banner banner banner
Le Mura Di Tarnek
Le Mura Di Tarnek
Оценить:
Рейтинг: 0

Полная версия:

Le Mura Di Tarnek

скачать книгу бесплатно

Le Mura Di Tarnek
Goran Segedinac

Sta succedendo qualcosa nella città di Tarnek. I kasi, popolo un tempo immortale, dedito alla religione e al benessere, devono affrontare un terrore primordiale e un’inconcepibile paura della morte. Le leggende si sono risvegliate e, mentre il mondo per come lo conoscevano va lentamente a pezzi, essi devono sconfiggere i dogmi e accettare la verità sulle proprie origini e sul proprio destino.

Sta succedendo qualcosa nella città di Tarnek. I kasi, popolo un tempo immortale, dedito alla religione e al benessere, devono affrontare un terrore primordiale e un’inconcepibile paura della morte. Le leggende si sono risvegliate e, mentre il mondo per come lo conoscevano va lentamente a pezzi, essi devono sconfiggere i dogmi e accettare la verità sulle proprie origini e sul proprio destino.

Hanno venerato per secoli falsi dèi? Quali forze demoniache hanno creato l’illusione in cui hanno vissuto? Esiste un modo per ricostruire la civiltà e salvarsi dalla dannazione? Sono solo alcune delle domande a cui i protagonisti dovranno trovare una risposta per evitare conseguenze incommensurabili.

“Le mura di Tarnek” è stato inserito nell’elenco dei cinque migliori manoscritti del 2016 al concorso letterario per la prima opera letteraria “Vrata Knjige” dell’editore Portalibris.

Strillo di Dragoljub Igrošanac, editore di Art-Anima:

“Le mura di Tarnek” è un romanzo fantasy che ruota intorno alla politica spietata e alle lotte di classe e di religione all’interno delle mura dell’isolata città di Tarnek, i cui abitanti immortali si ritrovano per la prima volta ad affrontare il rischio di un trapasso violento o naturale. Tradimenti, cospirazioni, intrighi, crimine, corruzione, alleanze forzate, terrorismo e altre piaghe sono tratteggiati in modo estremamente convincente e calate nella vita reale di un sistema cittadino chiuso su sé stesso. L’opera prima di un autore noto per i suoi risultati nell'ambito del racconto fantastico ci racconta la storia dinamica e immaginifica di eroi che affrontano immensi ostacoli, sfide e circostanze impreviste, le cui decisioni e mutamenti richiamano molti personaggi dell’odierna vita pubblica e politica. Quest’opera immerge la fiction nel mondo contemporaneo, ma anche nel suo criticismo freddo e spietato.

Goran Segedinac

Le Mura di Tarnek

Traduttore: Jacopo Vigna-Taglianti

Tektime, 2017.

PROLOGO

CAPITOLO PRIMO (#ulink_ff8ce5cf-1f87-5321-a4a9-e855017321c2)

CAPITOLO SECONDO (#ulink_ec1f62cb-c91a-5939-9598-39e2a681eed1)

CAPITOLO TERZO (#ulink_ad3c86ff-728e-5831-b81e-e2b1281b319c)

CAPITOLO QUARTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SESTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SETTIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO OTTAVO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NONO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DECIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITREESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUESIMO (#litres_trial_promo)

EPILOGO (#litres_trial_promo)

GLOSSARIO (#litres_trial_promo)

PROLOGO

Tre giustizieri si facevano largo tra la folla, mantenendo con difficoltà la formazione a triangolo regolare ogni volta che un’ondata di persone si abbatteva su di loro. L’intenso sguardo sotto i cappucci dell’uniforme grigio-nera lasciava chiaramente intendere che non si trovavano lì per far compere. Impossibilitati a opporsi all’inerzia, i kasi si scusavano in fretta, abbassando lo sguardo, non appena qualcuno li sfiorava col corpo o si metteva di traverso sul loro cammino. Il primo dei tre, un pelo più corpulento degli altri, con l’estremità di un apparecchio tubolare che premeva loro con forza sul petto, ricordava a quei pochi individui sprovveduti di fare spazio per il passaggio. La loro scorta, senza perdere il passo, si girava all’indietro ogni tot metri e poi, soddisfatta della distanza alla quale lo spazio vuoto che avevano lasciato dietro di sé tornava a essere mercato, procedeva oltre.

Attraversarono in diagonale l’intera lunghezza della piazza e procedettero oltre, vicino ai pochi fortunati che offrivano la propria merce su banchi improvvisati. Quel che offrivano non era meno sporco di quanto era esposto a terra, ma perlomeno non correva il rischio di essere calpestato. Quando erano quasi arrivati in fondo alla via, si fermarono un istante e poi, come se si fossero accordati in silenzio, s’infilarono in fretta nello stretto spazio tra due banchi, finché il mare ribollente di vita si richiuse dietro di loro. Voci oranti si congiungevano sopra le loro teste, gli sguardi pescavano i bordi delle falde che sparivano, scivolavano e cadevano e, proprio quando sembrava che il senso di ristrettezza sarebbe diventato insopportabile, sbucarono nello spazio aperto di una delle strette strade secondarie. Per qualche minuto camminarono in silenzio tra mucchi di stracci e spazzatura e, quando il chiasso che si erano lasciati alle spalle divenne appena un quieto bisbiglio, il capofila si fermò e imprecò ad alta voce, abbassandosi il cappuccio.

“Se la prendesse il fuoco, questa lurida gentaglia!”.

Gli rispose la voce, di gran lunga più misurata, di un suo compagno.

“I kasi devono fare qualcosa”. Minstrel era noto per la sua pacatezza. In vent’anni che aveva servito l’Ordine, non c’era stata una situazione che gli avesse fatto perdere le staffe. I suoi occhi grigio-argentei fissavano allegri il suo interlocutore.

“Sembrano ratti, guarda che roba”.

Tutt’intorno a loro vi erano strati di spazzatura in cui, se si faceva attenzione, si potevano distinguere i rimasugli di cose che si erano guastate o avevano smesso di funzionare prima di essere offerte ai potenziali acquirenti. I mercanti le avevano depositate nelle stradine circostanti e avevano lasciato che si accumulassero, e quelle poche che ancora valevano le avrebbero comprate i mendicanti, gettandole poi dopo che avessero smesso di funzionare del tutto. Se si teneva presente che Piazza dell’Eroina era solo una delle dieci piazze cittadine, non c’era da stupirsi che Tarnek sembrasse un enorme immondezzaio.

“Le tue stanze non sono poi tanto meglio”, ribatté Minstrel. “Che dici, Gort, il nostro Tesos non è un kas fortunato? Ovunque si trovi, si sente sempre a casa”.

“Ora basta con le stupidaggini”. Anche se per corporatura non primeggiava sugli altri due, nella voce di Gort si poteva sentire un tono autoritario. “Quanta strada abbiamo fatto?”.

Tesos sbuffò e guardò il tubo con cui fino a poco prima si era aiutato con successo nel farsi strada, come se si aspettasse che gli avrebbe risposto.

“Abbastanza”, rispose Minstrel al posto suo. “Abbiamo attraversato tutta la Bocca Rossa, e sulla Via Polverosa ci siamo esibiti in modo abbastanza convincente”.

“Io le ho date per bene a un tizio”, intervenne Tesos. “Si ricorderà di me per tutto il giorno”.

“Be’”, continuò, “per quanto mi riguarda, nessuno può darci degli scansafatiche”.

“Un passo alla volta. Con tutti i problemi che abbiamo, non dobbiamo correre ulteriori rischi. Preferisco agire con cautela piuttosto che fare le cose di fretta come uno stupido”, rispose Gort.

“E quanti ne hai sistemati tu? O non ci hai fatto attenzione?”, lo punzecchiò Minstrel.

“Ho visto quel che ci basta da inserire nel resoconto. Dimmi, come risulterebbe il nostro rapporto di servizio serale se nessuno di noi fosse in grado di descrivere qual è la situazione nella nostra zona? O forse pensi che sarebbe furbo inventarcelo come Suvi e il suo plotone?”.

Minstrel non ribatté. Gort aveva ragione. Il trimestre scorso Suvi aveva ricevuto una nota disciplinare. Lui e un altro kas, di cui non sapeva il nome, erano finiti in brutto giro di gioco d’azzardo. In breve tempo erano tanto presi dalla passione appena scoperta che quasi non uscivano all’aperto. Trascorrevano le loro giornate nei seminterrati, circondati dalla feccia. Il controllo li aveva tenuti attentamente sott’occhio e alla fine aveva reagito. Probabilmente si sarebbero presto uniti alla gentaglia su qualche piazza.

Soddisfatto dell’effetto ottenuto, Gort continuò. “Bene, sbrighiamoci a chiudere questa faccenda. Minstrel ed io staremo di guardia. Ora andiamo laggiù, e se qualcosa va storto facciamo irruzione. Tu, come d’accordo, tieniti pronto per entrambi i piani”.

Tesos annuì.

“Non trattenerti troppo a lungo. Da’ loro quel che hai e prendi la merce contraffatta e il balsamo. Se sono in troppi, vieni subito fuori. Possiamo sempre giustificarlo come un controllo di routine. Non potranno dimostrare niente”.

“E se qualcuno di quella gentaglia fa qualcosa di pericoloso, datti una mossa e corri fuori. Non credo siano tanto stupidi, ma non puoi mai essere sicuro”, aggiunse Minstrel.

“Non ci proveranno neanche”, disse Tesos. “Il Verde è troppo sporco per prendersi gioco di noi. E finora è sempre stato un vero professionista”.

“Così dev’essere. In ogni caso, sta’ all’erta”.

“Questo è chiaro”, lo rassicurò Tesos. “Andiamo ora”.

Chi conosceva bene Tarnek si poteva muovere con facilità attraverso la rete di fitte strade e giungere senza grandi difficoltà alla destinazione desiderata. I meno pratici sarebbero impazziti per ore. Per gli esperti membri dell’Ordine valeva la prima regola. Più si addentravano nelle viscere della città, meno vi erano potenziali testimoni, e presto rimasero completamente soli. Non appena si trovarono in quelle circostanze, Tesos non poté più rilassarsi. L’impresa odierna non era qualcosa di cui si sarebbero vantati nell’Ordine, ma avevano deciso di realizzarla a tutti i costi. Anche Minstrel si era fatto serio, la sua tensione si leggeva chiaramente sul quel piccolo volto che il cappuccio non riusciva a nascondere. Il fatto che camminiamo per uno spazio deserto aumenta soltanto le probabilità di essere avvistati con più facilità, pensò. Le case e gli edifici circostanti erano pieni di finestre e fessure, e ognuna di esse poteva indicare la presenza di occhi indiscreti.

Il suono uniforme dei loro passi fu infine interrotto da Tesos. “Qui”, disse, e fece un cenno con la mano verso una casa a un piano tutta fatiscente che si ergeva in un angolo. Non si distingueva affatto dall’ambiente circostante se non per il fatto che, a differenza degli edifici vicini, non aveva una porta. Un tappeto spesso, quasi marcito sui bordi per l’umidità e la sporcizia, svolgeva tale funzione. Il luogo dell’incontro non aveva nulla di diverso rispetto ai numerosi nascondigli per i senzatetto che in città si contavano a centinaia. Era un posto scelto con assennatezza.

“Bene. Tutto procede secondo gli accordi, dunque. Ti aspettiamo”, tagliò corto Gort.

Senza esitare nemmeno un istante, Tesos abbassò la testa ed entrò.

Un corridoio insolitamente stretto, simile piuttosto a un tunnel, conduceva allo spazio quasi vuoto che componeva l’interno. Al centro della stanza si trovava un tavolo di legno, e quello era l’intero inventario. Di lì sorrideva un volto conosciuto.

“Sei arrivato”. Il Verde gli indicò con la mano una sedia vuota che lo stava aspettando.

“Verde”, disse Tesos in segno di saluto.

“Così mi chiamano”, rispose quello, e passò la mano tra i lunghi capelli dello stesso colore del suo soprannome. Aveva molti nomi, e nemmeno l’Ordine possedeva dati affidabili. La cosa non rappresentava un problema. Se hai bisogno del Verde, sarà lui a trovarti. Delinquente esperto, piccolo o pericoloso criminale, era quasi impossibile attribuirgli persino quei misfatti la cui paternità era senz’ombra di dubbio sua.

Tesos si sedette. La luce dell’unica candela accesa non sarà stata proprio una torcia, ma bastava, in combinazione con il suo udito sopraffino e l’esperienza pluriennale, perché lui avvertisse la presenza di qualcun altro.

“Come vanno le cose nell’Ordine ultimamente? Ci difendete sempre dal male?”. Negli ultimi tempi l’ironia era divenuta il tratto caratteristico di ogni criminale, e la cosa lo innervosiva. La crisi aveva indebolito la fiducia nella legge, e permesso alle comuni nullità di sentirsi superiori al sistema.

“Noi sterminiamo i criminali, se ti serve protezione dal male, rivolgiti alla Chiesa”.

Il Verde sorrise. “Mi piaci quando sei così tagliente. Pensavo che un criminale fosse necessariamente malvagio, ma ecco, con voi s’impara ogni giorno qualcosa di nuovo”.

“Non sono venuto qua per filosofeggiare”.

“Oh…”, la sua finta sorpresa era quasi credibile. “Accetta le mie scuse. Dimmi dunque, perché sei dove sei?”.

In tutta risposta, Tesos appoggiò il pesante tubo sul tavolo. Senza attendere la reazione dell’interlocutore, ne toccò la punta arrotondata, quindi la premette e fece un movimento semicircolare con la mano intorno alla nuda sommità. Il flebile rumore di un meccanismo squarciò l’oscurità. Palpò con le dita la giuntura, l’estremità opposta all’impugnatura saltò, si aprì, e rovesciò sul tavolo il suo contenuto, finora invisibile. Uno strano congegno simile a una grande mano di ferro giaceva contratto davanti a loro, legato al suo precedente nascondiglio da un cappio forte e sottile che Tesos strappò con un solo tiro, per poi gettare il contenitore a terra.

“Un pesce piccolo del sistema giudiziario ha deciso di vendere il suo prezioso trinciante”, commentò il Verde con un sorriso beffardo. “A essere sincero, mi aspettavo merce contraffatta”.

“Verme. Sapevi benissimo cosa stavo portando”.

“Sono solo realista, non mi sembra un delitto. O almeno non lo era l’ultima volta che ho ascoltato la legge. Inoltre, se ricordo bene, penso che il commercio di qualsiasi arma, figuriamoci dei celebri trincianti, sia severamente vietato. Almeno, un tempo lo era. Forse le cose sono cambiate”.

“Non provare a darmi lezioni”.

“Non ci penso neanche”, rispose il verde. “Dimmi, allora. Cosa ti porta a offrirmi questo?”.

“Non ho intenzione di discutere con te delle mie ragioni”.

“Quanta arroganza! Che cosa triste”. Sembrava che questa volta il Verde avesse riflettuto seriamente prima di parlare. “Faccio questo lavoro da oltre trent’anni. Spesso il prezzo che chiediamo dice più della stessa roba che offriamo. Ci parla delle nostre condizioni, del ceto, delle necessità e circostanze in cui ci troviamo. Se t’interessa, posso illustrarti le tipologie di mercante che preferisco”.

“Probabilmente chiunque riesci a spellare. Quelli della cui sfortuna puoi approfittare per bene”, tagliò corto Tesos.

Il Verde agitò la mano in aria.

“Non lo nego. Ma questo è lavoro, e tu non capisci proprio. Quel che io capisco perfettamente in tutta questa storia è che per l’arma più costosa del sottosuolo di Tarnek non mi hai chiesto né gioielli né vestiti”.

“Ti ho chiesto del balsamo”.

“Esatto. Se le colonne della società, gli onorevoli membri dell’Ordine, custodi dell’ordine pubblico e della legge, tradiscono i propri principi per ottenere del balsamo, allora posso concludere che ce la passiamo davvero brutta”. La sua voce assunse di nuovo un tono particolare. “Non mi fai fesso, quand’è stata l’ultima volta che te lo sei spalmato?”.

La domanda era straordinariamente maleducata, e Tesos si trattenne a fatica dal prenderlo per il collo. Come se quanto stava facendo non fosse già di per sé un’umiliazione sufficiente, gli toccava pure sopportare le offese della peggior feccia. Un tempo a elementi del genere avrebbe legato mani e piedi e li avrebbe gettati nelle Tenebre. Il Verde, un maestro del suo mestiere, si accorse del cambiamento sul volto dell’interlocutore. Non era una cosa difficile quando si aveva a che fare con Tesos. Nelle zone in cui prestava servizio si era sparsa molto in fretta la voce dei suoi scatti d’umore.

“Non prendertela, si scherza. Non vorrai mica mandare in rovina una trattativa così importante?”.

Ci vollero alcuni momenti perché si calmasse e gli rispondesse.

“Il tuo kas ha detto che mi avresti pagato bene per questo pezzo”.

“La cosa è relativa, dipende dai punti di vista. Quello che per te è un buon prezzo, per me può essere una minuzia insignificante. E viceversa”.

“Una riserva annuale di balsamo. Di prima scelta, uso quotidiano”.

Il Verde allargò i suoi denti neri in un tentativo di sorriso.

“Piano. Non ti stai un po’ sopravvalutando?”.

“Sai bene quel che ti offro. Non fare il finto tonto. Il sogno di ogni rinnegato di Tarnek è mettere le mani su una bellezza del genere. Un movimento del dito e apre il petto di un avversario. Fa un foro abbastanza grande da passarci attraverso”.