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S’affrettò fuori, bramando un cambio di scenario, e chiuse la porta sul commento “non bere” di Thalia. Si sentì in colpa, quindi riaprì l’uscio, mise dentro la testa e disse, “Ok tesoro, non berrò. Promesso”.
Nikos lo stava aspettando nella sua decappottabile, accomodato al posto di guida come se si trovasse su un divano. Stava sorridendo a delle ragazze che stavano attraversando la strada, le quali gli sorridevano di rimando.
“Hai fatto quello che fai con le ragazze, scrivere il messaggio e suonare il clacson qualche secondo più tardi mentre stavo rispondendo. Non farlo più con me” disse Yanni con amarezza, senza salire in auto.
“Ehi, l’hai inventato tu. Io l’ho solamente perfezionato!” ribatté Nikos, ed entrambi scoppiarono a ridere.
“Già, sembra che ultimamente funzioni solamente così” disse Yanni con un’espressione triste e preoccupata in volto.
Capitolo i^3
“Quel che è fatto è fatto”, rispose la donna per la decima volta, piegando le tende del suo ufficio/laboratorio. Aveva rimosso tutto ciò che era stato intoccato dalle fiamme in modo che gli oggetti non assorbissero l’odore. Poi il suo viso aveva mostrato sincera preoccupazione ed aveva chiesto a voce bassa, “Demokritos sostituirà il laser?”
Yanni si sedette ed esalò diverse volte, come se la risposta fosse da ricercare nelle molecole attorno a lui. “Nai. Sì, devono. Ma ci vorrà un secolo perché preparino tutti i documenti e vengano approvati. Non verrà realizzato in tempo per la revisione dei finanziamenti”.
Thalia sistemò gli angoli delle tende al meglio che poté. Si trattava di qualcosa che era in grado di controllare, e si calmò prima di completare il lavoro in modo impeccabile. “So che il laser è caro, non possiamo ottenere quei soldi da qualche altra parte nel frattempo? Da Nikos, per esempio?”
Yanni cercò la cattiveria nel suo tono ma non la trovò. Il suo suggerimento era freddo e logico, non vendicativo. E aveva ragione. “Possiamo. Sì. Ma il problema non è il costo, è la disponibilità. Le parti sono sia care che non disponibili per i privati. Avere i soldi non è abbastanza, devi anche trovarti in un centro di ricerca per ottenere qualcosa del genere. Oppure nel dipartimento di ricerca e sviluppo di una grande azienda, qualcosa del genere”.
“Non puoi spiegare le circostanze ai membri della commissione di revisione?”
Yanni ripensò alla telefonata di prima, un socio lo aveva avvisato in merito al nuovo amministratore, il quale era determinato a tagliargli i fondi. Decise di non dirlo a sua moglie, per lasciarle un po’ di speranza. Era calma, ma forse se solo avesse appreso quell’informazione in particolare, ne sarebbe rimasta scossa. “Sì, certo. Non sono inavvicinabili, li chiamerò domattina per prima cosa”.
Forzò un sorriso, le diede un bacio e poi salì nel suo ufficio/laboratorio. Si accomodò alla sua sedia come faceva sempre, ed ispezionò i danni. Non era molto grave, ma sarebbe potuto andare anche peggio. Il laser mostrava una grande bruciatura sulla parte superiore della sua confezione, ovviamente causa il surriscaldamento. I fili erano bruciati e puzzavano, la plastica emetteva sempre quell’odore. L’angolo della scrivania era bruciacchiato, e nello stesso stato versavano la sua sedia ed il tappeto. Il Signor Andreas aveva veramente cercato di evitare di attaccare il laser con lo spray, era riuscito a sottrarre l’ossigeno dalla fiamma applicando poca schiuma. Un uomo pratico, il suo metodo di pensiero avrebbe potuto far risparmiare decine di migliaia di euro in riparazioni. Il tappeto era però distrutto. Non era un problema. Yanni ponderò anche sul fatto di contrastare sua moglie e lasciare la stanza in quelle precise condizioni.
Le cicatrici di un fallimento.
Pensò di riaccendere il laser. Forse era stato il suo incidente fortunato. Forse sarebbe stato il momento in cui avrebbe esclamato Eureka, la parte della vita in cui in incidente in laboratorio porta ad una scoperta in grado di cambiare il mondo. Era un pensiero stupido da parte sua, ma la tentazione fu troppa.
Si convinse quando pensò che il laser era già danneggiato, quindi non avrebbe peggiorato più di tanto la situazione. Si armò preventivamente di una vecchia coperta, dicendo a Thalia che stava tenendo la finestra aperta e che c’era fresco. Fuori era già buio, quindi non era poi così tanto una bugia.
Resse la coperta in mano in caso di un altro incendio, ed accese il laser sperando nel momento rivoluzionario che aveva sempre sognato, quello in cui avrebbe esclamato Eureka.
Capitolo i^4
Quando arrivò il laser era come se fosse stato Natale. I suoi occhi brillarono mentre rimuoveva con cura la custodia protettiva.
“L’effetto è visibile ad occhio nudo?” domandò Urania.
Yanni soffiò via alcune palline di polistirolo. “No, uso gli occhiali polarizzati per vedere l’effetto moiré. La matematica predice che quando le equazioni si allineano, quella particolare lunghezza d’onda produrrà un effetto moiré se visto attraverso gli occhiali”.
E poi aggiunse con un accenno di orgoglio, “l’ho scoperto io”.
“È geniale, Yanni!” disse la donna. “In tal modo non è necessario un chip di un computer quantico per testare la teoria”.
“Corretto. È parte del motivo per il quale sono riuscito ad assicurarmi i fondi tutto questo tempo, perché la fase di test era relativamente a buon mercato”.
Poi prese in mano il laser come un bambino afferrerebbe un brillante treno giocattolo, e corse al piano superiore per azionarlo.
Capitolo 2i
Yanni si spostava avanti e indietro nella stanza vuota, era furioso.
Che cosa stava facendo la Hermes con quei ragazzi? Li stavano usando per qualche tipo di esperimento d’interazione umana? Era una cosa sicura? Se non lo fosse stato, qualcuno l’avrebbe mai saputo? Che morali insegnavano a quei ragazzi? Se uno di loro faceva del male ad un altro, che cosa avrebbero fatto al riguardo le loro madri adottive?
Tutta la ragione lo abbandonò, e ciò che desiderava fare era urlare nella direzione della telecamera per averli messi in questa situazione, per aver messo Alex in questa situazione, ed avrebbe voluto riportare a casa il ragazzino, dove sarebbe stato al sicuro, dove sarebbe cresciuto in una vera casa, con una vera mamma.
La parte razionale del suo cervello prese il sopravvento, e gli fece pensare che l’avessero studiata a tavolino. Il giocattolo era esattamente lo stesso di suo figlio, il ragazzino poteva sembrare il fratello di Georgie se avesse dovuto. Avevano organizzato il tutto per tale responso, si trattava di un test. Anche se avesse potuto adottare il bambino e dargli una famiglia amorevole, che cos’avrebbe potuto fare per tutti gli altri? E chi poteva stabilire che non stessero meglio in così? Molto probabilmente nel loro futuro c’erano le migliori università, sarebbero forse diventati la vera e propria progenie aziendale, fedeli fino all’osso. Lui chi era per decidere di privarlo di questo?
Non poteva salvarli. Specialmente non adesso. Forse in futuro, quando avrebbe concluso le sue prove. Quando avrebbe avuto la stessa influenza sulla sua Compagnia nello stesso modo in cui faceva Niko. Forse avrebbe potuto fare qualcosa al riguardo. Avrebbe potuto minacciare di dirlo ai media. Qualsiasi cosa.
Ma doveva vincere questa battaglia. Per sé stesso, per la sua famiglia, per la scienza, per tutti quanti. Questa battaglia sadica, originata come per tormentarlo.
Si calmò e si sedette. Sperava di non aver spaventato il bambino, ma se Alex era impaurito non lo dimostrava.
“Alex” disse nel tono più dolce che riuscì a replicare. “Sono qui per insegnarti qualcosa. Ti andrebbe?”
Alex sorrise ed acconsentì con il capo.
“Okay. Ecco. Sai che cosa sono i computer, vero? Sicuramente ti hanno dato dei tablet e dispositivi simili per giocare, giusto?” domandò con il medesimo entuasiasmo di quando aveva chiesto a sua moglie di sposarlo.
Alex annuì nuovamente.
“Fantastico. Quei computer hanno dentro un cervello meccanico. Lo chiamiamo processore. Mi segui?”
“Sì. Pro-gesso”.
“Chiamiamolo così, non ha importanza. Il pro-gesso deve essere veloce affinché i giochi funzionino velocemente. Odiamo quando i giochi sono lenti, vero? Ottimo. Quindi realizziamo pro-gessi sempre più veloci, ma le cose che ci mettiamo dentro non possono andare troppo velocemente. Sono pigre e dicono, ‘Oh! Non spingere troppo forte’ e rimangono lì senza fare il proprio lavoro”.
Alex ridacchiò ed annuì.
“Ottimo. Quindi dobbiamo metterci dentro cose più veloci, cose che non sono pigre. E sai qual è la cosa più veloce al mondo?”
Alex scosse il capo, e con gli occhi ordinò di sapere la risposta.
“La luce. La luce del sole è la cosa più veloce del mondo intero. Non è per niente pigra. Ma la luce del sole è così veloce da aver bisogno di qualcosa di intelligente dove conservarla” disse Yanni, ed unì le mani a coppa. Poi scosse i palmi, che erano chiusi uno contro l’altro, come se al loro interno si trovasse una vespa. Il gesto sembrò intrattenere molto Alex.
“Quando dico alla Signora Luce di svolgere un lavoro, devo controllare se l’ha fatto o no, giusto?”
“Giusto”.
“Quindi sbircia qui dentro” disse avvicinando il volto alle proprie mani, ed Alex fece lo stesso, “ma la Signora Luce trova il buco e scappa via!” Aprì le mani liberando l’immaginaria Signora Luce.
“Heehee! Come. Come la farina”.
“Proprio come la farina”.
“Poi mammina si arrabbia se facciamo un disastro!”
“Sì! Quindi dobbiamo trovare un modo per far sì che la luce ruoti in cerchio. Cosicché quando sbirciamo, la maggior parte della luce resterà all’interno. Un uomo di nome Maxwell, che aveva una folta barba, pensò di ingannare la luce facendola annodare. Proprio come i lacci delle mie scarpe, vedi? Ho fatto un nodo, e non andranno da nessuna parte”.
“Non sono ancora capace di allacciarmi le scarpe, per questo ho le scarpe con gli strappi”.
“Lo so, nemmeno io ero capace di allacciarmi le scarpe quando ero piccolo. Ma adesso sono capace, ho imparato. E sto anche cercando di imparare ad annodare la luce del sole, in modo che possa restare dov’è e non sfuggire. Devo solo capire il sistema”.
“E poi potrai buttare via le scarpe con gli strappi e mettere quelle da ginnastica con i lacci, che sono più veloci, e anche tu puoi essere più veloce”.
“E?”
“E potrai essere abbastanza veloce da ingannare la Signora Luce e modificarla in piccoli…in piccoli nodi, come i lacci delle scarpe, e potrai sbirciare abbastanza velocemente da richiudere le mani” disse Alex sbirciando fra le sue manine.
Quindi un momento Eureka era così.
“E poi?”
“E poi il pro-gesso non sarà pigro e farà il suo lavoro velocemente e non dovrò aspettare il gioco lento!”
Qualcuno batté le mani. Un battito lento e pieno. Yanni si voltò e vide la donna di prima vestita elegantemente. “Eccellente, Dottor Tsafantakis. Venga con me. Non si preoccupi, verranno a prendere il bambino molto presto”.
Yanni salutò Alex con la mano. Il bambino alzò lo sguardo e domandò, “ti è permesso portare Georgie per farlo giocare con me?”
“Sarà la prima cosa che chiederò alla signora. Ciao Alex” disse.
“Ciao, signore” disse Alex prima di riprendere a giocare con il suo camion giocattolo.
Yanni seguì la donna ben vestita nella stanza accanto. A quel punto era pronto a tutto.
Capitolo 2i^2
Il sole stava scendendo, ma c’era ancora chiaro. Yanni si godeva il vento sul viso ed il suono della musica datata in radio. Nikos stava percorrendo la strada panoramica, salendo sulla montagna Parnete. Si stava facendo più fresco nel salire di quota, ma era invigorente.
Il casinò era stata un’idea di Niko, tutti i loro vecchi luoghi di ritrovo erano chiusi, mentre quelli nuovi erano a misura di bambino, quindi Yanni non aveva nemmeno provato a suggerirli a Nikos. L’uomo aveva portato la decappottabile all’ingresso, il valletto l’aveva chiamato per nome ed aveva parcheggiato l’auto accanto alle altre sportive.
Nikos gli aveva mostrato a braccia aperte il casinò come se lo stesse vendendo. “Esiste qualcosa di più mascolino? Guarda che vista” disse, e poi si accomodò su un divano di lussuosa pelle.
Yanni osservò la città sotto di loro mentre Nikos ordinò del whiskey. I sobborghi nella parte settentrionale erano più o meno gli stessi di sempre, un luogo di relativa sicurezza e grandi case costose con giardini ed appartamenti da tre camere da letto per le famiglie. Atene si estendeva anche verso sud, ma sfumava all’orizzonte, il quale sembrava approcciarsi causa l’aria umida e lo smog grigio. Sbirciò in direzione del livello più basso dell’atmosfera, dove i grattacieli del centro città, bestie alte di vetro e acciaio che venivano erette a velocità impossibile, sembrano formarsi come cristalli sbucando dall’aria sottile. Pensò ai suoi cristalli della luce, immaginando come sembrassero nella realtà. Sarebbero stati altrettanto belli, disposti in grane alla base di un chip di un computer? Quei grattacieli erano tanto effimeri quanto i suoi cristalli della luce, o erano lì per restarci?
“Qual è tuo?” domandò Yanni. Nikos accese un sigaro e indicò i grattacieli, “Il secondo dalla sinistra. Ho finito con quello, non c’è più niente che debba fare. Ora è compito dell’impresa costruirlo, e lavorano così velocemente. Non riesco a credere che siano trascorsi solo sei mesi e che siano già a metà dei lavori. È così tanto tempo che ne ho in mente il progetto, ed ora sbuca dalla terra e cambia il paesaggio”.
Yanni conosceva tale sensazione. Quella per la quale qualcosa esiste solamente nella propria mente; il suo progetto non era ancora stato realizzato poiché era ancora in fase di perfezionamento. Per questo a Nikos piaceva così tanto venire quassù. Doveva essere eccitante essere in grado di osservare il progresso di un tuo lavoro da così lontano seduto comodamente su un divano di pelle fumando un sigaro. Portava sicuramente il termine in prima fila ad un altro livello.
“Ci stanno impiegando molti soldi, vero?” domandò Yanni, e si piegò in avanti per accendersi un sigaro.
Nikos risposte, “Molti? Più tipo una barca di soldi. Fumiamone un po’”.
“Thalia mi ucciderà quando sentirà l’odore del sigaro” disse Yanni esalando lentamente il fumo, godendosi l’aroma.
“Da’ la colpa a me, dì che ho fumato e che ho fatto cadere della cenere su di te per sbaglio, o qualcosa del genere” disse Nikos. “Devi prenderti una pausa e godertela! Come va la tua dimostrazione?” domandò poi, riferendosi alle prove sulle quali Yanni stava lavorando da diversi anni.
Yanni sospirò e guardò nuovamente fuori dalla finestra. “Non so, amico. Potrei esserci vicino e non saperlo, o potrei esserci infinitamente lontano. Deve scattare, sai? Se ho ragione e faccio funzionare l’equazione, allora sarà precisa come le lancette di un orologio svizzero”.
Nikos lo stava guardando dimostrando empatia. “Capisco, Yanni. No, non la matematica teorica, quella no, ma comprendo il concetto. Devi fare in modo che le forze coinvolte stiano al gioco, o tutto andrà in frantumi”.
Yanni scoppiò a ridere e disse, “con molti meno detriti che nel tuo caso, ma sì, in pratica è così”.
Nikos si fece in avanti e lo obbligò a guardarlo negli occhi. “Non capisci, vero? Io realizzo cose che esistono già, non sono niente di nuovo. Si tratta di una replicazione di concetti che conosciamo già, solo inserite in un nuovo contesto. Tu stai cercando di realizzare qualcosa di nuovo. La tua dimostrazione si trova nella tua mente, e nessun altro può tirarla fuori da lì. Qualcun altro è in grado di disegnare il mio grattacielo. Nessuno può risolvere la tua dimostrazione”.
“Lo so, ma ultimamente mi sembra di cercare la fine dell’arcobaleno” disse Yanni. “Demokritos ha programmato una revisione dei miei fondi fra un mese. Potrebbero interromperli. Ne ho parlato con Thalia, forse farò domanda per insegnare all’università o…”
Nikos posò il sigaro e sbottò, “Insegnare? INSEGNARE? Si fotta. Si fotta la Demokritos, che cosa ne sanno loro? Tu non ti metterai ad insegnare! Vincerai un fottuto premio Nobel per questa dimostrazione”.
Il modo in cui il suo amico credeva in lui fece venire le lacrime agli occhi a Yanni, ma le trattenne. “Significa veramente molto per me che tu lo dica. Ma potrebbe essere ora di limitare le mie perdite e fare qualcosa di stabile. Ho una famiglia adesso e mi devo prendere cura di loro”.
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