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Il Misterioso Tesoro Di Roma
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Il Misterioso Tesoro Di Roma

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Tanto tempo sprecato nella ricerca e nel desiderio, senza conoscere il vero valore di ogni istante. Molte volte ho pensato che se avessi una seconda possibilità, cambierei molto di quello che ho fatto. Non che me ne penta perché ho una coscienza pulita, ma farei le cose in un altro modo e anche in un altro ordine.

Così tanti ricordi, così tante esperienze e ora sono solo le foto di un vecchio album accumulate in un qualche cassetto, o alcune incorniciate e appese al muro in attesa che qualcuno venga a chiedermi qualcosa.

Non sono mai stato molto bravo a raccontare storie, perché la mia fretta mi ha sempre consigliato di andare al punto, omettendo i dettagli, ma ora, anche se volessi quei dettagli, non esisterebbero più, solo le foto e alcune note, il resto è come se fosse in mezzo ad una fitta nebbia mattutina, che nasconde il paesaggio.

E ciò mi dà una strana sensazione, a volte di ammirazione e altre di impotenza, sapendo che ci sono tesori dietro la nebbia, hai la certezza che siano lì, ma sono inaccessibili per me.

Mia moglie, lei sì che era eccezionale nel ricordare anche i più piccoli dettagli di qualsiasi viaggio, incontro o conversazione, era incredibile la chiarezza con cui li raccontava, era come se li avesse davanti a sé e potesse descriverli.

Ancora mi stupisco quando ricordo come fosse in grado di riconoscere persone che non incontrava da anni e semplicemente vedendole sapeva perfettamente chi fossero e di cosa avessero parlato l’ultima volta.

Una memoria prodigiosa che le ha permesso di imparare qualsiasi argomento vedendolo praticamente una volta sola.

Mi diceva che doveva questo al fatto di avere una memoria fotografica, ma io ridevo dicendo che non esistevano macchine fotografiche nemmeno tra quelle moderne in grado di registrare tante immagini quanto lei.

Ah, mia moglie! Non credo ci fosse sulla Terra un essere tanto speciale quanto lei, è un peccato che se ne sia dovuta andare così presto, con tutto ciò che avevamo ancora da condividere, così tanti viaggi da fare … mi sembra ieri quando la incontrai per la prima volta e invece ora …

Com’è strana la memoria! Per quello che vuole ricorda tutto e il momento successivo c’è solo il vuoto, se solo potessi conservare i miei ricordi per un momento …! A che serve tutto ciò che ho vissuto se non posso ricordarlo, per fortuna che il mio lascito rimarrà ai miei studenti.

Grazie a loro e ai loro figli, tutto ciò che ho saputo, rimarrà per le generazioni future. In verità sarei soddisfatto se anche solo uno di loro facesse uso di ciò che gli è stato insegnato e che con esso fosse in grado di migliorare la sua vita.

Bene, bando alle ciance … per fortuna ho qui davanti a me il diario di viaggio aperto per ricordarmi dove stavo andando, vediamo, cosa ho appuntato di quel momento nel mio diario?

“Il 23 aprile 1953. Oggi siamo usciti alle dieci e siamo andati a Parigi per cambiare aereo fino a Roma. All’arrivo siamo stati prelevati da un autobus per andare all’hotel. Una struttura pittoresca di camere piccole e letti un po’ duri, ma con una vista incredibile e una posizione eccezionale nella zona turistica. Primo giorno dell’avventura, dividendo la stanza con Arthur, che russa così tanto da non farmi dormire”

Questo è quello che avevo scritto insieme al simbolo della porta dell’hotel, lo stemma della famiglia del proprietario dello stabile.

Beh, non ricordo molto bene cosa accadde, ma ciò che è chiaro è che nessuno di noi trascorse la notte in hotel, dato che volevamo approfittarne per visitare la città e sapere ciò che non c’era nei libri.

Alla fine, siamo dovuti tornare in albergo scoraggiati e con il corpo stanco a causa di una notte sfiancante e infruttuosa, dopo aver camminato molto, per quelle strade buie e scarsamente illuminate, con una penombra costante rotta esclusivamente da alcuni lampioncini, la cui fiamma esausta stava per spegnersi.

E tutto questo camminare per niente, perché non siamo riusciti a raggiungere la nostra destinazione, dove ci era stato assicurato che avremmo potuto trovare un’atmosfera festosa in qualsiasi momento dell’anno.

Forse fu una strada mal percorsa, un angolo sbagliato, una piazza in cui svoltammo nella direzione opposta, ciò che ci ha deviato dal nostro obiettivo, qualunque cosa fosse, non ha dato fastidio a nessuno di noi perché fu tutta un’esperienza vedere la città con altri colori, protetti da una bellissima e luminosa luna piena che rifletteva sulle sinuose pareti le ombre delle statue e le decorazioni delle case di epoca medievale.

I nostri sogni infranti di quella notte non ci impedirono la mattina successiva di visitare buona parte del centro, per questo avevamo l’aiuto di una persona che ci aveva fornito l’ambasciata.

Era un uomo anziano, di robusta costituzione e con una certa aria bohémien, per come si atteggiava e per il fatto che indossasse quel vistoso foulard al collo, ripiegato verso l’esterno.

Che ricordi, quella fu la prima volta che vidi un uomo indossare un fazzoletto come un indumento, al di là di quello con cui le ragazze si coprivano la testa quando era molto arioso, per evitare che i capelli si increspassero.

Quest’uomo lavorava per noi sia come guida turistica, che per controllare le nostre azioni, perché era stato incaricato di prendersi cura di noi, in modo che non ci infilassimo in troppi guai durante il soggiorno in città.

Anche se non penso che fosse necessario perché eravamo tutti consapevoli della situazione politica del momento, della natura delicata della nostra presenza a causa delle implicazioni internazionali che ciò comportava, quindi abbiamo cercato di attenerci a ciò che era stato il piano approvato, ma tutto andò fuori controllo quando capitò il primo grave incidente del viaggio.

Nonostante i molti avvertimenti sul fatto che la nostra presenza in quel luogo avrebbe potuto suscitare sospetti tra i suoi abitanti, non avevamo visto un solo gesto negativo. Inoltre, non ci aspettavamo che questo ci colpisse troppo perché avevamo pochi giorni a disposizione per vedere tutto e stavamo seguendo il piano, ma un incidente con uno dei compagni, al quale rubarono i pochi soldi che portava con sé, fece in modo che il gruppo si disfacesse e si disgregasse.

Alcuni compagni, compreso quello colpito dal furto, iniziarono l’inseguimento di quel malfattore, guidati più dallo sdegno provocato e per il fatto che se ne fosse scappato e fosse scoppiato a ridere a pochi metri da dove aveva compiuto il furto, mostrando con beffa il suo bottino, piuttosto che per la perdita economica, ma ogni tentativo di risolvere la situazione fu vano.

Non che corresse troppo, ma conosceva tutti gli angoli e le complessità di quei vicoli, e in più senza sapere da dove, uscirono un paio di suoi compari, il che rese difficile l’inseguimento, mettendosi in mezzo, mandando all’aria così le possibilità di raggiungere il criminale.

Sebbene non credo che quelli che già partiti all’inseguimento avessero molto chiaro cosa avrebbero fatto una volta raggiunto lui e recuperati i soldi, reagirono solo istintivamente come cani da preda in cerca del loro trofeo.

Ciò causò una sensazione spiacevole nel gruppo, spezzando l’armonia che c’era stata fino a quel momento.

Alcuni decisero di tornare in hotel, chiamare l’ambasciata e informarli di ciò che era appena accaduto e chiedere nuove istruzioni su cosa fare. Alcuni fecero pressione sulla nostra guida perché facesse intervenire la polizia, i Carabinieri, ma lui faceva di no con la testa perché ciò che era successo pareva più normale di quanto ci avessero detto.

Noi pochi che non eravamo stati coinvolti nella situazione, preferimmo continuare con l’escursione, sapendo di non avere troppi giorni prima che finisse il nostro soggiorno dato che la perdita prodotta, aveva influenzato soprattutto l’orgoglio di quel giovane che era stato violato nella sua intimità con quel furto, per quello non credemmo di dover interrompere le nostre attività culturali visitando i luoghi più interessanti della città.

La guida vedendo questo scompiglio indicò a noi pochi che volevamo continuare la visita dove dovessimo andare e a che ora saremmo dovuti tornare per mangiare, visto che lui alla fine decise di tornare in hotel con i compagni che volevano avvisare l’ambasciata.

Alcuni, cambiando idea, rimasero piuttosto turbati dal fatto che non avesse fatto intervenire le autorità locali e continuarono l’escursione con noi.

Non eravamo nemmeno la metà del gruppo, alcuni rimasero sul posto aspettando che quelli che avevano inseguito il malfattore tornassero in modo da poter indicare loro dove fossimo per riunirci prima di andare a mangiare.

Ora sì che era un’avventura quella, in un paese di cui ignoravamo la lingua, e che ovunque guardassimo ci era completamente sconosciuta la cultura locale.

Avevamo già visitato con la guida i monumenti più importanti, il Colosseo e il Foro, quindi ora ci stavamo dirigendo a conoscere alcune delle tante chiese che sono distribuite nel centro senza alcun tipo di ordine o sistema, come gocce di rugiada nel campo, in attesa di essere scoperte dal visitatore.

Quelle visite di contenuto religioso non avevano molto senso per me, perché avevo da tempo abbandonato le mie convinzioni, quindi non trovavo alcun significato nell’entrare in ogni chiesa per vedere alcune pale d’altare dipinte secoli prima o per ammirare una statua o un’icona, per quanto notevole, antica e ben fatta che fosse.

Ma con mia sorpresa le chiese non contenevano solo architettura e resti di tematica religiosa, erano anche rifugi per molti altri elementi, resti archeologici o appartenenti alla cultura popolare indipendentemente dalla loro origine, poiché erano diventati luoghi di rifugio per pezzi artistici, non era necessario che l’argomento fosse esclusivamente religioso.

Ne è stato un esempio la visita che abbiamo fatto alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin, al cui esterno si trova quel resto archeologico di un grande tondo scolpito con l’immagine di una persona anziana con i capelli in disordine e la barba arruffata, con uno sguardo fisso e inquietante e con la bocca aperta.

All’inizio siamo rimasti un po’ sorpresi, mentre procedevamo avanti con la fila e di fronte alla nostra perplessità uno di noi osò mettere la mano lì e non accadde niente, dopodiché l’abbiamo messa tutti con lo stesso risultato, senza comprendere appieno il significato nè a cosa servisse.

Più avanti in hotel la guida ci avrebbe spiegato che si trattava della Bocca della Verità, nella quale, una volta introdotta la mano destra nell’apertura, se la persona che l’aveva fatto non diceva la verità, la avrebbe persa.

Successivamente abbiamo continuato a girovagare per la città, stupiti dalla quantità di resti artistici e culturali sopravvissuti allo scorrere degli anni.

Avevo sentito parlare dei castelli del Medioevo, quelle sontuose e grandiose costruzioni, fortificazioni erette per salvare le proprietà dei re e dei signori feudali del luogo, insieme agli abitanti dei villaggi vicini, ma essere lì era come vivere in una città medievale dove si manteneva ancora la stessa architettura nelle sue strade, fontane e piazze.

Dovunque guardassimo, che fosse un balcone o l’architrave di una porta, rimanevamo colpiti dalla maestosità dei dettagli lavorati, scolpiti o dipinti, ricordi di una gloriosa era artistica precedente. Inoltre, come abbiamo appreso in seguito, la coltivazione delle diverse arti era qualcosa che veniva tenuta in vita nelle scuole, considerate tra le più prestigiose al mondo, un buon posto dove vivere se sei un amante della storia.

Ma io ero più pragmatico, preferivo ciò che aveva portato la tecnologia e tutti i vantaggi che ciò implicava. I viali ampi e lisci, dove potevi spostarti con il tuo veicolo da un luogo all’altro in breve tempo, senza dover salire e scendere per le strade acciottolate.

Un modo diverso di vedere e considerare la vita, preferivo le grandi città, dove era facile accedere a tutti i servizi in poco tempo. Non avevo mai considerato che qualcuno potesse vivere in un posto così particolare.

Alzarmi la mattina e vedere tutto ciò mi sembrava abbastanza inaudito e sconcertante, non riesco a immaginare vivere lì da quando si è piccoli, doveva essere come stare permanentemente in un museo, sapendo che tutto ciò che tocchi ha centinaia di anni.

Anche se in termini di persone, le differenze con noi non erano così tante, tuttavia alcuni ci guardavano con una faccia strana, come sospettosa, che ci faceva sentire estranei lì, quasi come una forza di occupazione.

Forse era solo una percezione, forse perché usavamo abiti diversi da quelli che eravamo abituati a vedere lì.

Fosse quel che fosse, con il disgusto del furto che avevamo sofferto durante la mattinata, stavamo attenti a che non si verificassero altri alterchi o problemi simili, sapendo che ora eravamo meno.

Forse il nostro viaggio era stato troppo precipitoso per le circostanze sociopolitiche del momento, ma era un segno di buona volontà da parte della nostra accademia, un segno di cooperazione e scambio.

Non so se un gruppo di studenti italiani avrebbe visitato il nostro paese, suppongo sarebbe potuto capitare, ma le mie informazioni non arrivavano a tanto.

Forse faceva parte di una politica di apertura con il resto del mondo, non lo so, ciò che era chiaro è che non avevo mai visitato il paese e che era una grande opportunità per farlo, quindi non volevo che niente o nessuno mi ostacolassero.

Se il compagno a cui era stato rubato il portafoglio mi avesse detto l’importo che gli mancava, io stesso lo avrei rimborsato in modo da poter continuare pacificamente con quell’escursione.

Non riesco a immaginare quale altro elemento di valore potesse avere in esso, perché tutta la documentazione l’avevamo depositata all’ambasciata. Qui, per muoverci in città, ci avevano fornito una scheda in cui inserire i nostri dati, le indicazioni dell’albergo dove alloggiavamo e il numero di telefono dell’ambasciata. Nonostante fosse appena iniziata la primavera, faceva piuttosto caldo e non eravamo abituati a temperature così elevate in questo periodo dell’anno e abbiamo trovato difficile reperire fontanelle per bere.

Quelle che c’erano non eravamo sicuri che fossero potabili, anche se le persone di lì bevevano senza preoccupazioni, ma prudentemente preferimmo solo rinfrescarci le mani e la testa, dato che una fonte che ha funzionato per così tanti secoli, non poteva essere pulita come avremmo voluto.

Forse era il contrasto, ma quelle persone ci sembravano abbastanza innocenti, lontane dalle grandi città piene del fumo delle fabbriche, a cui eravamo abituati, ma loro pensavano qualcosa del genere di noi, quando restavamo stupiti dai dettagli che loro contemplavano tutti i giorni.

Ci piaceva così tanto quello che vedevamo che alcuni miei colleghi, per non dimenticarlo, si dedicarono a imprimerlo nei loro quaderni da disegno, riempiendoli con schizzi più o meno riusciti degli edifici più significativi e importanti. Altri, al contrario, sembravano essere più bravi a scrivere e si fermavano in ogni strada cercando di raccontare in alcuni paragrafi che meraviglia stavamo percependo. C’erano solo un paio di colleghi che erano riusciti a portare le macchine fotografiche.

Non so come fossero passati attraverso la dogana, dato che ci avevano dato istruzioni specifiche prima di partire sul non portare nessuna tecnologia dal nostro paese, ma suppongo che il cognome dei genitori di quei compagni avesse più peso di qualsiasi altra regola scritta.

Di tanto in tanto ci chiedevano di fermarci per scattare alcune foto in cui appariva l’intero gruppo e sul retro l’edificio in questione.

Forse nel viaggiare ero più inesperto di tutti gli altri, dato che avevo portato solo un piccolo taccuino, in cui volevo raccogliere ogni giorno ciò che era più degno di nota senza riuscire a catturare in quelle poche righe l’ammirazione che suscitava in me quella città ad ogni passo.

Uno degli aspetti che mi è sembrarono più curiosi a causa del contrasto con quello che conoscevo, era il modo in cui le donne si vestivano. Le donne più grandi indossavano un fazzoletto nero sopra la testa e vestivano dello stesso colore. Le ragazze lo facevano con colori discreti e sciarpe molto appariscenti.

Abituato a vedere quelle del mio paese truccate, con ampie gonne a ruota, con maniche corte che lasciavano vedere le braccia e indossando il fazzoletto solo come accessorio decorativo.

Inoltre, sembrava che ci fosse una chiara differenziazione tra i sessi su ciò che poteva o non poteva essere fatto, quindi gli uomini si pavoneggiavano per strada con i loro abiti come se stessero partecipando ai migliori galà, mentre la maggior parte di loro quando non era al lavoro indossava una semplice camicia a causa del caldo incessante, ma per noi era un atteggiamento un po’ strano, gli uomini sembravano essere quelli che comandavano nella società, mentre le donne nascoste cercavano di passare inosservate, come se non avessero avuto nulla da dimostrare o per cui contribuire.

Mi sembrava abbastanza sorprendente, era come se tutti fossero rimasti bloccati nel tempo, per quanto riguardava il modo di vestirsi intendo, non penso che fosse qualcosa di religioso, come con i Quaccheri, una comunità che si era isolata dal mondo, mantenendo la propria cultura senza voler progredire, la prova di ciò era l’abbigliamento che usavano non molto lontano da quello che vedevamo ora.

Beh, quelle erano le mie impressioni a quel tempo, alla fine avrei capito la cultura che stavo vedendo, e tutto era frutto della mia inesperienza, perché come indicato dai colleghi che avevano viaggiato in Europa altre volte, a seconda del paese in cui si era c’erano costumi e modi di vestire totalmente diversi.

Anche i comportamenti di uomini e donne erano abbastanza diversi a seconda del paese in cui ci si trovava, quindi mi raccontarono dell’esuberanza della donna francese che esibiva le sue qualità senza decoro, così da non dover aspettare che fosse l’uomo a cercarla, ma era lei a scegliere quello che sembrava più galante.

Anche in altri luoghi con cui condividevamo una cultura e una lingua comuni, sembravano ancora mantenere tradizioni abbastanza particolari, così a differenza di quanto accadeva nel nostro paese da tempo, le donne non erano ancora riuscite ad avere un livello sufficiente di indipendenza economica e politica, e questo accadeva in Inghilterra, dove erano avvenuti i primi movimenti per ottenere il suffragio universale, ossia che le donne avessero il diritto di votare per scegliere i loro rappresentanti legali e con questo venne loro riconosciuta una serie di diritti che la equiparavano all’uomo, ma, rimuovendo l’aspetto politico, c’erano ancora molte che non lavoravano se non nei settori minori e nelle proprie case.

Quei confronti non cessavano di stupirmi, sarà che questa parte del mondo si stava evolvendo più lentamente di quanto pensassi.

Almeno nel mio paese è stato fatto uno sforzo importante per condividere la cultura con gli altri, una volta integrati nella società tutti gli immigrati che negli ultimi decenni erano venuti da tutti i paesi d’Europa, rifugiati politici, richiedenti asilo o semplicemente parenti, che così si sono incontrati di nuovo.

Molti erano arrivati fuggendo da un sistema politico che non li convinceva, altri cercavano migliori condizioni di vita e opportunità di lavoro e tutti erano stati accolti senza distinzioni di sesso, razza o religione.

In poco tempo avevano assimilato la cultura del paese senza perdere la propria, tanto che per strada era difficile distinguerli, tanto nelle scuole quanto nei posti di lavoro.

Forse ciò che spiccava di più era il colore della loro pelle o alcuni dettagli del viso, ma poiché c’erano già così tanti che erano stati da generazioni e generazioni in questo paese, non era indicativo di nulla.

Ciò che avevano mantenuto come segno di identità erano i loro rituali e cerimonie, al momento di sposarsi o per dire addio ai loro cari quando morivano, ad alcuni dei quali avevo partecipato in più di un’occasione, le prime volte per curiosità e altre per amicizia.

CAPITOLO 2. LA PRIMA SORPRESA

Attraversavamo quelle vecchie strade, molte delle quali acciottolate, alla ricerca di quella che sarebbe dovuta essere una breve visita, ma i luoghi di interesse turistico erano interminabili e innumerevoli, almeno così sembrava al resto dei membri del gruppo, che si emozionava ogni volta che giravamo un angolo scoprendo un edificio importante e antico.

A me così tante visite agli edifici storici risultavano eterne, quindi ero un po’ stanco e affaticato, forse per aver camminato da un posto all’altro per tutta la mattina, o forse per il caldo persistente e per il fuso orario, il che significava che era ancora buio pesto nel mio paese quando era a malapena mezzogiorno qui o poteva anche essere dovuto all’aver fatto le ore piccole, nella nostra esplorazione fallita della vita notturna della città, o una combinazione di quanto appena detto.

Inoltre, tutto questo è rimasto qui immutato per centinaia di anni e penso che continuerà così per molti altri.

Non capisco la necessità che hanno gli altri di visitare ciascuno dei luoghi che sembravano interessanti, documentandoli con fotografie o sui loro quaderni come se fossero loro gli scopritori di antiche rovine.

Mi sedetti accanto a una fontana di pietra, nel mezzo di una piazza, aspettando che i compagni uscissero da una chiesa. Ero distratto, guardavo verso il fondo dello stagno che si formava mentre l’acqua cadeva nella fontana, quando una bambina mi si avvicinò.

Per la sua altezza non credo che avesse più di sei o sette anni, indossava un abito bianco e una sciarpa gialla in testa e con un ampio sorriso mi offrì un fiore con grandi petali bianchi.

Dopo aver raccolto una presenza così preziosa e delicata nelle mie mani e senza conoscere il motivo di quel dono, desiderai pagare ed estrassi alcune monete dal mio portafoglio e gliele mostrai in modo che mettesse le mani per dargliele, ma scosse la testa, dicendomi qualcosa che non capii e sollevando la mano destra all’altezza della testa in un gesto di addio, si voltò e fuggì.

Non sapevo cosa fare di quella piccola meraviglia e la misi nel risvolto della giacca, in altre circostanze non l’avrei fatto, perché sapevo che questo tipo di ornamento fiorito è usato nei matrimoni e in alcuni eventi sociali, sebbene siano usati più spesso dalle donne come accessorio.

Quando alzai lo sguardo, dopo aver sistemato il fiore, vidi che la ragazza si allontanava tra alcuni dei tanti vicoli che conducevano a questa piazza, sinceramente ero un po’ disorientato da questa distribuzione urbanistica piuttosto caotica, abituato alle grandi città in cui dalle strade principali, di dimensioni maggiori, partivano le altre secondarie più piccole, ma qui le dimensioni della strada non erano indicative di nulla, da ognuna di esse nasceva un’altra e successivamente un’altra di dimensioni diverse e da queste altre nuove strade e viali.

Inoltre, le poche indicazioni che enunciavano il nome del luogo in cui ci trovavamo erano scritte in quella lingua straniera, che nonostante condividesse un simile alfabeto era abbastanza enigmatica per me.

Forse se avessi prestato un po’ più di attenzione alle lezioni di lingua antica, in cui i miei insegnanti avevano impiegato così tanti sforzi nel tentativo di inculcarmi l’amore per la cultura classica, ma dal momento che quella materia non contava troppo per il voto finale, non la studiai con molto interesse, e ciò ora mi impediva di approfittare in maniera migliore di questo viaggio, non solo perché la città era piena di iscrizioni su porte e architravi e altri resti archeologici, nella lingua latina antica e già in disuso, ma perché la lingua che i cittadini parlavano qui, l’italiano, ne era una sua derivazione o evoluzione.

Inoltre, la guida che ci era stata assegnata dall’ambasciata, ci aveva fatto da traduttore, parlando con i mercanti e i venditori che si avvicinavano al gruppo per cercare di venderci l’uno o l’altro oggetto o quando volevamo entrare in un edificio privato per contemplare i resti architettonici o storici in quelle ville.

A questo proposito non mi era troppo chiaro il tipo di relazione che l’arte aveva con quella città, sembrava che gli antichi benefattori, i mecenati dell’epoca, pagassero generosamente gli artisti perché lasciassero opere da loro plasmate, e con ciò avevano fatto di quella capitale un centro culturale di riferimento.

È vero che nel mio paese abbiamo alcuni mecenati che donano parte della loro ricchezza a giovani talenti, ma la loro generosità non arriva a livello che i loro benefici vengano riconosciuti decadi dopo decadi come incoraggiamento per le nuove generazioni.

Inoltre, lo stesso governo fornisce, attraverso vari meccanismi, assistenza diretta o di supporto a coloro che si distinguono dagli altri per merito, ma queste sovvenzioni non si concentrano esclusivamente sugli artisti, ma cercano invece di premiare coloro che eseguono meglio un determinato lavoro, affinché possano continuare a formarsi e migliorarsi.

Pertanto, le giovani promesse di scienza, ricerca, arte e persino sport vengono premiate con sussidi in modo che possano dedicarvi la loro vita senza preoccuparsi di trovare un lavoro per pagare i loro studi.

Fortunatamente per me, sono stato tra quei giovani favoriti dalla sorte, premiati dal governo, da cui dipendevano il progresso e il futuro del nostro Paese. Questa borsa di studio statale mi ha permesso di studiare nello stesso centro di altri, senza bisogno di avere un padre con una posizione politica elevata o con una grande fortuna, come alcuni dei miei compagni di viaggio, o senza avere una carriera sportiva straordinaria e promettente come altri.

La mia specialità e il motivo per cui simpatizzavo per le scienze era la matematica, perché fin da piccolo mi piaceva scoprire la relazione che gli elementi avevano in natura, indovinare gli eventi prima che accadessero, prevedere il comportamento degli animali e delle persone.

Di tutto ciò non ne avevo idea, ma quando iniziai a studiare matematica capii che era il linguaggio del futuro poiché con esso avrei potuto fare ipotesi su eventi presenti e futuri, capire le associazioni degli insiemi e il loro comportamento e applicarlo alla vita quotidiana.

Forse era qualcosa di pretenzioso proprio come mi era stato prospettato da qualche insegnante, il cercare di dare un po’ di logica al mondo che ci circonda, senza tener conto del comportamento istintivo. Allo stesso modo, alcuni dei miei colleghi studenti mi criticavano definendomi presuntuoso poiché preferivano affidarsi a qualcosa di intangibile come la buona o la cattiva sorte, ma ero sicuro che dietro ogni fatto e ogni comportamento ci fosse una formula che lo potesse spiegare.

Mi ero quindi specializzato in teorie economiche, attraverso le quali fui in grado di prevedere il comportamento dei governi rispetto al commercio interno ed estero.

La teoria principale che sostenevo è che le città si espandessero o si contraessero a seconda della disponibilità di cibo, non era una questione di buono o cattivo raccolto, ma di facilità o difficoltà dello scambio attraverso il commercio.

Quindi ho riletto la storia attraverso questa ipotesi e ho potuto rivedere come alcuni popoli fossero destinati a scomparire perché non avevano una materia prima da offrire alle città vicine e quindi non potevano commerciare con ciò di cui altri avevano bisogno.

Alcuni dei miei professori, quando dovetti difendere la mia tesi, mi accusarono di forzare la realtà per adattarla al modello matematico, ma ero sicuro che la loro fosse diffidenza.

Se conoscessi tutte le variabili economiche di una determinata città, o almeno le più importanti, potrei prevedere senza troppi errori, quanti anni di sussistenza avrà e se la sua gente si possa trasformare in dominatrice o dominata.

Pertanto, se quelle città che coltivavano e generavano materie prime, non erano circondate da altre persone capaci di trasformarle e produrle, rimanevano senza possibilità di crescita. Era una simbiosi perfetta, vantaggiosa per entrambi, in cui il produttore sopravviveva grazie alla manifattura delle materie prime.