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Le Straordinarie Avventure Di Joshua Russell E Del Suo Amico Robot
Antonio Tomarchio
Un ragazzino geniale, appassionato di robotica, diventa amico di un robot alieno col quale crescerà vivendo avventure incredibili e lottando per salvare il mondo da pericolosi alieni.
La vita, le passioni e le avventure di Joshua Russell sono raccontate in un intreccio di cospirazioni, pericoli e insidie per il nostro pianeta. Emozioni, amicizia e suspense si mescolano con argomenti importanti come l’ecologia, la guerra, i rischi della tecnologia per la vita umana ma soprattutto con l’etica e l’onore. Le vicende della vita del protagonista e dei suoi amici vi faranno sorridere e commuovere ma anche riflettere sul futuro della Terra, sempre più sovrappopolata e inquinata. Sarà impossibile non immedesimarsi con i personaggi narrati e non condividere le loro emozioni.
Il racconto comincia nel 2071 ed è ambientato in America. Joshua è un ragazzino di quindici anni ma già ricco e famoso per aver inventato, a soli nove anni, una batteria rivoluzionaria in grado di far muovere i robot per molte ore. Il piccolo genio ha la passione per i tornei di lotta tra robot e cerca da anni di costruirne uno in grado di vincere. Mentre sta provando il suo ultimo automa, Joshua incontra uno strano robot che prima tenterà di ucciderlo, ma, in seguito, diventerà il suo migliore amico e il suo compagno di avventure e lo aiuterà a salvare il mondo da una pericolosa minaccia aliena.
Joshua, ormai adulto, dovrà affrontare nuove sfide che lo porteranno a combattere una guerra su altri pianeti contro nuovi nemici e saranno le sue decisioni, le sue invenzioni e il suo coraggio a decretare il futuro dell’umanità.
Le straordinarie avventure
di Joshua Russell
e del suo amico
Robot
Antonio Tomarchio
Catania, giugno2018 – febbraio 2019
Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore.
A Maria
Prefazione
Un ragazzino geniale, appassionato di robotica, diventa amico di un robot alieno col quale crescerà vivendo avventure incredibili e lottando per salvare il mondo da pericolosi alieni. La vita, le passioni e le avventure di Joshua Russell sono raccontate in un intreccio di cospirazioni, pericoli e insidie per il nostro pianeta. Emozioni, amicizia e suspense si mescolano con argomenti importanti come l’ecologia, la guerra, i rischi della tecnologia per la vita umana ma soprattutto con l’etica e l’onore. Le vicende della vita del protagonista e dei suoi amici vi faranno sorridere e commuovere ma anche riflettere sul futuro della Terra, sempre più sovrappopolata e inquinata. Sarà impossibile non immedesimarsi con i personaggi narrati e non condividere le loro emozioni.
Il racconto comincia nel 2071 ed è ambientato in America. Joshua è un ragazzino di quindici anni ma già ricco e famoso per aver inventato, a soli nove anni, una batteria rivoluzionaria in grado di far muovere i robot per molte ore. Il piccolo genio ha la passione per i tornei di lotta tra robot e cerca da anni di costruirne uno in grado di vincere. Mentre sta provando il suo ultimo automa, Joshua incontra uno strano robot che prima tenterà di ucciderlo, ma, in seguito, diventerà il suo migliore amico e il suo compagno di avventure e lo aiuterà a salvare il mondo da una pericolosa minaccia aliena.
Joshua, ormai adulto, dovrà affrontare nuove sfide che lo porteranno a combattere una guerra su altri pianeti contro nuovi nemici e saranno le sue decisioni, le sue invenzioni e il suo coraggio a decretare il futuro dell’umanità.
Capitolo I
Raptor
Il ragazzo aveva finito di collegare l’ultima scheda, quella più importante, senza di essa il Robot non poteva essere controllato, poi aveva calzato, sugli avambracci e sui polpacci, i controller che servivano per farlo muovere.
Lo fece alzare dal banco da lavoro, gli fece spostare alcuni carrelli pieni di attrezzi per liberare un po’ di spazio, quindi provò qualche movimento per verificare che tutto funzionasse alla perfezione. Diede dei calci, prima in basso, poi in alto, assunse la posizione di difesa e cominciò a tirare pugni come se avesse davanti a sé un sacco per la boxe. Il robot ripeteva ogni singola mossa nei minimi particolari.
<<Bene, funziona!>> esclamò.
<<Quest’anno spero di arrivare ancora tra i primi dieci.>>
Decise di chiamarlo Scorpion per distinguerlo dalle versioni precedenti. Il robot era alto circa due metri, aveva una forma umana ed era fatto di una lega speciale, leggera ma molto resistente, lo aveva costruito lui quando aveva dieci anni, ma lo aveva perfezionato soltanto col tempo.
Il ragazzo si chiamava Joshua Russell e aveva quindici anni. Era riuscito a raggiungere un buon livello di qualità costruttiva, aveva migliorato l’estetica del Robot ma soprattutto il funzionamento, anche perché era davvero stanco di vederlo distrutto ogni anno nel torneo di lotta tra robot che si svolgeva a New York nel mese di maggio.
Per fortuna suo padre aveva un’officina e aveva potuto aiutarlo nell’assemblaggio delle parti meccaniche, ma quello che riguardava l’elettronica e il software era tutta farina del suo sacco. Il pezzo forte del robot era la speciale batteria che lui aveva inventato a nove anni e che gli era valsa il titolo di “Super genio dell’anno 2065”.
Il problema maggiore per fare funzionare gli automi antropomorfi che ormai, con funzioni e prezzi diversi aiutavano l’uomo in molte attività, era l’energia. Ne avevano bisogno parecchia e le batterie in grado di fornirla erano troppo pesanti e troppo grandi per trovare posto dentro i robot. Questo era stato il motivo della loro scarsa diffusione e per questo la sua invenzione era stata rivoluzionaria e aveva dato il via al loro sviluppo.
Era riuscito a ideare una batteria grande quanto un pacchetto di sigarette ma in grado di fornire l’energia necessaria a fare compiere acrobazie ai robot per diverse ore.
Questa invenzione aveva portato molti soldi al magro bilancio familiare, permettendo alla sua famiglia, che tanto aveva investito per pagargli le migliori scuole, di vivere agiatamente e a lui di partecipare alle lezioni di arti marziali e al famoso torneo di lotta tra robot.
Una legge proibiva di dare un’intelligenza ai robot che quindi non dovevano essere in grado di muoversi da soli, ma dovevano essere comandati tramite diversi tipi di telecomandi, secondo l’uso che se ne intendeva fare.
I robot da combattimento permettevano anche ai ragazzini di scendere sul ring senza rischiare di farsi male. Nei palazzetti costruiti per i combattimenti, vi erano tre ring: uno più grande dove si scontravano i robot e due più piccoli, posti ai lati, dove i proprietari, indossando i controller, impartivano i comandi per farli lottare senza venire mai in contatto tra di loro.
Joshua aveva partecipato già tre volte al torneo ma con pessimi risultati, alcuni robot avversari erano il meglio che la robotica potesse fornire, più veloci, più leggeri e con una meccanica nettamente superiore a quella del suo. La buona conoscenza delle arti marziali lo aveva aiutato ad arrivare al massimo al decimo posto che comunque, visto il gran numero di partecipanti, era un piazzamento di tutto rispetto.
<<A cosa serve essere cintura nera se poi quello stupido robot per fare lo stesso movimento ci mette un secolo?>> si era chiesto spesso.
L’ultima versione del suo giocattolo prometteva dei netti miglioramenti, ma non poteva sapere quanto fossero migliorati gli avversari.
Decise di provarlo fuori dal capanno per gli attrezzi che il padre gli aveva costruito nel terreno vicino alla loro splendida villa e che serviva anche da copertura al rifugio sotterraneo contro gli uragani. Il ragazzo si mise qualche metro dietro il robot, lo accese tramite un pulsante nel controller del braccio sinistro e cominciò a camminare, a ogni suo passo ne corrispondeva uno del robot.
<<Fin qui tutto bene, vediamo come te la cavi adesso>>, pensò tutto contento.
Cominciò quindi a correre dietro al robot e, poiché non riusciva a raggiungerlo, ne dedusse che andava più veloce di lui. Si fermò per riprendere fiato, poi provò qualche movimento che aveva imparato a scuola di arti marziali, delle sforbiciate, dei calci alti, dei salti e, per ridere un po’, cominciò a fargli compiere delle mosse buffe, dei gestacci e qualche passo di danza, in fondo era sempre un ragazzino anche se dotato di un’intelligenza superiore.
Rimase soddisfatto per come la sua creazione rispondeva a ogni suo movimento, decise quindi di metterne alla prova la forza e gli fece sollevare un grosso masso. Il robot eseguì con successo tutti i comandi, poi, anche se un po’ riluttante, Joshua provò a fargli colpire un albero per capire la potenza dei colpi che era in grado di sferrare. Diede un calcione al tronco che scricchiolò fragorosamente, poi lo colpì con un pugno staccando una grossa porzione di corteccia. Non volle infierire oltre sul povero albero, anche se rimase un po’ deluso per non aver ottenuto dei risultati migliori.
Si accorse di essersi allontanato troppo, era arrivato fino al confine del bosco che circondava un piccolo lago. Non aveva nulla da temere, nessuno gli avrebbe fatto del male finché poteva usare il suo Scorpion per difendersi, ma decise comunque di tornare a casa.
A un tratto sentì un rumore provenire dal bosco, sembravano dei passi molto pesanti, come quelli di una creatura metallica, pensò che qualche altro concorrente del torneo fosse venuto in quel bosco a fare delle prove. Era curioso e voleva vedere a che punto erano arrivati i suoi avversari, si addentrò quindi tra gli alberi stando attento a non far sbattere il suo costoso giocattolo per non fare rumore e rischiare di essere scoperto. In quel momento Joshua si rese conto che avrebbe dovuto fornirlo di una microcamera così da avere anche il punto di vista del suo automa.
Vide un robot in lontananza che somigliava a un uomo molto robusto. Era color grigio scuro come la canna di un fucile e luccicava sotto la luce del sole che passava tra la fitta boscaglia.
Il robot aveva un aspetto molto minaccioso, non come certi automi ridicoli che aveva visto al torneo. Nel viso aveva due occhi luminosi e poi c’era una mascherina simile a quella dei chirurghi, ma trasparente e spigolosa come un diamante, che copriva la bocca. Non aveva un’aria molto rassicurante e si muoveva lentamente tra gli alberi.
Joshua si accorse che il robot poteva vedere perché continuava a muovere la testa in tutte le direzioni come se cercasse qualcosa, ma restò sbigottito soprattutto nel notare che non c’era nessuno a guidarlo.
All’improvviso lo vide correre a una velocità impressionante e si accorse che con una spallata aveva sradicato un albero, ne restò stupefatto, ma ciò che vide dopo invece lo terrorizzò. Il robot aveva colpito qualcosa che aveva rincorso tra la vegetazione per alcuni istanti. Quello però che aveva fatto tremare le gambe del ragazzo era stato un potente fascio di luce, simile a un laser, che era fuoriuscito da un piccolo foro al centro del petto del robot, impattando violentemente contro il suolo.
<<È proibito! Maledizione, è proibito inserire armi nei robot! Se questi sono i miei avversari, non ho nessuna possibilità di vincere!>> pensò, arrabbiato e frustrato.
Fece nascondere il suo automa dietro un grosso albero e spense il controller in modo da potersi muovere liberamente senza trascinarselo dietro. Si avvicinò ancora per vedere meglio, intanto il robot si era chinato per raccogliere il bersaglio appena colpito. Un grosso coniglio pendeva ormai senza vita dalle sue grandi mani metalliche.
<<Che bastardo, utilizza il robot per cacciare dei conigli!>> esclamò.
Poi rimase impietrito quando si accorse che non solo quello strano robot ci vedeva benissimo ma era anche capace di sentire e adesso lo fissava con aria minacciosa. Sentì il sangue raggelarsi nelle vene e un brivido percorrere la sua giovane schiena.
<<Cavolo! Adesso sono nei guai>> pensò, mentre cercava di allontanarsi.
Lo strano robot cominciò a correre verso di lui che intanto si era dato alla fuga.
<<Sono spacciato! Mamma, sono spacciato!>>
<<Aiuto! Aiuto!>> gridò.
Doveva fare qualcosa, la sua mente di giovane genio doveva trovare una soluzione, ma aveva troppa paura, non riusciva a pensare, finché all’improvviso si ricordò di Scorpion. Si diresse correndo all’impazzata verso il suo robot che era rimasto fermo dietro un albero, lo oltrepassò di qualche metro, si nascose anche lui dietro un grosso tronco e accese il controller. Appena vide giungere l’altro robot a tutta velocità verso la sinistra della sua creatura, sferrò, con tutta la forza di cui era capace, un calcio alto con la gamba destra verso la sua sinistra, altrettanto fece Scorpion, colpendo in pieno viso lo strano automa che fece un volo di alcuni metri ricadendo sulla schiena e restando immobile.
Joshua era rimasto paralizzato dalla paura per il rischio appena corso, riusciva a stento a trattenere le lacrime. Il ragazzo era sicuro che se non fosse andato a buon fine il suo tentativo sarebbe stato ucciso.
Si sporse da dietro il tronco per vedere se quel maledetto robot fosse ancora in terra, fu felice nel costatare che non si era mosso di un centimetro, l’aveva messo KO.
<<Appena scoprirò chi è il proprietario di questo coso, gli farò passare un mare di guai>>, sussurrò a se stesso.
Spense il controller e si avvicinò con cautela, le gambe gli tremavano ancora. Il gran colpo inferto da Scorpion aveva mandato in frantumi la mascherina, fatta di un materiale simile al vetro, che copriva la zona della bocca.
Spalancò gli occhi e rimase senza parole nel vedere la testa e le braccia di una specie di piccolo uomo, alto circa 15 cm, che fuoriuscivano dalla fessura dietro la mascherina rotta. Quell’essere giaceva immobile, riverso sul viso del robot, vestito con una divisa e con stivali simili a quelli dei piloti di aerei militari. Joshua dovette sedersi per terra perché le gambe non lo reggevano più e rimase a fissare quella creatura, ormai priva di vita, per alcuni minuti mentre cercava di ragionare sull’accaduto e su ciò che si era presentato ai suoi occhi increduli.
Decise di farsi coraggio, afferrò quel piccolo essere delicatamente da sotto le braccia e lo voltò per vederne il viso. Aveva la faccia più simile a quella di una lucertola che a quella di un uomo, anche il colore della pelle era piuttosto verdastro, non aveva la coda però e le mani somigliavano di più a quelle di un essere umano che alle zampe di un rettile.
Capì che quella “cosa” non poteva appartenere alla terra, anzi era sicuro che fosse una forma di vita aliena. Quell’alieno così piccolo da solo non rappresentava un pericolo per la Terra ma, alla guida di robot così forti ed efficienti, se fossero stati in molti, avrebbero rappresentato una minaccia per l’intero genere umano.
Non sapeva cosa fare, era pieno di pensieri e di dubbi, il suo cervello di giovane genio stava valutando ogni possibile soluzione vagliandone tutti gli aspetti e ponderando ogni scelta. Rivolgersi alle autorità era l’unica soluzione plausibile ma non poteva farsi scappare quell’opportunità. Voleva studiare quel robot, scoprirne i segreti, capire da dove gli venissero tutta quella forza e quella velocità e come facesse a sentire e a vedere. Non poteva lasciare che le autorità lo privassero di un’occasione così ghiotta portandosi via quell’automa così avanzato tecnologicamente, decise quindi che lo avrebbe consegnato solo dopo averlo studiato in modo molto dettagliato.
Riaccese i controller e fece sollevare da terra l’automa dal suo Scorpion, lui raccolse il piccolo alieno e insieme si diressero verso il capanno. Appena vi furono giunti lo fece posare sul banco da lavoro, infilò il piccoletto in un barattolo di vetro e lo ripose in uno scaffale, quindi cominciò a guardare da vicino il robot cercando di capire come aprirlo, ma non vedeva né viti né bulloni. Guardò dentro la fessura da dove era uscito l’alieno e si accorse che c’era solo un comodo sedile nero dentro una specie di stanza bianca, ma non c’erano comandi né strumentazione, non riusciva a spiegarsi come facesse a pilotarlo.
Notò che davanti al sedile c’era un piccolo quadrato verde che spiccava perché di un colore diverso rispetto l’interno dell’abitacolo. Si avvicinò per guardare meglio e vide la forma della mano dell’alieno impressa su quel quadrato, pensò quindi a un dispositivo di riconoscimento delle impronte. Si domandava a cosa potesse servire ma non riusciva a darsi una spiegazione, forse serviva a pilotare il robot o a farsi identificare. Provò a toccarlo con l’indice della mano destra ma fu colpito da una violenta scossa elettrica che lo sbalzò a qualche metro dal banco di lavoro facendogli perdere i sensi.
Cominciò a riprendere coscienza dopo alcuni minuti ma la forte scossa lo aveva privato delle forze. Joshua se ne stava coricato per terra con gli occhi chiusi e il viso poggiato al pavimento, però nella sua mente continuava a vedere il soffitto del capanno. Nonostante avesse gli occhi chiusi, quell’immagine era nitidissima e il ragazzo non riusciva a capire da dove provenisse.
Aprì gli occhi e vide il pavimento, richiuse le palpebre e si ritrovò a osservare il soffitto. Continuò a chiudere e aprire gli occhi per qualche minuto, cercando una spiegazione, poi si alzò di scatto impaurito dalle conclusioni cui era giunto. Vedeva con gli occhi del robot alieno, non ci poteva credere, toccare il piccolo pannello aveva creato una connessione mentale tra di loro.
<<Ecco come pilotava la lucertolina!>> esclamò soddisfatto.
Joshua si avvicinò al robot, gli posò una mano sul petto e il metallo che lo ricopriva si aprì. Vide una specie di gabbia toracica che conteneva del materiale pulsante, ma di sicuro non biologico, con dei piccoli tubi dentro i quali un liquido verdastro scorreva velocemente. Al centro c’era una sfera metallica, non aveva mai visto niente di simile, avrebbe voluto smontarne ogni pezzo per capirne bene il funzionamento. Il ragazzo avvicinò un dito a quell’oggetto metallico sfiorandolo e vide che aveva cominciato a ruotare, prima in senso orario, poi antiorario, ripetendo gli stessi movimenti diverse volte ma sempre con una maggiore velocità. All’improvviso la sfera si aprì e una luce accecante si sprigionò illuminando a giorno l’intero capanno.
Non vedeva più niente, la luce era troppo forte, provò a coprirsi gli occhi con le mani, ma era abbagliato come se avesse il sole davanti al viso. Afferrò la maschera da saldatore dallo scaffale e se ne servì per coprirsi il volto, riuscendo così, dopo alcuni istanti, a riaprire gli occhi.
Tornò quindi vicino al robot per guardare da cosa fosse scaturita tutta quella luce e vide un oggetto luminoso, grande quanto una pallina da tennis, giallo e accecante come il sole, che fluttuava all’interno della sfera metallica. Toccò di nuovo l’involucro ed esso si richiuse riportando la penombra nel capanno.
<<Questa sì che è una batteria!>> urlò, sempre più esterrefatto dalla tecnologia degli alieni.
<<Questi alieni sono centinaia di anni più evoluti di noi>> pensò, richiudendo con un semplice tocco il petto del robot.
<<Devo riuscire a controllarlo>> disse, sedendosi sullo sgabello accanto al banco da lavoro.
Chiuse le palpebre e di nuovo vide ciò che gli occhi del robot continuavano a fissare.
<<Alzati!>> comandò.
Davanti all’immagine del soffitto cominciarono ad apparire dei segni, simili a geroglifici, che scorrevano in rapida successione, poi alla destra dei geroglifici apparvero delle parole, come se l’intero dizionario della lingua inglese fosse sfogliato. Passarono alcuni minuti, poi a un tratto, apparvero delle scritte e una voce di una tonalità così bassa da far paura, cominciò a risuonare nella testa del ragazzo.
<<Conversione linguistica effettuata.>>
<<Analisi dei circuiti completata.>>
<<Setup aggiornamenti nuovo comandante, eseguito con successo.>>
<<INMX1 pronto e in attesa di comandi. Definire modalità.>>
<<INMX1 è il tuo nome?>> chiese Joshua titubante.
<<Sì, comandante>>, rispose il robot.
Poi disse di nuovo: <<Definire modalità.>>
Il ragazzo restò un attimo in silenzio, perplesso, poi comandò: <<Elenca modalità.>>
<<Modalità riposo, modalità lenta, modalità veloce, modalità combattimento. Definire modalità.>>
<<Modalità lenta>> disse Joshua, provando a indovinare.
<<Da oggi il tuo nome sarà Raptor>> comandò il ragazzo, dopo aver riflettuto un istante.
<<Sì, comandante!>> rispose il robot.
Il giovanotto era sempre più incredulo ma, nello stesso tempo, sentiva una forza e una sicurezza che non aveva mai provato prima. Poteva impartire ordini solo col pensiero senza dover muovere, come una marionetta, un inutile robot col quale non poteva in nessun modo interagire.
Prese dal cassetto un foglio di un materiale azzurro simile al plexiglass ma molto più malleabile, ritagliò due rettangolini e li incollò sul volto dell’automa per ricreare la mascherina che si era rotta nel bosco e coprire la fessura sulla cabina di pilotaggio.
Poi volle metterne alla prova le capacità, ci pensò un attimo e comandò:
<<Si è fatta sera, accendi la luce Raptor.>>
Il robot si diresse verso l’interruttore e accese la luce. Joshua era sbalordito, non era necessario spiegargli cosa fare o comandare ogni singolo movimento, bastava impartirgli un ordine e lui lo eseguiva senza esitazioni.
<<Prendimi la mia bibita preferita>> disse, provando a impartire un ordine più complesso.
Il robot si diresse verso il piccolo frigorifero, lo aprì e prese una lattina di Coca Cola, tornò dal ragazzo e gliela porse con delicatezza. La connessione mentale era così profonda che Raptor poteva accedere a tutte le informazioni necessarie al completamento dell’ordine ricevuto, senza la necessità di ricevere chiarimenti o spiegazioni. Lo conosceva meglio della sua mamma e aveva un potere immenso. Il giovane gonfiò il petto e sorrise soddisfatto. Che cosa poteva desiderare di più?
Joshua cominciò a fantasticare su quello che avrebbe potuto fare col suo nuovo amico, pensò al torneo e a come avrebbe potuto vincerlo con facilità. Non avrebbe voluto usarlo, perché pensava che non sarebbe stato leale nei confronti degli avversari, poi, ripensandoci, arrivò alla conclusione che fino a quel momento, lottare contro le multinazionali della Robotica, agli immensi fondi di cui disponevano e agli innumerevoli scienziati che ogni giorno lavoravano per creare robot sempre più evoluti e potenti, non era stato per niente leale e gli era valso numerose e umilianti sconfitte. Adesso aveva la possibilità di riscattarsi e ripagarli con la loro stessa moneta.
Mentre pensava a cosa avrebbe potuto fare col suo nuovo giocattolo, si rese conto che suo padre e sua madre gli avrebbero fatto delle domande e avrebbero voluto delle spiegazioni, doveva inventarsi qualcosa per giustificare l’esistenza del nuovo robot e doveva farlo in fretta prima che i suoi genitori tornassero a casa.
Continuò a pensare a tante possibili soluzioni, ma gli sembravano tutte poco plausibili, finché ebbe una folgorazione. Afferrò il telefonino, chiamò il suo amico Lucas Martin e gli disse di correre da lui perché erano successe delle cose incredibili che non poteva spiegare per telefono.
Lucas arrivò di corsa dopo alcuni minuti, per fortuna abitava vicino. Joshua gli spiegò per filo e per segno quanto era accaduto nel bosco, gli mostrò l’alieno nel barattolo e gli diede una dimostrazione delle capacità del nuovo robot. Gli spiegò il motivo per cui non si era rivolto alle autorità, poi gli chiese di aiutarlo nel fornire una spiegazione ai genitori.
Studiarono un piano perfetto. Avrebbero detto che il robot apparteneva a Lucas, che non era riuscito a iscriverlo alle qualificazioni del torneo in tempo e che quindi, essendo migliore del robot di Joshua, glielo avrebbe prestato volentieri. La loro versione dei fatti sembrava abbastanza credibile poiché il padre di Lucas, che era un milionario a capo di una multinazionale e un senatore, compensava la sua continua assenza e lo scarso interesse per suo figlio e per la famiglia con costosi regali. Il padre del piccolo inventore non avrebbe mai chiesto conferme al padre di Lucas perché tra i due non correva buon sangue per una vecchia questione di confini della proprietà.
Aspettarono insieme l’arrivo dei genitori di Joshua, definendo nel frattempo alcuni dettagli e seppellendo il corpo del piccolo alieno nel terreno vicino al capanno per evitare che potesse essere trovato da qualcuno. Lucas era riuscito a strappargli la promessa che, se ce ne fosse stata la possibilità, avrebbe procurato anche a lui un robot alieno.