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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia
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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia

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Sintomi e segni del Morbo di Parkinson

È importante sapere che in ambito clinico si fa una distinzione tra sintomi e segni, quando si descrive cosa accade in caso di patologia della persona:

- Si parla di segni per riferirsi ad un dato oggettivo che il medico raccoglie direttamente, sullo stato di salute dell’individuo, come, ad esempio, un ridotto numero di leucociti nel sangue, a seguito di un’analisi; alterazione delle onde P secondo l’elettrocardiogramma; oppure la presenza di placche “senili” e neurofibrille evidenziate da una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata).

Quindi i segni sono una prova indiretta che deve essere interpretata dal medico sui diversi indici che l’organismo mostra.

- I sintomi, invece, sono l’espressione soggettiva di un paziente su un malfunzionamento del suo corpo.

Sarebbero equivalenti alle lamentele o ai disturbi manifestati dal paziente a causa della sua malattia; così come l’intensità percepita del disagio o del dolore, e di solito è la prima cosa che un medico valuta quando entriamo nell’ambulatorio e ci chiede: «Cosa c’è che non va? Cosa la porta qui da me?»

Una volta raccolte le impressioni, il medico di solito approfondisce questi sintomi, con domande del tipo «Da quanto tempo ha questi sintomi? Definirebbe questi disturbi come dolorosi o invalidanti?»

Nel completare la diagnosi, per stabilire se la persona soffre di un quadro clinico, è determinante il valore dei segni, rispetto ai sintomi, che vengono presi in considerazione come indizi da esplorare, privi di valore diagnostico di per sé.

È inoltre necessario fare una nuova distinzione tra sintomi positivi e negativi, non si tratta di valutarli come “buoni” o “cattivi”, poiché ognuno di essi è indicativo del fatto che c’è un problema di salute e quindi sono tutti valutati come “cattivi” in quanto negativi per il normale sviluppo della vita della persona:

Il sintomo positivo è definito come quello che è presente quando non ci si aspetta che compaia in una persona sana della stessa età, ad esempio, nel Morbo di Parkinson, un sintomo positivo sarebbe la presenza di tremori, qualcosa che non compare in una persona non affetta dal Parkinson.

Il sintomo negativo, invece, è definito come l’assenza di una capacità o abilità che si riscontra in una persona sana della stessa età, ad esempio, un sintomo negativo può essere l’assenza della parola, nel caso di una persona che ha sofferto di un disturbo cranioencefalico a seguito di una caduta e di un forte colpo alla testa, presente in una persona della sua età.

È importante notare che la distinzione tra positivo e negativo viene sempre fatta rispetto ad altri pazienti della stessa età, poiché ci sono sintomi che possono essere presenti o assenti in certe fasce di età e non in altre.

“La presenza di sintomi motori come tremore, lentezza dei movimenti (bradicinesia), rigidità e instabilità posturale possono significare che una persona soffre di questa malattia.

Tuttavia, non tutti i tremori sono dovuti al Parkinson, né tutti i sintomi possono comparire insieme.

È necessaria una precisa valutazione da parte del neurologo specialista per escludere altre possibili patologie che presentino sintomi simili.

Allo stesso modo, esiste un marker emotivo che è la presenza di un disturbo depressivo dell’umore e che si verifica prima della comparsa dei sintomi motori.

In effetti, per molte persone i sintomi non motori del Parkinson (depressione, apatia, mancanza di motivazione, disturbi del sonno…) sono complessivamente più invalidanti dei sintomi motori sopra menzionati.” Marian Carvajal Paje, F.E.P.

Anche se quando si pensa al Morbo di Parkinson, lo si fa sulla base dei suoi sintomi principali associati al movimento, ma non sono gli unici e nemmeno quelli che influenzano maggiormente la qualità di vita del paziente.

Sapendo che tra il 40 e l‘80% dei pazienti affetti da Parkinson deve affrontare anche un problema in più, il dolore, qualcosa che è direttamente dannoso per la loro qualità di vita e le relazioni sociali.

Il dolore serve come avvertimento al cervello che qualcosa non va, ma quando è cronico, a causa di traumi o malattie, diventa un grande fastidio, che influisce non solo sulle normali prestazioni ma anche sulle capacità cognitive.

Il dolore può cambiare l’umore, e persino “offuscare la ragione”, questo insieme ad un fenomeno denominato sensibilizzazione, in modo che chi soffre di dolore cronico, lo sperimenta molto più intensamente ogni giorno, “sopportando” sempre meno la sua presenza.

Quindi, oltre all’intervento nel Morbo di Parkinson, questi pazienti dovrebbero ricevere cure tempestive per combattere questo dolore costante; ma può essere migliorato il trattamento del dolore nel Parkinson?

È proprio quanto ha annunciato l’azienda Mundipharma International in un [2] comunicato stampa secondo il quale l’azienda farmaceutica ha completato con successo la prima rigorosa ricerca sul trattamento del dolore nei pazienti con morbo di Parkinson analizzando gli effetti del trattamento ossicodone-naloxone. (OXN PR).

Tra le caratteristiche dello studio, emerge che è stato condotto utilizzando un gruppo di controllo a cui è stato somministrato un placebo, nonché un disegno in doppio cieco, dove né il paziente né gli infermieri che hanno somministrato la sostanza sapevano se si trattasse del farmaco o del placebo. Valutato mediante autovalutazione utilizzando una scala di valutazione del dolore, misurata in momenti diversi, fino a quattro mesi dopo la somministrazione.

I risultati mostrano differenze significative tra i due gruppi, quelli che hanno ricevuto farmaci rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo, durante i primi tre mesi, perdendo efficacia sei mesi dopo l’inizio del trattamento.

Tra gli effetti collaterali indesiderati del trattamento, nausea e costipazione sono state osservate nel 17% dei pazienti.

Il comunicato stampa non riporta il numero di partecipanti, il loro sesso o le fasi della malattia in cui si trovavano.

Uno dei limiti dello studio è proprio il metodo di raccolta dei dati tramite auto-report, poiché ora possono essere utilizzati altri metodi più affidabili.

Nonostante ciò, è un’ottima notizia poiché è il risultato di una ricerca rigorosa che offre un’alternativa ai pazienti con Morbo di Parkinson, aumentando così la loro qualità di vita, riducendo il dolore che provano, oltre a dover soffrire a causa degli altri sintomi della malattia.

Nonostante quanto sopra, si deve tenere conto che è necessario effettuare ulteriori ricerche per verificare che l’efficacia di questo trattamento del dolore non interferisca con quello utilizzato nel Parkinson, come è già successo in altre occasioni, rispetto a quando viene provato trattando due problemi contemporaneamente, a volte gli effetti positivi dei farmaci si annullano a vicenda, rendendo l’intervento meno efficace.

Sarebbe quindi conveniente corroborare i dati precedenti con diversi tipi di farmaci e in diverse fasi della malattia per verificare in quali condizioni l’intervento del dolore attraverso questa metodica è più efficace, cercando nuove alternative per quei pazienti che non rispondono adeguatamente a questo trattamento, sia perché in fase avanzata, sia perché presentano altre patologie associate al morbo di Parkinson.

Ma tornando ai sintomi più evidenti del Parkinson, non tutti i problemi motori possono essere attribuiti a questa malattia, poiché sono presenti anche in altre patologie, da qui l’importanza di conoscerli e stabilire la diagnosi tempestiva differenziale.

Nonostante quello che si può pensare, sia i professionisti che le persone estranee alle scienze della salute hanno una certa conoscenza delle patologie e psicopatologie più frequenti, ma c’è anche tutta una serie di malattie, disturbi e sindromi che sono ancora sconosciute a causa del loro basso livello di incidenza o perché non ricevono abbastanza attenzione dai media.

Ecco perché esistono manuali di riferimento come il Vademecum nel caso dei medici e manuali diagnostici, come l’ICD-10 o il [3] DSM-V [4] nel caso degli psicologi e psichiatri.

Questi vengono solitamente utilizzati quando un caso non è del tutto chiaro, quando si presentano sintomi che non appartengono al quadro clinico che si ha o perché non è possibile stabilire una diagnosi conforme a tutti i sintomi osservati.

Ma ci sono così tante classificazioni in categorie e sottocategorie, su sintomi e sindromi, disturbi e malattie, che è necessaria una certa specializzazione per poter fornire un’assistenza migliore.

Pertanto, i professionisti si specializzano per età, ad esempio, nei disturbi dello sviluppo nell’infanzia, o per gruppi di malattie che presentano alcuni elementi in comune, come le malattie neurodegenerative.

Nonostante quanto sopra, gli operatori sanitari dovrebbero aggiornarsi periodicamente per conoscere “nuove patologie” o quelle che hanno cambiato la loro incidenza nella popolazione e sono ora più comuni, o che si verificano in concomitanza con altre malattie o disturbi; ma esiste una relazione tra la Sindrome di Pisa e il Morbo di Parkinson?

È proprio quello che cercano di accertare l’Ospedale “Moriggia-Pelascini”, l’Istituto di Scienze di Pavia, l’Istituto di Scienze di Montescano (Italia) e l’Università di Tel-Aviv (Israele) [5].

La Sindrome di Pisa è definita come una torsione sostenuta del tronco di almeno dieci gradi, che può essere osservata sia da seduti che in posizione eretta, ma scompare non appena la persona si corica.

Nello studio, a settantaquattro pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson sono state effettuate misurazioni EMG (ElectroMyographic) per verificare il livello di deviazione della persona; per questo sono state eseguite in diverse posture, anche in posizione supina.

Sono stati valutati tre momenti diversi, a riposo, contratti verso la posizione naturale dei muscoli e contratti dal lato opposto a quello naturale.

È stato osservato che il 78% dei pazienti mostrava differenze significative in termini di deviazione muscolare, in particolare il muscolo obliquo esterno dell’addome, che era quello che forniva il maggior numero di informazioni tra tutti quelli valutati.

Va tenuto presente che, come riportato dagli autori, si tratta di un primo approccio per determinare un metodo valido per rilevare la presenza della Sindrome di Pisa nei pazienti con Morbo di Parkinson, quindi sono necessarie nuove ricerche a questo proposito al fine di stabilire una procedura diagnostica più efficace.

Lo studio non riporta le caratteristiche sociodemografiche dei malati di Parkinson, né la loro età, né il loro sesso … aspetti fondamentali se i risultati devono essere estrapolati ad altre popolazioni.

Nonostante quanto sopra, l’uso dell’elettromiografia, una tecnica molto semplice e diffusa nella pratica medica, rende più facile ed efficace la diagnosi della Sindrome di Pisa, soprattutto se la valutazione viene eseguita sul muscolo obliquo esterno dell’addome.

Va tenuto presente che, come in ogni altro caso, soffrire di due patologie contemporaneamente, in questo caso il Morbo di Parkinson e la Sindrome di Pisa peggiora la prognosi clinica della persona, rendendo difficile la guarigione.

Inoltre, la sotto diagnosi della Sindrome di Pisa serve solo a nascondere i sintomi che saranno presenti, interferendo con la qualità di vita del paziente affetto da Parkinson, purché non riceva il trattamento appropriato.

A tal proposito è ancora da capire come si debba trattare la Sindrome di Pisa e se questo trattamento comporterà qualche tipo di controindicazione rispetto a quello ricevuto per il Morbo di Parkinson.

Allo stesso modo, e all’interno dei problemi di movimento che inizialmente potrebbero essere attribuiti al Morbo di Parkinson, ma che richiedono una diagnosi differenziale, va fatta una distinzione rispetto alla distonia neurocircolatoria, che può essere definita come la modifica del corretto “uso” dei muscoli da parte del corpo.

Un esempio di questa modifica è quando abbiamo eseguito degli esercizi ginnici senza il riscaldamento preliminare appropriato, che possono provocare dei crampi nelle ore successive all’attività fisica.

Allo stesso modo, l’esercizio eccessivo di un gruppo di muscoli può renderli temporaneamente “flosci” e flaccidi, recuperando il loro “tono” muscolare dopo poche ore.

Tenendo conto che i muscoli distribuiti in tutto il corpo permettono alla persona di eseguire movimenti grazie alla loro capacità di contrarre e rilassare i tessuti che li compongono.

Tutto questo “guidato” dal sistema nervoso centrale, che impartisce gli ordini che consentono di eseguire i movimenti in modo coordinato.

Basti pensare a tutti i gruppi muscolari coinvolti nella deambulazione e che senza un “piano” prestabilito sarebbe difficile, se non addirittura impossibile, riuscire a deambulare “armoniosamente”.

Tornando alla distonia, quando è cronica, si chiama sindrome distonica, dove la tonalità dei muscoli è alterata, totalmente o parzialmente, solitamente associata a cause genetiche o a un trauma cranico, che può essere espresso con perdita di forza nei muscoli, crampi, spasmi involontari, tremori e incoordinazione dei movimenti, accompagnati in alcuni casi da dolore.

Oltre ai segni, tra i sintomi ci sono irrequietezza nei movimenti, tentativo di nascondere mani e piedi, frequenti schiarimenti della gola, dovuti al cambio di tono della voce, tutti fattori che porteranno ad esaurimento fisico e psicologico, difficoltà di concentrazione, disturbi dell’umore dovuti ad una sensazione di mancanza di controllo del proprio corpo, problemi digestivi e disturbi del sonno, che in alcuni casi portano alla depressione.

Sintomi simili a quelli manifestati dai pazienti, con sindrome di Tourette denominata anche dei tic cronici, dove sono presenti anche segni motori involontari espressi sotto forma di tic, che ricorrenti cronicamente interferiranno con il normale sviluppo della vita sociale, poiché solitamente sono associati alla coprolalia, che è l’espressione di parole oscene e socialmente inappropriate, causate dalla mancanza di controllo.

Come possiamo vedere, un’alterazione del tono muscolare sarà anche un’indicazione che qualcosa non sta andando bene nel nostro corpo, sia a livello neurologico che midollare, normalmente correlato al sistema nervoso.

Così, quando questo controllo sui movimenti è “compromesso” da qualche malattia neurologica, può produrre patologia come il Parkinson o la Corea di Huntington, nota anche come Ballo di San Vito.

Per quanto riguarda i problemi di controllo muscolare, sebbene possano essere utilizzate molte classificazioni di tremori, in base ai muscoli interessati o alla funzione coinvolta, in questo libro li distingueremo tra tremori a riposo e tremori da azione.

I primi si riferiscono ai muscoli in stato di rilassamento, cioè mentre la persona rimane ferma, in piedi o seduta, senza fare nulla, e nonostante questo il paziente soffre di tremori; mentre i tremori di azione, d’altra parte, sono quelli che compaiono solo quando un’azione sta per essere eseguita, sia che si tratti di prendere un oggetto o di camminare.

Lo svantaggio di soffrire di quest’ultimo tipo di tremore è che ostacola l’azione intrapresa, ad esempio, quando si vuole portare il cibo dal piatto alla bocca, avere tremori di azione alla mano o all’avambraccio significa che il cibo viene rovesciato a causa di tali tremori.

Va ricordato che quando si esegue un’azione, ad esempio quando si flette il braccio, ci sono muscoli che si contraggono, cioè quando subiscono il tremore durante l’azione, e muscoli che rimangono rilassati, che di solito non soffrono di tremore, ma come sono correlati i tremori nel Morbo di Parkinson?

Questo è esattamente ciò che si è cercato di scoprire con una ricerca condotta dalla Parkinson’s Clinic di East Toronto e dal Centre for Movement Disorders (Canada) [6].

Lo studio ha incluso 100 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 43 e 99 anni, nei quali è stata osservata la lateralità dei tremori, sia di riposo che di azione, studiando solo i tremori delle estremità superiori, valutati utilizzando la Unified P.D. Rating Scale [7].

I risultati indicano una relazione inversa tra l’intensità del tremore a riposo e il tremore d’azione, una relazione che viene mantenuta solo sullo stesso lato del corpo.

Pertanto, la presenza di tremore moderato a riposo in un arto significa che, su quel lato del corpo, c’è una probabilità significativamente inferiore di subire un tremore d’azione.

Tremori dei muscoli che inizialmente appariranno al centro del corpo, ma che possono diffondersi anche all’altra metà, tenendo conto che, sebbene la caratteristica più eclatante sia proprio questo tremore, il Morbo di Parkinson presenta anche sintomi come la rigidità e instabilità posturale e lentezza nei movimenti.

Come è stato affermato finora, il Morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa associata al controllo muscolare, quindi i suoi effetti peggioreranno con l’età.

A questo vanno aggiunti i problemi del passare del tempo, con la progressiva diminuzione dell’autonomia personale.

Questo aspetto è una delle maggiori preoccupazioni per i pazienti affetti dal Parkinson, sapendo che è una questione di tempo prima che diventino sempre più dipendenti dal fare quasi qualsiasi attività.

Va tenuto presente che i problemi muscolari associati alla malattia sono in aumento, ma esiste una relazione tra Morbo di Parkinson e problemi cognitivi?

A questo si è cercato di dare una risposta con un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia, Facoltà di Medicina, Università Ondokuz Mayis; insieme alla Clinica Neurologica, Formazione e Ricerca Ospedaliera; e il servizio di neurologia, Carsamba State Hospital (Turchia) [8].

Allo studio hanno partecipato trentasette pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 55 e 77 anni, di cui diciannove donne.

I partecipanti hanno compilato una scala per determinare il livello di indipendenza utilizzando le Scales for Outcomes nel Morbo di Parkinson – Automatiche [9]; le Hoehn e Yahr Scale sono state utilizzate per determinare la gravità della [10]malattia; allo stesso modo, le capacità cognitive sono state valutate utilizzando il Mini Mental State Examination test [11,12], il Blessed test [13] e il Frontal Evaluation Test [14].

La scala della depressione geriatrica è stata utilizzata per rilevare i sintomi depressivi; e infine, per valutare l’attenzione e la memoria a breve termine, è stato utilizzato un test di sequenza numerica.

I risultati riportano che non esiste una correlazione significativa tra il livello di autonomia e le capacità cognitive, funzionando in modo indipendente.

D’altra parte, esiste una correlazione negativa tra la gravità della malattia e le capacità cognitive, ovvero, maggiore è la gravità, minori sono i punteggi ottenuti nelle capacità cognitive.

Tra i limiti dello studio, va notato che, pur avendo quasi lo stesso numero di partecipanti per ogni sesso, non è stata effettuata un’analisi comparativa, quindi non è possibile fare alcuna inferenza al riguardo in base al genere.

Allo stesso modo, la gamma dei partecipanti è molto ampia e gli effetti dell’età possono essere confusi, quindi sarebbe bene se fossero stati separati in due gruppi, ad esempio sotto e sopra i 65 anni, per verificare se ci sono differenze, che potrebbero essere spiegate solo dall’età.

Nonostante i limiti di cui sopra, i risultati mostrano un certo livello di indipendenza tra capacità cognitive e autonomia personale.

Va notato che, essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, ciò implica che progredirà fino a quando non finirà per influenzare tutte le funzioni del corpo, sebbene il suo sintomo più evidente sia il tremore.

Così, le aree cerebrali colpite dal Morbo di Parkinson fanno sì che tutti i muscoli a poco a poco “fuori controllo” perdano la loro utilità, oltre a questa perdita di controllo caratterizzata da tremori, si produce una graduale rigidità di alcuni gruppi muscolari.

Anche se i più “evidenti” all’inizio sono in quei movimenti che richiedono la partecipazione di un numero maggiore di fasce muscolari, come il camminare, dove interviene anche l’informazione vestibolare che serve a riequilibrare la postura ad ogni passo.

Man mano che la malattia progredisce, si produrrà “interferenza” nel resto dei muscoli, come quelli della mascella e della lingua, che sono essenziali per una corretta prestazione linguistica. Di conseguenza, con il progredire del Parkinson, sarà più difficile capire cosa sta dicendo il paziente.

Non perché abbia qualche tipo di patologia neurologica legata alla parola o al pensiero, ma perché i muscoli intorno alla bocca e anche la lingua non rispondono adeguatamente ai suoi comandi, ma si può diagnosticare la presenza del Parkinson dal modo in cui una persona parla?

È quanto si è tentato di risolvere con un’indagine condotta dal Dipartimento di Informatica e Ingegneria e dal Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Ingegneria RAGHU, insieme al Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università. GITAM; e il Dipartimento di Microbiologia e Bioinformatica dell’Università Bilaspur (India) [15].

In questo studio sono stati utilizzati database su audio con registrazioni vocali e, tramite Big Data, sono state ricercate differenze tra i pazienti con Morbo di Parkinson da fare un confronto con la popolazione generale di età inferiore ai 40 anni.

Questi dati sono stati elaborati utilizzando tre diversi metodi di analisi matematica computerizzata, dove si verificava la chiarezza, la modulazione, la fase o l’impedenza delle frasi sia dei pazienti con Parkinson che delle persone che non ce l’hanno, che rappresentavano il gruppo di controllo.

I risultati indicano che l’uso di tecniche come la Support Vector Machine possono essere utilizzate per la diagnosi differenziale tra pazienti con e senza Morbo di Parkinson, a partire dai 40 anni, con una percentuale di successo del 70%.

Nonostante la chiarezza di questi risultati, la selezione dell’età come punto di cut-off tra prima e dopo l’insorgenza del Parkinson può essere evidenziata come una limitazione dello studio, a causa delle differenze individuali esistenti non controllate in questo studio.

Come sottolineano gli autori, se i risultati di queste analisi saranno corroborati, consentirà a chiunque di pronunciare tutte le vocali dieci volte e, dopo l’obbligatoria analisi matematica, sarà possibile sapere se stanno presentando i primi sintomi “silenti” del Morbo di Parkinson o meno.

Un grande passo avanti, poiché prima viene diagnosticata questa malattia, prima è possibile intervenire, allungando così la qualità della vita del paziente, e tutto questo con pochi minuti davanti a un microfono.

Come accennato, i problemi di linguaggio, indipendentemente dall’età in cui si presentano, renderanno difficile per il paziente avere una relazione sociale adeguata, da qui l’importanza di verificarne gli effetti nel Parkinson.

Essendo la capacità di comunicare una delle problematiche più importanti che incidono sulla qualità della vita dei pazienti con il Parkinson, è stato osservato che nel 90% dei casi è ostacolata dalla progressione della malattia, sia da alterazione nella velocità di parola sia dalla loro capacità discorsiva, ma i pazienti affetti dal Parkinson presentano problemi di linguaggio in funzione dell’età?

Questo è esattamente ciò che si è cercato di risolvere attraverso un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia della Facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo (Brasile) [16].

Lo studio ha incluso 50 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, tutti di età superiore ai 40 anni, che sono stati separati in due gruppi in base all’età, il primo, di 30 pazienti con età compresa tra 40 e 55 anni; e il secondo, con 20 partecipanti, tutti di età superiore ai 65 anni.

Sono state somministrate tre misure, una neuropsicologica per valutare la progressione del Parkinson attraverso la scala di Hoehn e Yahr e la [10] Unified Parkinson´s Disease Rating Scale[17]; una seconda di tipo percettivo dove è stata valutata la velocità discorsiva; e una terza di tipo acustico, dove la capacità di generare parole è stata valutata spontaneamente attraverso l’analisi delle vocali utilizzate in base al V.A.I. (Vowel Articulation Index).

Lo studio riporta che non ci sono differenze tra i gruppi di età in termini di nessuna delle tre misure, cioè né nella gravità del Morbo di Parkinson, né nella velocità né nella capacità di parlare.