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È L'Amore Che Ti Trova
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È L'Amore Che Ti Trova

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Non avrebbe mai immaginato che lui potesse esercitare un mestiere così macabro.

“No. Medico. Preferisco aiutare i vivi. È sempre più rasserenante per l’anima salvare una vita. Pensava davvero che fossi un becchino?”

Charlotte si mise un pugno sul mento e lo osservò per qualche secondo, con aria pensosa.

“Solo che ha un aspetto troppo serio, direi.”

Una mano si posò sulla spalla di Charlotte. Si voltò e vide il cantante della band, che si era esibito sul palco dall’inizio della serata.

“Ciao, io sono Ryan.”

I suoi occhi marroni, quasi neri, cercavano quelli di Charlotte, che li evitavano.

“E a me non interessa”, rispose subito, voltandosi di nuovo verso Gabriel, con cui stava conversando.

Il giovane rise nervosamente. Non era abituato a essere trattato in quel modo. Punto sul vivo, trovò improvvisamente la situazione eccitante.

“Sono l’amico di Ian. Tu sei Charlotte?”

“Sì, sono io. Ascolta, Bryan…”

“Ryan. Non Bryan…”

“Non ha importanza, sto parlando con questo signore. Un gentiluomo del mio paesino. È davvero scortese da parte tua interrompere la nostra conversazione”, spiegò lei in un inglese approssimativo che Ryan trovò delizioso.

Gabriel assisteva alla scena, cercando di nascondere un sorriso che apparve ugualmente sul suo viso. Tuttavia rimase in silenzio. Non voleva intromettersi. Charlotte era molto interessante e aveva trovato spiacevole che l’individuo interrompesse la loro conversazione.

“Adesso me ne vado”, disse Gabriel, vedendo che il musicista insisteva.

“La sua birra è appena iniziata”, gli fece notare Charlotte, indicando la bottiglia dell’uomo con il dito.

“Non voglio essere causa di litigi…”

Charlotte scoppiò a ridere. Non conosceva Ryan e non aveva alcuna voglia di conoscerlo. Era convinta che Ian avesse chiesto al suo amico di tenerle compagnia mentre lui cercava, probabilmente, di sedurre la sua migliore amica. E Charlotte non aveva nessun bisogno di compagnia. Era lei a scegliere gli uomini con cui usciva. Non erano certo loro a scegliere lei. O almeno le piaceva crederlo. Era una donna orgogliosa, lo sapeva. Era un suo diritto.

Aveva deciso, dopo la prima rottura amorosa all’età di quattordici anni, che nessun altro uomo le avrebbe fatto del male come quella volta. Si sarebbe comportata come loro, anche se la maggior parte delle donne condannava quel tipo di atteggiamento e di comportamento. Sentiva che, al di là di quella promessa, era bloccata e si proteggeva dall’amore.

“Non devo niente a questo tipo perché non lo conosco”, disse Charlotte dopo che Ryan ebbe fatto dietrofront.

“Una donna con carattere e che sa esattamente quello che vuole! Brava!” esclamò Gabriel.

Charlotte posò il gomito sul bancone del bar e appoggiò il mento contro il palmo della mano mentre fissava Gabriel senza dire nulla. Dopo un po’, lui si mise a ridere imbarazzato.

“È la prima volta che incontro un medico che non è vecchio o noioso. Questo mi fa ricordare che è possibile trovare giovani medici come in Grey’s Anatomy, sparò Charlotte per poi scoppiare a ridere.

Era più forte di lei, le piaceva sedurre. A prescindere da chi fosse la vittima.

“Lo prendo come un complimento. Dovrebbe venire più spesso in ospedale, con me lavorano solo elementi prossimi alla pensione”, rispose lui giocando con la sua bottiglia.

“No! Non mi piace molto l’idea… Evito gli ospedali quando non sono malata, sono pieni di germi.”

“Il tipo con cui è uscita la sua amica a questo appuntamento, lo conosceva già?” chiese Gabriel incuriosito, deviando la conversazione.

Charlotte alzò lo sguardo verso il suo interlocutore di fortuna, colta da un’intuizione. La sua attenzione per Emma l’aveva colpita. Si chiese se la sua domanda fosse davvero disinteressata, dato che, di tutti gli argomenti che avrebbe potuto scegliere, proprio la sua migliore amica aveva tirato fuori.

“No, l’abbiamo incontrato oggi pomeriggio, sulla spiaggia…”

“È prudente lasciarla andare da sola con uno sconosciuto?”

Charlotte fece l’occhiolino a Gabriel, roteando il bicchiere e il ghiaccio sul fondo. Poi affondò lo sguardo in quello del medico.

“Ho la netta impressione che voi due siate fatti l’uno per l’altra… Non ha fatto che assillarmi con la sua paura che potesse essere un serial killer…”

“E ci è andata lo stesso?”

“Forse l’ho spinta un po’… e poi bisogna vivere il presente. Carpe diem! Tutto qui.”

Gabriel bevve d’un sorso il resto della bottiglia e si alzò. Aveva deciso di tornare in albergo. Doveva svegliarsi presto la mattina dopo. Anche se era abituato a dormire per brevi periodi di tempo, era più ragionevole approfittarne per riposare.

“L’accompagno in albergo?” le chiese educatamente.

“Perché no?” rispose Charlotte.

CAPITOLO 3 – APPUNTAMENTO MANCATO

Un raggio di sole penetrava tra le tende della camera d’albergo. Charlotte aprì prima un occhio, poi l’altro. Guardò il letto accanto al suo per assicurarsi che la sua amica fosse tornata sana e salva dalla sua avventura con Ian, ma era intatto. Vedendolo vuoto si sedette subito sul materasso. Emma era stata fuori tutta la notte. Emma, la dolce, la romantica, la timida, non era rientrata per dormire. Bisognava mettere una croce sul calendario, poiché si trattava di un evento straordinario. Non poté reprimere il sorriso che le solleticava le labbra.

Erano le sei del mattino. Era ancora presto, ma sapeva che Elvie e Alice dovevano essere già sulla spiaggia per il servizio fotografico previsto all’alba. Ripensò alla sera prima. Lei e Gabriel avevano riso molto tornando in albergo. Aveva apprezzato il tempo trascorso con il medico, senza mai alcuna intenzione di avere un’avventura con lui, anche perché nessuno dei due aveva fatto un passo in quella direzione. Si erano comportati come due buoni amici e le era piaciuto.

Nello spazio di una notte le due amiche avevano, senza volerlo, invertito i ruoli. Charlotte si era addormentata vestita e decise di andare a farsi una doccia, sperando che la sua compagna di stanza tornasse presto e che Ian non fosse davvero un serial killer, come Emma aveva detto e soprattutto temuto, prima di uscire.

Emma premette il pulsante dell’ascensore ed entrò mentre la porta si apriva. Il suo vestito era sgualcito, le sue scarpe piene di sabbia fine e la sua testa piena di ricordi della notte precedente con Ian. Avevano trascorso parte della notte a parlare, a baciarsi e a scoprirsi. Si erano addormentati l’una tra le braccia dell’altro, finché una guardia, durante il suo giro mattutino, li aveva trovati e svegliati. Ian aveva rispettato la scelta della giovane donna e non avevano fatto l’amore.

Mentre l’ascensore continuava la sua ascesa, accarezzò le labbra gonfie con l’indice, ricordando la sensazione che le labbra di lui le avevano provocato. Guardò l’orologio. Erano le sei e mezza. Charlotte doveva essere preoccupata. La loro prima intervista era all’altro capo della città e si ricordava che dovevano partire presto. Avrebbe dovuto fare una doccia, prendere un caffè o una bevanda energetica per sperare di reggere tutto il giorno. Anche se stava ancora fluttuando tra le nuvole, si rendeva conto che il suo corpo aveva bisogno di riposo.

Quando l’ascensore si fermò al suo piano e le porte si aprirono, sussultò alla vista di Gabriel Jones, che indossava joggers neri e una maglietta bianca. Non pensava di incontrare qualcuno a quell’ora del mattino, tranne forse il personale dell’albergo. Lui le sorrise e aspettò che uscisse prima di entrare nell’ascensore. Le augurò una splendida giornata. Gabriel andava a correre, un’abitudine che aveva preso all’epoca dell’università per concentrarsi meglio in classe e liberarsi dallo stress che doveva sopportare durante gli esami.

Emma raggiunse la sua stanza saltellando, tenendo le scarpe nella mano sinistra. Quando si accorse che la porta era aperta rallentò lo slancio. Riconobbe la voce di Charlotte, che parlava con qualcuno dalla voce profonda e calda, con un leggero accento britannico. Alla fine capì che era Candice Rose, il capo della sua amica. Fu presa dal panico immediatamente, quando si rese conto dell’aspetto che doveva avere. La donna avrebbe subito capito che aveva dormito fuori.

“Stamattina sarò con voi”, disse Candice.

“Non ti fidi di me?” rispose Charlotte sulla difensiva.

“Non è questo. Lo sai bene. Voglio vedere come vanno le cose sul campo”, si difese Candice.

Emma approfittò di quel momento per entrare nella camera e vide le due donne, che di riflesso guardarono nella sua direzione al suo apparire. Candice si mise ad analizzare la giovane donna dalla testa ai piedi. Il suo sguardo si posò sulla vita, sulle gambe e, per un breve istante, sul petto. Per un attimo Emma si sentì come sotto giudizio. La cosa non le piaceva, ma evitò di dirlo. Sapeva di essere in torto e non voleva gettare acqua sul fuoco per niente. E poi si sentiva di basso livello con il suo abito del giorno prima tutto sgualcito, di fronte a una donna dall’aspetto di alta classe. Charlotte ruppe il silenzio.

“Eccoti! Candice verrà con noi stamattina. Vai a farti una doccia, ti aspettiamo per andare a fare colazione.”

“La notte è stata difficile?” chiese Candice, che non aveva staccato gli occhi di dosso a Emma e la cui voce non tradiva alcuna emozione.

Emma non capiva se era arrabbiata o sarcastica. Preferì rimanere in silenzio e guardarla per un attimo. Era una bella donna che doveva essere molto più giovane di quanto sembrasse in realtà. Era vestita in modo sobrio, ma di buon gusto, e indossava abiti firmati che Emma non poteva permettersi con il suo stipendio attuale. I suoi capelli erano biondi e scendevano scalati fino alle spalle. Niente meches pazze o treccine ribelli. Portava una camicetta bianca con solo l’ultimo bottone superiore aperto, sotto una giacca nera, e persino una cravatta. Aveva pantaloni neri a portafoglio, per completare il suo look androgino, che era anche molto femminile. Emma aveva incontrato Candice raramente e ogni volta le ricordava un avvocato, con la sua aria professionale e distaccata.

“Faccio presto”, balbettò, afferrando un paio di pantaloni e una camicia nella sua valigia.

Candice la seguì con lo sguardo mentre si dirigeva verso il bagno, continuando ad ascoltare Charlotte, che le descriveva l’itinerario della mattina. Aveva intuito che la giovane donna aveva passato la notte fuori e di certo non da sola: aveva gli occhi cerchiati e stanchi, il suo vestito era stropicciato e macchiato di sabbia, mentre i capelli erano spettinati. Contrariamente a quello che la gente poteva pensare, non era facile ingannarla, né era stupida. Osservava molto le persone e, attraverso il loro linguaggio corporale, era in grado di indovinare come fossero. Candice aveva vissuto molto. Aveva capito subito che Charlotte non era una ragazza di chiesa e che collezionava uomini e avventure. Mentre era a una serata di beneficenza, un socio d’affari di suo marito aveva vuotato il sacco, senza sapere del legame tra le due donne. Quel dettaglio l’aveva divertita. Era la vita privata della sua collaboratrice, dopotutto, e non aveva alcun diritto di controllare quella parte della sua esistenza. Almeno, non finché non pregiudicava la rivista. Per lei era essenziale erigere una barriera tra le due sfere.

“Se tu vieni, Emma potrebbe restare qui. Mi potresti correggere l’inglese se mi sbaglio…” propose improvvisamente Charlotte.

“No. Non l’ho portata qui per pagarle un viaggio di piacere e perché passi le notti a flirtare e le giornate a dormire. E non sono qui nemmeno per tenerti la mano, Charlotte. Voglio vedere Emma al lavoro. Voglio vedere su chi sto investendo i miei soldi.”

Charlotte sorrise al suo capo. Aveva totalmente ragione, anche se aveva un modo di esprimersi molto diretto. Non aveva peli sulla lingua. Diceva pane al pane e vivo al vino. Un tratto che anche Charlotte possedeva e che, a volte, provocava scintille tra le due donne. Prese la borsa e ci infilò il registratore, il suo taccuino e due penne. Candice guardò la sua redattrice con soddisfazione.

Loro due avevano diversi punti in comune. Era bello non dover sopportare urla e lacrime ogni volta che diceva quello che pensava o doveva alzare la voce. Lei non andava per il sottile ed era sempre sbrigativa. Apprezzava anche Charlotte per le altre sue qualità, come l’ambizione, la sincerità e l’impulsività, che le ricordavano i suoi inizi. Erano già troppo lontani nella sua memoria, tanta acqua era passata sotto i ponti. Candice aveva certamente molti difetti, tra cui quello di essere dura con la giovane donna, perché voleva che rasentasse la perfezione. Charlotte aveva un vero talento e Candice sperava che avesse successo senza sabotarsi, come aveva troppo spesso visto fare da alcune delle sue ex redattrici.

Emma uscì finalmente dalla doccia dopo una decina di minuti. Era fresca come una rosa e si era truccata leggermente. Trovò le due donne che continuavano a parlare del loro soggiorno.

“Riuscirà a resistere tutto il giorno? Lo spero”, chiese Candice prendendo la sua borsa, che aveva messo sul letto.

“Le diamo del buon caffè nero e vedrà che reggerà”, rispose Charlotte al posto di Emma.

“Credo che sia in grado di rispondere da sola, o le manca l’uso della parola?”

“Sono in piena forma. Non la deluderò, signora Rose.”

***

Fu il telefono a svegliare Ian. Socchiuse gli occhi e vide che erano già le tre del pomeriggio. Prese il telefono, che aveva smesso di squillare, e vide che aveva perso la chiamata di Lilly Murphy. Con la mente un po’ confusa raggiunse con la mano il pacchetto di sigarette sul comodino e si ricordò di trovarsi nella stanza degli ospiti della casa estiva dei genitori di Ryan. Tolse una sigaretta dal pacchetto, che rimise vicino al suo cellulare, e la accese dopo essersi avvicinato alla finestra. Pensò per un momento a Emma e rise come uno stupido, poi il suo sorriso svanì pensando a Lilly. Inalò il fumo della sigaretta e compose il numero della giovane donna per richiamarla.

“Sono io, Lilly, che succede?” chiese quando una voce femminile rispose al secondo squillo.

“Lo chiedo io a te. È da ieri sera che cerco di contattarti.”

La preoccupazione nella voce della donna aveva lasciato il posto alla rabbia.

“C’è stata un’emergenza?” chiese Ian sospirando e iniziando a fissare una crepa nel pavimento in legno massello.

“No. Non sei tornato a casa ieri sera. Non mi hai chiamata per informarmi e non mi hai inviato nessun messaggio. Il tuo capo ne ha lasciato uno perché ti stava cercando, quindi immaginati. Come pensi che mi sia sentita?”

“Mi sono preso un giorno libero. Ho fatto tardi e ho bevuto un po’. Ho preferito dormire da Ryan…”

“Di solito, quando si prende un permesso, si fa una telefonata al proprio datore di lavoro per farglielo sapere. Rischi di perdere di nuovo il posto. Avresti almeno potuto avvertirmi, era il minimo che potessi fare. Mi sono preoccupata da morire.”

“Lilly, mi dispiace davvero. Hai ragione, ho sbagliato e avrei dovuto avvertirti. Sai come sono, tesoro. Adesso chiamo Jeff e gli spiego la situazione. Capirà. E non preoccuparti più così tanto per me e per il mio lavoro. Andrà tutto bene. Jeff è un vecchio amico. Ci conosciamo da anni.”

La giovane donna sospirò.

“Quando pensi di tornare?”

“Domani. Forse dopodomani. Non lo so, Lilly.”

Lei sapeva che lamentarsi sarebbe stato inutile e riattaccò dopo avergli fatto promettere di richiamarla. Ian aprì la finestra e gettò via il mozzicone della sigaretta. Si infilò i jeans e scese. Trovò Ryan sulla terrazza sul retro della casa, di fronte all’oceano.

“Allora, ieri sera?” chiese Ryan strizzando l’occhio.

“È stato magico.”

“Sei andato fino in fondo con lei? Ne è valsa la pena?”

Ian prese una sedia che stava di fronte al suo amico e lo guardò, con un sorrisetto compiaciuto.

“Ti cambierebbe qualcosa?”

Ryan scoppiò a ridere.

“Non sei riuscito a fartela?!”

“Quella ragazza è molto di più. Ha qualcosa che mi sfugge. Che mi attira. È una fottuta questione di anime. Il sesso viene dopo. Una fusione o qualcosa del genere…”

Ryan continuò a ridere mentre Ian scriveva un messaggio a Emma, proponendole di incontrarla la sera all’Ocean Bar come il giorno prima. Era nervoso, ma sicuro di rivederla. L’energia che scorreva tra loro era innegabile.

“E con Lilly, come la metti?”

***

Emma aveva potuto riposare un po’ nel tardo pomeriggio, nonostante una giornata zeppa di interviste con imprenditori e grandi nomi nel campo della moda. Era rimasta colpita nell’incontrare quei personaggi pittoreschi. Non aveva avuto molto a che fare con Candice e aveva semplicemente seguito Charlotte come un cagnolino.

Aveva ricevuto il messaggio di Ian e lo stava aspettando già da venticinque minuti all’Ocean Bar, come indicato. Era ansiosa e desiderosa di rivederlo. Il cuore le batteva forte. Il posto era molto più affollato del giorno prima e aveva dovuto intrufolarsi tra la gente per arrivare al bancone. Non ricordava più l’ultima volta che si era sentita così nervosa, era stato tanto tempo prima. Controllava regolarmente il telefono per vedere se Ian le aveva scritto per il suo ritardo.

Dopo quaranta minuti si rese conto che le aveva dato buca. I suoi occhi erano ormai offuscati dalle lacrime, che cercava invano di trattenere. Era delusa e fece il giro del locale con lo sguardo per assicurarsi che non fosse lì. Sapeva che era infantile piangere per una cosa del genere. Poi vide Candice da sola a un tavolo e soffocò le lacrime. Candice era facilmente riconoscibile perché il suo aspetto non quadrava con quello della maggioranza delle persone presenti. Era più matura della media e il suo stile era un po’ troppo di classe rispetto agli altri in bermuda, gonna e canottiera. Esitò tra andare a salutarla e rimanere seduta fingendo di non averla vista. Quella donna la terrorizzava. Aveva un temperamento per lei difficile da affrontare.

Dopo dieci minuti abbondanti, Emma si arrese di fronte alla triste evidenza che Ian non sarebbe mai venuto, anche se aveva sperato diversamente. Era arrabbiata, ma soprattutto delusa per essersi lasciata illudere da uno bravo a chiacchiere, che non avrebbe in ogni caso più rivisto quando sarebbe tornata nel Quebec. Ad ogni modo, era felice di non aver ceduto ai suoi impulsi e desideri. Decise quindi di andare a salutare Candice, che era ancora tutta sola al suo tavolo. Aveva davanti a sé un bicchiere mezzo pieno e molti altri vuoti. Emma si chiese per un attimo come fosse possibile che avesse bevuto così tanto, se la serata era appena iniziata. Nonostante la sua eleganza e il suo portamento, quasi altezzoso, i suoi occhi sembravano appannati e molto stanchi.

“Buonasera signora Rose, posso sedermi?” domandò Emma, appoggiando le mani sulla sedia di fronte a Candice.

Candice le offrì un sorriso caloroso, molto più espressivo del solito, da cui dedusse la possibilità che fosse già ubriaca. Poi la fissò dalla testa ai piedi, come faceva sempre. Questa volta si soffermò di più sul suo corpo.

“Certo, signorina”, rispose, con una voce impastata e uno sguardo vitreo.

Fu dopo averla sentita parlare che Emma ebbe la conferma che Candice era in uno stato avanzato di ebbrezza. Inizialmente ne fu sorpresa, poiché Candice era pur sempre una persona ossessionata dal potere e dal controllo, ma comprese rapidamente che ognuno ha le proprie debolezze.

“È sola ?” chiese Emma.

“La solitudine è la mia migliore amica. Cosa fa una bella donna come te senza un accompagnatore? Il tuo amante di ieri sera ti ha piantata in asso?”

Emma rimase di nuovo sorpresa per la confidenza con cui parlava.

“Voglio chiarire che non ho avuto una notte di sesso sfrenato, come lei sembra immaginare. Sì, mi aveva dato un appuntamento, ma non si è presentato.”