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Orgoglio E Caduta
Rebekah Lewis
Zeus non chiede molto. ad Hermes, solo di consegnare i suoi messaggi, eseguire le sue commissioni, obbedire a ogni suo comando e, oh sì, non interferire con i Satiri mentre cercano di salvare un amico intimo e recuperare uno strumento mistico chiamato syrinx da Dioniso. Quindi Hermes non è sorpreso quando Artemide gli chiede un favore e implica qualcosa che Zeus gli ha espressamente proibito di fare. Zeus non chiede molto. ad Hermes, solo di consegnare i suoi messaggi, eseguire le sue commissioni, obbedire a ogni suo comando e, oh sì, non interferire con i Satiri mentre cercano di salvare un amico intimo e recuperare uno strumento mistico chiamato syrinx da Dioniso. Quindi Hermes non è sorpreso quando Artemide gli chiede un favore e implica qualcosa che Zeus gli ha espressamente proibito di fare. Ora che Hybris ha finalmente guadagnato la fiducia di Pan, c'è solo un ostacolo per ricominciare da capo con la sua famiglia: Hermes non può perdonarla per esserne uscita tanto tempo fa. Elaborando un piano per riconquistare la sua fiducia, Hybris parte per una pericolosa missione che potrebbe andare storta in qualsiasi momento. Un rischio che è più che disposta a correre se Hermes la smettesse di evitarla. Quando i loro percorsi si incrociano inaspettatamente, possono ignorare i loro sentimenti l'uno per l'altro abbastanza a lungo per svolgere i loro compiti? O il pericolo che li circonda creerà un effetto domino dannoso che si ripercuoterebbe non solo l'uno sull'altro, ma anche sul Satiro? PUBLISHER: TEKTIME
Rebekah Lewis
Orgoglio e Caduta: Le avventure di Hermes. Parte Due
ORGOGLIO E CADUTA
Le avventure di Mercurio Parte Due
REBEKAH LEWIS
Orgoglio e Caduta
Le avventure di Mercurio
Parte Due
Rebekah Lewis
Questa è un’opera di finzione. Nomi, personaggi, attività commerciali, luoghi, eventi e incidenti sono o prodotti dell’immaginazione dell’autore o utilizzati in modo fittizio. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o morte o eventi reali è puramente casuale.
Copyright © 2017 di Rebekah Lewis
Edito da Leona Bushman
Cover Design di Victoria Miller
Tradotto da Monja Areniello
Tutti i diritti riservati. Questo libro o parte di esso non può essere riprodotto o utilizzato in alcun modo senza l’espressa autorizzazione scritta dell’editore, ad eccezione dell’uso di brevi citazioni in una recensione del libro.
Stampato negli Stati Uniti d’America
www.Rebekah-Lewis.com
Creato con Vellum (http://tryvellum.com/created)
DEDICA
A Zeus, per non averlo mai tenuto nei suoi pantaloni. Grazie per aver generato metà del pantheon e avermi permesso di scrivere le loro storie.
P.S. Per favore, non mi fulminare. Hermes me l’ha fatto dire perché ho perso una scommessa.
CAPITOLO 1
Gli elaborati cancelli dorati del tempio di marmo di Zeus – per niente modesto – erano spalancati. Almeno oggi lui si era dimenticato delle assurde macchine della nebbia nella quale lui si nascondeva pensando che nessuno lo sapesse. Imbarazzante. Echi di voci urlate risuonavano all’interno in un ronzio agitato e purtroppo Hermes sarebbe dovuto entrare e sottoporsi allo sciame di api, preparandosi a fuggire dall’alveare in preda al panico.
Quelle ipotetiche api, ovviamente, erano gli Dei dell’Olimpo che erano diventati pigri da quando gli umani avevano smesso di adorarli come Dei. Ora che qualcosa era andato storto, in modo apocalittico, stavano senza dubbio inciampando su se stessi e cercando di ricordare cosa fare in una tale circostanza. Dopo aver ricevuto la notizia, Hermes era giunto all’Olimpo il più velocemente possibile, il che per lui significava solo pochi secondi. Non avrebbe voluto andarci. Sarebbe stata sempre la stessa storia. Hermes si sarebbe offerto volontario per usare i suoi poteri e sarebbe stato zittito perché blah, blah, blah. A chi importava? Perché avere poteri che potevano aiutare a risolvere problemi se lui non poteva usarli?
No, Hermes, non salvare quella ninfa. Non assistiamo i Satiri, anche se il loro nemico è deciso a conquistare l’Olimpo – come pensiamo. È cool, ma non funzionerà mai. Zeus è intelligente; Zeus non verrebbe mai superato in astuzia. Oh merda, il Sole se n’è andato! No, non usare i tuoi poteri per trovare qualcuno che possa sistemare il problema. Ce l’abbiamo. Pensiamo…
Apparentemente, il Titano Helios, punito per il semplice fatto di esistere e per avere una linea di sangue più forte, era sfuggito alla sua schiavitù perpetua, dopo che il carro del Sole era andato fuori orbita, portando la Terra lontano dalla rotazione corretta e causando la formazione di un vuoto tra il pianeta e il Sole. Un vuoto che poteva davvero trasformarsi in un buco nero, o quello che Hermes amava chiamare “I Titani inviano i loro saluti”, che era sicuramente dovuto alla troppa televisione premium nei suoi tempi d’inattività. Da qualche mese si era fissato su una serie medievale su un Satiro di nome Adone e non riusciva a smettere di vederla.
Nota per sé: annullare l’abbonamento via cavo.
Fondamentalmente, il potere che faceva girare il mondo doveva essere ripristinato, corretto e spostato sull’orbita adeguata. Magia e scienza andavano di pari passo. La scienza, ovviamente, poteva essere manipolata e teorizzata per spiegare ciò che gli umani rifiutavano di accettare come soprannaturale. Quando Hermes era partito per l’Olimpo, l’oscurità stava scendendo sull’emisfero occidentale della Terra. Gli umani erano probabilmente nel panico. Sfortunatamente per loro, la fine era davvero vicina.
Ah, chi sto prendendo in giro? Non rinuncerò mai alla mai via cavo. In tutto questo disastro è meglio non interrompere le mie registrazioni DVR.
Hermes si avvicinò all’entrata, librandosi in aria appena fuori e sbirciando dietro l’angolo per ammirare la scena. Zeus era seduto su un colossale trono fatto di marmo e oro – materiali decorativi di prima scelta perché solo il meglio in questo regno! – e tutti si erano radunati attorno al Re. Gli Dei dell’Olimpo gridavano a lui e agli altri senza sosta. Era stava al fianco di suo marito, un severo cipiglio sul suo viso impeccabile dagli zigomi alti. Portava i suoi lunghi capelli neri raccolti in testa con uno spillone con varie piume di pavone che sporgevano da esso. Uno dei suoi preziosi uccelli stava riposando tra le sue braccia, osservando la scena, inclinando la testa a sinistra e a destra come se stesse contemplando le parole degli Dei. O forse voleva cagare su uno di loro. Nessuno poteva dirlo con sicurezza.
Hermes decise quindi di non ritardare l’inevitabile, non più del necessario e si lanciò nella stanza, cadendo a piedi nudi di fronte a Zeus. Sapeva di avere un aspetto orribile, dopo aver trascorso giorni ad aiutare Pan e gli altri Satiri a prepararsi per trasferirsi da Dioniso e dai Beoziani, anche se tecnicamente “non gli era permesso” aiutarli. Era anche abbastanza sicuro che suo nipote, Leonida, gli avesse rigurgitato sulla spalla quando lui aveva portato Pan dalla Grecia in Ohio per incontrare Vander e gli altri e se ne era dimenticato prima di incontrarlo di nuovo in New Jersey.
Si ricordava vagamente di Hybris che lo puliva prima di andarsene. La sensazione delle sue mani su di lui aveva fatto reagire il suo corpo in modi che non voleva ammettere, quindi aveva afferrato Pan e si era allontanato dalla Grecia, mettendo l’Oceano Atlantico tra lui e la sua ex in pochi secondi. Fortunatamente, gli Dei potevano ripulirsi con la forza del pensiero perché ora si stava presentando in vestiti indossati da due giorni di fronte a tutto l’Olimpo perché Hy lo aveva toccato per … ventisei secondi. Li aveva contati. I terapisti lo avrebbero pagato per indagare nel suo cervello.
Le chiacchiere intorno a lui si fermarono momentaneamente. Il suo aspetto fu riconosciuto – e criticato, anche se in silenzio – e poi loro ripresero come se non li avesse interrotti. Niente di nuovo.
“Che cosa indossi, Hermes?” Afrodite fece un passo avanti, ondeggiando i fianchi. I suoi capelli biondi lunghi fino alla vita pendevano a onde intorno alle spalle. Indossava abiti olimpici frizzanti e madreperlacei, tagliati nel vecchio stile, fissati con una fibula scintillante su ogni spalla: i diamanti incastonati nelle piccole spille erano un tocco moderno. Un filo d’oro scintillante le attraversava la vita e il busto. Il sandalo da gladiatore con i tacchi a spillo da sei pollici gli fece roteare gli occhi.
Hermes alzò gli occhi al cielo, desiderando di nuovo di essersi cambiato d’abito o almeno evocato nuovi vestiti prima di arrivare. Troppo tardi per farlo ora. I suoi jeans neri erano strappati alle caviglie per lasciare alle sue ali un movimento migliore e la sua maglietta arancione diceva ‘Dio della Meraviglia’ in caratteri inglesi antichi. “Uhm … abbigliamento adeguato per il regno mortale?”
“Quel colore è decisamente atroce”. Afrodite gli strattonò la camicia. Lei e Hybris avevano questo in comune, l’odio per il colore arancione.
Lui si fece piccolo. L’unica femmina cui non aveva tempo di pensare era Hybris, eppure continuava a farlo. La madre di Pan e l’amore della sua vita, che aveva lasciato lui e il loro figlio dopo il parto, per non tornare più fino a pochi giorni prima della nascita di suo nipote. Ora era come un’erbaccia che continuava a saltar fuori, non appena l’avevi sradicata. Molto più piacevole per gli occhi, maledizione.
Non era proprio così. Lei avrebbe voluto riconciliarsi, usando i suoi poteri come scusa per le sue azioni. Hybris era la Dea dell’insolenza e poiché il suo potere era radicato nell’orgoglio, nell’arroganza, nella violenza, non era in grado di tornare sulla sua parola o ammettere di essersi sbagliata. Il suo potere aveva il cervello cablato per credere che fosse troppo perfetta, troppo al di sopra di tali cose, che gli causava dolore fisico dover ritrattare qualcosa che aveva detto o se cercava di apportare modifiche verbali. Dopo aver ceduto brevemente alla lussuria che l’aveva travolto, avevano fatto una breve prova e poi lui l’aveva cacciata dalla sua vita.
In realtà lei aveva seguito il suo consiglio, per una volta, ed era andata da Pan per guadagnarsi il suo perdono. Adesso lei viveva con Pan, Katerina e il loro figlio, Leonida, in Grecia con l’ex Satiro Ariston e sua moglie Lily. Lui non poteva vedere la sua famiglia perché lei era lì. Era a dir poco sconvolgente. Dopo essere andata via per così tanto tempo, ora non se ne sarebbe andata più.
Qualcuno fece schioccare le dita davanti al suo viso. “Prestami attenzione quando parlo con te”. Afrodite lanciò un’occhiataccia. “Sai che non mi piace essere ignorata. È così … innaturale”.
“Come quelle estensioni dei capelli?”
Lei ansimò e si sbatté le mani sui fianchi. “Mi piace giocare con gli accessori di bellezza mortali. Sono la Dea dell’amore e della bellezza. Che cosa vorresti che facessi?” Lei socchiuse gli occhi e allungò una mano verso la sua spalla, pizzicando la stoffa con disprezzo. “Che cosa hai sulla maglietta?”
Hermes sorrise. “Vomito essiccato di bambino”.
“Eew!” Lei ritirò la mano così in fretta che pensò che avrebbe perso l’equilibrio con quelle scarpe, adatte per un negozio di costumi di Halloween.
“Qual è il problema? Anche tu hai avuto figli”. Amava prendere in giro la sua sorellastra perché era una persona davvero odiosa. Amore e bellezza. “Tutti quei bambini che hai generato con Ares che hai sfoggiato davanti a tuo marito che hai abbandonato nel regno mortale quando l’Olimpo ha chiuso i battenti”. Quando il pantheon cessò di essere adorato, Zeus rese il regno accessibile solo a quelli che già lo erano al tempo. Efesto era rimasto nella sua fucina nel regno umano, mentre sua moglie continuava la sua relazione con Ares. I loro figli vivevano nell’Olimpo, ma lei li rivendicava solo quando le faceva comodo.
Afrodite emise un suono disgustato nella parte posteriore della gola. “E’ per questo che ho dei domestici”.
Non si trasmetteva amore con le braccia fredde e insensibili degli estranei. Lui roteò gli occhi e la spinse da parte, avvicinandosi al trono. Oltrepassò Demetra e represse l’impulso di abbracciare sua zia che amava così tanto sua figlia da far diventare il mondo un inverno quasi eterno al pensiero di perderla. Ancora una volta, si ritrovò a sbuffare per l’abbandono di Pan da parte di Hybris e dovette cancellare quei pensieri dalla sua testa. Si è scusata. Sta cercando di rimediare al suo errore.
Lui sollevò la testa per rivolgersi a Zeus e lo scrutò. Lui si stava massaggiando le tempie mentre Era sorrideva come se le piacesse il disagio di suo marito. Probabilmente era così. Era un segreto mal gestito, il fatto che lei era in collera con Zeus per tutti i bambini imbroglioni e bastardi che aveva messo al mondo e Hermes stesso era uno di loro. Il problema era che le piaceva di più essere la Regina del suo popolo.
“Ti c’è voluto molto tempo per arrivare qua”, disse Zeus aprendo gli occhi scuri per fissarlo con uno sguardo. I suoi capelli neri erano grigi alle tempie, ma sembrava ancora molto più giovane di quanto i mortali credessero che fosse. Rasato, carnagione abbronzata, di solito Zeus indossava abiti su misura adatti all’era moderna, tranne quando si trovava nell’Olimpo. Ora, era adornato di vesti bianche setose rifinite con filo d’oro. La fibula che teneva insieme la stoffa alla spalla aveva la forma di un fulmine. Di solito, quando lo indossava, Hermes si lanciava in una versione di “Greased Lightning”, ma poiché era stata una brutta giornata per suo padre e praticamente per l’intero pianeta, si trattenne.
Agitò la mano per rispondere all’osservazione di Zeus. “Sembravi occupato, quindi ho aspettato”. Si guardò attorno in modo esagerato, girando a destra e sinistra. Poi annuì e emise rumori di approvazione e uno schiocco con la sua lingua.
“Che cosa stai facendo?”
“Io?” chiese innocentemente. “Sto ancora aspettando, ovviamente, che tu smetta di essere occupato. Guarda tutte queste persone”. Fece un gesto. “E sai una cosa? Sono offeso dal fatto che tu credi sempre che stia facendo qualcosa di riprovevole per meritare quel tono negativo nella tua voce”. Non era entrato in modo spettacolare, ma nemmeno poteva controllarsi nonostante le circostanze terribili.
Le sopracciglia di Zeus si restrinsero pericolosamente. “Hermes…”.
“Allora, dov’è Apollo?” cambiò argomento. Zeus lo aveva convocato quando il cielo stava iniziando ad oscurarsi. Aveva letto il messaggio di Zeus e, francamente, era più preoccupato che Calix venisse torturato. Tuttavia, poiché anche Apollo non c’era, e ad Hermes non gli avrebbe accordato il permesso di cercarli entrambi perché era stato redarguito di recente, avrebbe voluto risparmiare a suo padre tutte queste preoccupazioni. “Sta cercando di adattare il suo ego tronfio al carro del Sole?”
Con Helios scomparso, Apollo era destinato a occupare il posto del Titano per far girare il mondo, per così dire. Ogni ordine di immortali aveva una coppia in sostituzione di quelli precedenti quando il loro tempo terminava. Tranne Apollo e Artemide che avevano avuto il permesso di vivere nel lusso, i Titani avevano continuato a fare il lavoro contro la loro volontà. Artemide non era al tempio quando lui era arrivato, il che non era da lei. Forse era stata costretta a portare le redini del carro al posto del suo gemello.
Mentre la domanda di Hermes continuava a restare sospesa nell’aria, le chiacchiere degli Dei dell’Olimpo si zittirono. Essi non si preoccupavano mai di ciò che Zeus aveva da dire, ma volevano valutare la reazione di Hermes. Non che fosse la prima volta. Per fortuna tutto quello che aveva intenzione di fare era prendere in giro suo padre.
“Apollo è scomparso”, affermò Zeus mentre si sfregava la fronte. “Te l’ho detto”.
“Scusa, cosa?” Si chiuse l’orecchio nella mano a coppa e si sporse in avanti. “Puoi ripetere? Sembra che tu abbia perso sia il Titano sia il Dio che erano legati al Sole. Com’è potuto succedere?”
Zeus digrignò i denti. “Hai letto il messaggio fino in fondo?”
“Forse Helios e Apollo hanno confessato il loro amore reciproco e sono fuggiti. Gli umani sarebbero elettrizzati. Amano la storia d’amore proibita tra due uomini”. Batté le mani e poi sollevò il palmo della mano destra accanto a quella sinistra come se stesse tenendo un libro aperto. “Amanti stellati, uno un Titano, l’altro un Dio dell’Olimpo. La fiction sarà una stravagante spazzatura”.
Zeus si alzò in piedi, l’elettricità crepitava nell’aria intorno a lui. I capelli di Hermes si drizzarono dritti mentre il Re degli Dei alzava la mano e afferrava un lampo sfrigolante dal nulla. I suoi occhi solitamente scuri si schiarirono e brillarono di potere, luminosi e pericolosi. “Non testare la mia pazienza, Hermes. Non è una cosa su cui scherzare”. Zeus alzò lo sguardo sul resto degli Dei e delle Dee e gridò: “Lasciateci!”
Mentre gli altri uscivano, Hermes fissò suo padre. Era indugiò sulla soglia, ma alla fine scomparve dietro l’angolo. Probabilmente rimane ad origliare. Suo padre usava l’intimidazione per farsi strada e, sin da quando era un ragazzo, Hermes l’aveva sempre spinto oltre il limite. Zeus era a uno di quei limiti in quel momento, quindi qualunque cosa fosse successa agli immortali, non poteva essere buona.
“Sai dove sono?” Hermes ammorbidì il tono, lasciando cadere le sue intenzioni. “Possiamo forse andare a prenderli?” La domanda era lui poteva interferire? Di solito quella risposta iniziava in N e sfiniva con una O grande, grassa e clamorosa.
Zeus si strofinò il viso con una mano e si sedette sul trono. “Perché non l’ho previsto?”
Entrambe le divinità del Sole sparite? C’erano così tante battute su luce e oscurità che avrebbe potuto sparare, ma controllò quell’impulso. Zeus non aveva messo via il fulmine. Non che importasse; lui era troppo veloce perché un fulmine lo colpisse. Tuttavia, oggi non voleva metterlo alla prova se poteva evitarlo.
“Apollo è stato il primo a scomparire”, spiegò Zeus. “Aveva detto ad Artemide che se ne sarebbe andato, ma in qualche modo Helios ha capito che Apollo non lo poteva più controllare. Deve aver avuto un posto dove nascondersi per quando se ne fosse presentata l’occasione perché non riusciamo a localizzarlo”. Strinse la mascella. “Abbiamo trovato Apollo, ma inseguirlo potrebbe rivelarsi una trappola per Era”.
Interessante. “E … sacrifichiamo semplicemente Apollo invece di trovare un modo per aggirarlo?” Nessuna grande perdita, ma senza Helios di nuovo nel suo carro, la cosa diventava problematica. Non che Hermes potesse biasimarlo per l’emancipazione auto-dichiarata. Se non fosse stato per il destino incombente, gli avrebbe organizzato una festa. Sfortunatamente, nessun Dio poteva sostituirlo a lungo termine e questo era il problema. Apollo era l’unico rimpiazzo fino a quando una nuova era di immortali sarebbe nata. Finora non era successo.
“Non ho intenzione di rischiare mia moglie” iniziò Zeus.
Anche se lui l’aveva tradita con metà della popolazione del mondo. Ben detto, papà.
“… Quindi ho bisogno che tu trovi Helios e lo riporti qui”.
Ovviamente. Sbatté le palpebre. “Aspetta! Davvero vuoi che lo trovi?” Finalmente! Qualcosa che poteva fare con i suoi poteri oltre a girarsi i pollici. Zeus annuì e questo lo rese sospettoso. Hermes incrociò le braccia e aggiunse: “Fammi indovinare, cercare Apollo, che è l’unico che hai localizzato, significa interferire con qualcosa che coinvolge i Satiri, non è vero?” Che intenzioni aveva Apollo in quel momento? Lui digrignò i denti. “Lo giuro, se cerca di nuovo Melancton e Daphne, io …”.
“Non farai nulla perché tu non stai interferendo con i Satiri, ricordi?” Zeus sciolse il suo fulmine con un sospiro. “Apollo ha scoperto di non aver ucciso Echidna a Delfi in passato. Lo sciocco ha deciso di finire il lavoro prima che io scoprissi che si era nascosta e non era morta”.
Hermes alzò una mano per fermarlo. “Un po’ come sta facendo Helios adesso. Come facciamo a sapere che non è con lei? Sono entrambi Titani, dopo tutto”.
“Se lo è, scopriremo cosa fare quando sarai lì. Non avvicinarti a lui in tal caso. Non voglio che tu sia attaccato e preso in ostaggio”.
“Ah! Se qualcuno riesce a prendermi, merito di essere fatto prigioniero”.
Zeus lo fissò con uno sguardo duro. “Hanno un esercito di Vrykolakas. Uno di cui non conoscevo l’esistenza fino a quando non ho iniziato a cercare Helios. Non è grande, intendiamoci, ma sono formidabili”.
Beh, questa è sfortuna. Mentre Hermes aveva dubitato di poter essere catturato a meno di restare in quel luogo abbastanza a lungo, loro avrebbero intercettato Hermes mentre attraversava i loro territori. “Molti di quelli che escono dalla falegnameria ultimamente”, disse lui. “Ricorda come Apollo ha trovato l’ascia che ti ha mostrato e poi ha dato a Dioniso”. Aveva usato un Vrykolakas di nome Bremusa per rintracciare il sangue di Daphne e ora quella creatura vampira aveva una strana fissazione su un Satiro di nome Vander. Hermes aveva tentato di metterlo in guardia dall’Arcadiano e ora c’era un loro esercito con Apollo.
Coincidenza? Ne dubito.
Da tutto questo scaturiva un’ultima domanda: Dioniso avrebbe potuto giocare contro il Dio dell’Olimpo aiutando Helios in qualche modo? Con Zeus e gli Dei che si affrettavano a cercare una soluzione per la situazione del carro del Sole, era un diversivo perfetto. Quindi, quando sarebbe arrivato il primo colpo e a chi sarebbe stato destinato?
CAPITOLO 2
Se ci fosse mai stata una volta in cui Hybris avesse avuto bisogno della sua immortalità e dei suoi pieni poteri, quel momento era ora. Quando poteva essere utile. Il carro del Sole era andato fuori orbita e, da quello che aveva ascoltato attraverso la video chat al computer con i Satiri a casa di Pan nel New Jersey, anche Apollo era scomparso. Il segnale era andato perduto quando avevano catturato un Vrykolakas che poteva sapere la posizione del Dio. Se erano coinvolti i vampiri, non si metteva bene per lui.
Hybris si adagiò di nuovo sul divanetto nel caratteristico salotto di Ariston e Lily. Ariston aveva ricostruito la fattoria della sua famiglia vicino alla base del Monte Helicon in Grecia. La casa era accogliente e la compagnia piacevole, eppure stava ancora impazzendo per la noia.
Trascorrere del tempo con Pan, Kat e Leonida la riempiva di felicità ma Pan era andato a combattere una qualche battaglia per salvare un amico ed era inutile aiutarlo. Avrebbe preferito fare qualcosa piuttosto che rimanere sdraiata tutto il tempo mentre gli uomini si occupavano di tutto. Hermes non avrebbe permesso a Pan di considerarla una risorsa poiché gli unici poteri che aveva mantenuto erano quelli direttamente collegati all’arroganza. Gli unici che erano rimasti che poteva usare, e nel suo desiderio di tenerla a distanza, Hermes aveva dimenticato di cosa era capace quel potere in un combattimento.
Ah, insolenza … L’insolenza di Apollo doveva essere smisurata. Hybris avrebbe potuto riattivare i suoi poteri e dare uno schiaffo ai suoi rapitori. Avrebbe potuto perdere un po’ di sangue nella trasformazione, ma l’impulso del potere le avrebbe impedito di essere catturata come quell’idiota. Che patetica scusa per un Dio dell’Olimpo. Uccidere Satiri senza motivo se non quello di dimostrare che aveva le palle. Non poteva nemmeno avere una ragazza senza tenerla prigioniera. Spregevole.
Ma no, Hybris era in panchina perché a Nemesis era stata finalmente concessa l’approvazione per punirla per la sua arroganza – che non era assolutamente colpa di Hybris visto che era la sua fonte di energia! Quindi ora Hybris era mortale e priva della maggior parte dei suoi poteri, dicendole che avrebbe conservato solo quelli utili per continuare a vivere. Sarebbe invecchiata normalmente e poi sarebbe morta. Non mostrava ancora segnali d’invecchiamento, ma il suo orgoglio la metteva in piedi davanti allo specchio ogni mattina per controllare. Ieri aveva creduto di trovare un capello grigio nelle ciocche di ebano, ma era stato solo dentifricio perché adesso doveva anche lavarsi i denti. L’immortalità la congelava in uno stato perfetto e la mortalità l’avrebbe fatta a pezzi. Così all’inizio aveva deciso che una carie non sarebbe stato il suo primo errore mortale.
Sempre irrequieta, Hybris si alzò e vagò per la casa finché non raggiunse la nursery di Leonida. Il dolce bambino dormiva nella sua culla, con la bocca spalancata in un sonno beato. Allungò una mano e la passò nei capelli morbidi e scuri sulla sua fronte. Hybris aveva visto Pan bambino per un breve periodo, a causa del suo stupido orgoglio. Spaventata dalla maternità, aveva parlato di come non fosse adatta per quel ruolo. A causa dei suoi poteri, non poteva rimangiarsi le parole e aveva scoperto che non sarebbe potuta ritornare qualora se ne fosse andata.
Hybris doveva ancora controllare le sue parole o avrebbe condannato se stessa un’altra volta. Avvicinò il peluche Pegaso al bambino, così lo avrebbe preso quando si fosse svegliato. Era il suo giocattolo preferito. Non aveva dubbi sul fatto che quando la cavalla avrebbe dato alla luce il puledro di Pegaso, i due giovani sarebbero diventati rapidamente amici. Rimaneva da vedere se il puledro avrebbe avuto le ali di suo padre.
Nella pace della nursery, Hybris strinse le dita e imprecò sottovoce. Doveva fare qualcosa. Con Pan che si occupava di Dioniso e l’anomalia del Sole che creava una notte eterna e senza stelle, si sentiva così inutile. Così mortale. Che cosa avrebbe potuto fare per aiutare? Adesso era vulnerabile, ma a parte Dioniso e Apollo, i nemici di suo figlio non sapevano chi fosse. I Satiri Beoziani non avevano mai visto la sua faccia né sapevano della sua relazione con Pan. Hermes non aveva mai condiviso l’informazione di chi fosse la madre di Pan con nessuno e aveva fatto di tutto per creare voci multiple in modo che gli umani non potessero nemmeno trascriverlo nei loro libri di mitologia.
Chiuse gli occhi e si fermò nel mezzo della stanza. Hermes. Non si era resa conto di quanto le mancasse fino a quando non aveva trascorso del tempo con lui. Fino a quando non lo aveva visto tutte le settimane, a volte tutti i giorni, e lui le aveva concesso a malapena uno sguardo. Faceva male, ma se lo era meritato.
Cos’altro poteva aspettarsi dopo aver rinunciato ad impegnarsi, di sapere che avrebbe fallito e di averlo fatto senza avergli dato una possibilità? Aveva lasciato Hermes con un bambino e non era tornata indietro, relegata nel guardare di nascosto Pan che cresceva.
Aveva deciso di fare ammenda prima di diventare mortale, ma il tempo non era stato proprio dei migliori. Pan aveva impiegato due mesi per lasciarsi andare, con l’aiuto della sua fidanzata. Pan aveva perdonato Hybris ma Hermes si era rifiutato. Un fatto che aveva incuriosito molto il loro figlio, anche se non era sicura del perché.
“Devo uscire da qui”, disse a Leonida, che giaceva a pancia in giù su una coperta. Avrebbe dovuto togliersi i tacchi ma si rifiutava di rinunciare al suo amore per il guardaroba e le calzature sexy. Il suo ritmo doveva averlo svegliato e adesso la stava guardando e sbavando sull’ala del suo Pegaso. Presto avrebbe camminato, agli Dei piacendo. Il rimpianto per l’infanzia non vissuta di Pan continuava a pugnalarla nell’intestino e lei chiuse gli occhi. Non poteva tornare indietro nel tempo. Ma poteva recuperare con suo nipote adesso.
“Dove, precisamente, hai intenzione di andare?”
Beccata.
Hybris si voltò e catturò Ariston che la osservava dal corridoio attraverso la porta aperta. Doveva averla sentita passando da lì. Lui si stava portando alla bocca un biscotto con scaglie di cioccolato e ne prese un morso generoso. Si era tirato indietro i capelli biondi per lavorare nel cortile e una raffinata lucentezza di sudore brillava lungo la sua fronte e il suo collo. Sembrava strano, in qualche modo, che nonostante l’anomalia del Sole, Ariston e Lily fossero concentrati sulle pulizie come se nulla fosse cambiato. La loro fiducia negli Dei dell’Olimpo era commovente, davvero, se non un po’ prematura. Fino a quando Hermes non li avesse aggiornati sul suo incontro con Zeus, non si aspettava alcun tipo di lieto fine.
“Non lo so”, disse lei, che era la verità. “Devo fare qualcosa, ma Pan ed Hermes continuano a osteggiarmi”.
Ariston finì il suo biscotto prima di rispondere: “Potrebbe essere perché non sei più immortale”.
Lei socchiuse gli occhi. “Questo non mi rende una bambina fragile che non ha modo di difendermi. Posso combattere. Sono efficiente in tutto”. Lei sollevò il mento. “E sono stanca di aspettare il permesso quando non sono più vincolata dalle regole di Zeus”. Da mortale, non poteva più entrare nell’Olimpo, né doveva seguire le sue linee guida. Le era stato restituito il “libero arbitrio”. Uno scherzo, che, poiché i Fati controllavano le loro vite e la data della loro morte. Anche se ognuno aveva fatto le proprie scelte, portava sempre allo stesso risultato.