola e non riusc? a trattenere le lacrime che cercavano di sgorgare dai suoi occhi. Mira aveva la testa gi? appoggiata sul ceppo. Il boia era l? a fianco a lei, col cappuccio in testa e la scure affilatissima poggiata in terra. Non aveva dovuto prendersi neanche la briga di raccoglierle i capelli della condannata in una coda o in una crocchia, in quanto il giorno precedente ci avevano pensato i torturatori di Padre Ignazio Amici a farglieli tagliare quasi a zero. La nobildonna si sent? addosso lo sguardo supplichevole della sua ancella e non potе fare a meno di avvicinarsi, carezzandole la nuca e avvicinando le sue labbra alla guancia della ragazza.

«Mira…»

L’ancella abbass? lo sguardo e si rivolse alla sua vecchia padrona con un filo di voce.

«Adesso posso morire felice. Ho voi qui accanto. So che mi avete risparmiato un pi? atroce supplizio e volevo ringraziarvi personalmente prima di morire. Pregate per me, e raccomandate la mia anima al Signore.»

Lucia prese la mano di Mira, le si avvicin? di pi? e le sussurr? delle parole all’orecchio, in modo che nе il boia, nе il ragazzo che l’aveva accompagnata potessero udire.

«Potrei risparmiarti anche questo di supplizio. Ho delle monete d’oro con me. Potrei pagare il silenzio di questi due. Posso mandare il ragazzo dal falegname a chiedergli di fare una cassa, dicendo che questo era il tuo ultimo desiderio: essere seppellita all’interno di un sarcofago. Il boia non ti uccider? ma racconter? a tutti di averlo fatto. Gli far? riempire la cassa con delle pietre, in modo che pesi come se contenesse il tuo corpo, e la far? sistemare nei sotterranei della Chiesa della Morte. Nessuno andr? a guardarci dentro. Tu scapperai gi? per la discesa e raggiungerai il convento delle Clarisse della Valle. Vestita da suora non ti riconoscer? nessuno. Lascia passare del tempo e poi allontanati da Jesi. Potrai rifarti una vita da qualche altra parte…»

«No, mia Signora. La morte non mi fa pi? paura. La mia vita finisce qui, oggi, su questa Piazza, su questo ceppo. Provvedete solo a che il mio corpo abbia una degna sepoltura.»

Mira rivolse lo sguardo verso Gerardo, annuendo con la testa. Il boia cap? al volo. Il desiderio della condannata era stato esaudito, si poteva procedere. Lucia fece un passo indietro, lasci? la mano di Mira, mentre la scure si sollevava. Guard? gli occhi del boia attraverso i fori praticati nel cappuccio e le sembr? di scorgerli lucidi. Ma non fece in tempo a verificare la veridicit? della sua sensazione, perchе con un colpo secco lo strumento si abbattе sul collo della vittima. La testa rotol? sul selciato, mentre il resto del corpo fu scosso da convulsioni per alcuni brevi istanti, fino a che si irrigid? e cadde di lato. Gli schizzi di sangue provenienti dal collo sfiorarono Lucia, ma non una goccia and? a imbrattare le sue vesti.

Dopo un attimo di silenzio assoluto, si sent? in lontananza il canto di un gallo. Si stava facendo giorno, quando la Piazza della Morte fu attraversata da un grido prolungato, un grido proveniente dalla viscere di Lucia Baldeschi.