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Ogni volta che incontrava Elizabeth in compagnia della famiglia o degli amici, lei era sempre molto ciarliera. Aveva sempre qualcosa da dire e il più delle volte lo faceva a voce alta.
In effetti, questo era l'unico difetto della donna che aveva scelto come moglie: avere alle spalle una famiglia terribilmente rumorosa e frenetica. Tutta quell’attività logorava i nervi di Collin. Quando erano soli, invece, lei sembrava più calma e Collin la apprezzava molto di più.
"Non puoi dire sul serio" rispose infine Elizabeth quasi urlando.
Il suo tono di voce lo fece sobbalzare. Persino Lefroy, all'esterno, nitrì e si spostò qualche metro più in là, drizzando le orecchie per individuare la provenienza del suono. Come tutti gli animali, anche i cavalli avevano un udito molto sensibile.
Le orecchie doloranti, Collin si guardò intorno: mr. Bennett aveva la stessa espressione di poco prima, quando stava leggendo il giornale, ma i suoi occhi scuri vagavano da Collin alla figlia e dalla figlia a Collin, come se stesse leggendo la trama della storia che si stava svolgendo nella sua sala da pranzo. Non c'era l'ombra di un sorriso sul suo volto, nè di un cipiglio. Praticamente imperscrutabile.
Il che non fu per Collin di nessun aiuto. Aveva imparato a decifrare le espressioni facciali fin da adolescente, e non per scelta. La madre e la zia avevano fatto di tutto perchè diventasse un ragazzo più socievole, tessendo trame che non avevano funzionato. Ma in compenso aveva imparato qualcosa di molto utile: c'erano ben diciannove diversi tipi di sorrisi che potevano essere classificati, quantificati e identificati.
Lydia e Jane stringevano entrambe le labbra in quello che poteva sembrare un sorriso. Ma gli angoli delle loro bocche non erano sollevati, e il sorriso non raggiungeva gli occhi.
Il sorriso di Jane esprimeva imbarazzo, a giudicare dalle guance arrossate e dal modo in cui la testa era leggermente inclinata verso il basso e verso sinistra. Anche Lydia teneva la testa china, ma la bocca era chiusa e le guance erano gonfie, come se si sforzasse di trattenere una risata.
Incapace di muoversi o di dire qualcosa, Collin attese, torreggiando su ogni persona seduta al tavolo della sala da pranzo di casa Bennett. Era percorso da una miriade di brividi di freddo e i muscoli del suo stomaco si erano contratti, pronti a ricevere il colpo.
Ma non successe nulla. Nessuno rise di lui. Nessun dito lo indicò. Nessuno lo schernì per la sua diversità e inadeguatezza.
Infine, il suo sguardo cadde su Charlotte Lee, che aveva preso posto al suo fianco qualche minuto prima senza dire una parola. Aveva immaginato che sarebbe stata Elizabeth a sedersi accanto a lui, ma era stato un sollievo vedere Charlotte occupare quella sedia. Era sempre stata una ragazza tranquilla come un topolino, una caratteristica che aveva conservato anche adesso che era adulta.
Lei lo fissò, le labbra serrate, le sopracciglia inarcate. Non rideva di lui, piuttosto sembrava preoccupata. E anche un po' a disagio, come se fosse appena stato commesso un passo falso.
Ma dove aveva sbagliato? si chiese Collin. Aveva seguito il copione alla lettera: era uscito due volte con Elizabeth per mostrarle di essere interessato a lei e, sapendo che al terzo appuntamento ci si aspettava un impegno, si era presentato con un anello.
Cosa aveva dimenticato?
Guardò di nuovo Charlotte. Era sempre stato in grado di decifrare le sue espressioni, perchè, a differenza delle altre ragazze, non sapeva nascondere quello che provava.
Questa volta, lei gli sorrise. Un sorriso luminoso, che arrivava agli occhi, ma che non era nè di felicità nè di congratulazioni, perchè durò solo un attimo, come se fosse pesante da trattenere.
Fu allora che Collin si rese conto del proprio errore.
Girò intorno al tavolo, si avvicinò ad Elizabeth e si inginocchiò.
"Perdonami" disse "Adesso ricomincio daccapo".
"No!" esclamò lei, sollevando le mani come per allontanarlo "Non intendo sposarti".
"Ho dimenticato qualche altra regola sociale?" chiese lui, voltandosi a guardare Charlotte.
Lei si stava fissando le mani, mentre tutti i Bennetts fissavano lui, ogni sorriso di circostanza svanito dai loro volti.
"Cosa ti fa pensare che ti sposerei?" stava dicendo Elizabeth.
Collin riportò l'attenzione sulla futura sposa. Aveva bisogno della sua collaborazione per raggiungere il proprio obiettivo.
"Ho notato dei chiari segnali".
"Davvero? E quali?"
Durante il periodo dell'accoppiamento, le cavalle facevano in modo che gli stalloni sapessero che erano pronte per la monta lanciando segnali evidenti, come roteare la coda e urinare.
Elizabeth si toccava sempre i capelli mentre chiacchierava con la gente, ma Collin non accennò alla cosa. Aveva imparato che le donne non apprezzavano di essere paragonate ai cavalli. Esattamente come non amavano essere messe al secondo posto.
Posò sul ginocchio la mano che conteneva la scatola con l'anello.
"Ti ho sentito dire che è opinione comune che un uomo con un buon lavoro ha bisogno di una relazione seria".
"Quando avrei detto una cosa del genere?"
"Quando stavi iscrivendo Lefroy alle gare di Pemberley al ranch di mio cugino Darcy".
"Oh" Elizabeth aggrottò la fronte "Parlavo di Darcy e di tutte quelle innamorate che gli ronzano intorno".
A differenza dei sorrisi, Collin aveva sempre avuto problemi con il sarcasmo. Sfortunatamente, non c'era modo di comprendere il livello di ironia, a meno che uno non sorridesse subito dopo. Elizabeth aveva sorriso?
Ma quello non era stato l'unico segnale.
"Durante i nostri appuntamenti, andavi spesso al bagno".
Elizabeth spalancò gli occhi, confusa.
"Le giumente urinano per annunciare che sono pronte a riprodursi" spiegò lui.
"Andavo al bagno per allontanarmi per un po' da te" replicò lei, tirandosi indietro.
Jane sussultò ed esalò un brusco respiro.
Lydia fece una smorfia e batté rumorosamente i palmi delle mani
Collin si voltò a guardare Charlotte, l'unica a sembrare addolorata per come stavano andando le cose. La vide girarsi verso la porta come se volesse disperatamente trovarsi fuori da quella stanza.
Probabilmente, non avrebbe dovuto esternare quel paragone tra Elizabeth e una cavalla in calore. Per fortuna, non si era avventurato nella descrizione dei movimenti della coda con cui le giumente attiravano gli stalloni.
Non che Elizabeth lo avesse fatto.
In ogni caso, non erano solo queste le ragioni che lo avevano spinto a chiedere la sua mano.
"Abitiamo vicini, quindi non dovresti neanche trasferirti troppo lontano".
"Vivo anche accanto a Darcy. Ha forse chiesto la mia mano?"
"Tu e mio cugino non siete fatti l'uno per l'altra. Noi due, invece, andiamo abbastanza d'accordo". Collin pensò ai silenzi che avevano riempito i loro appuntamenti. Lei non aveva mai insistito per conversare a tutti i costi. In effetti, Collin non riusciva a ricordare alcuna conversazione tra loro.
"Andare d'accordo? Pensi che l'amore sia tutto qui?"
"Cosa c'entra l'amore in questa equazione? Ho scelto te perchè non invaderemo l'uno la vita dell'altro. Potremmo continuare esattamente come adesso. Un'alleanza tra noi farebbe comodo a tutti".
"Un'alleanza? Parli del matrimonio come se si trattasse di un affare economico".
Non era forse così? Il matrimonio dei genitori aveva consolidato i possedimenti terrieri di Rosings Ranch. Adesso Collin aveva bisogno dell'eredità che la madre gli aveva lasciato per trasformare il ranch in un paradiso per cavalli da corsa in pensione. Il problema era che non avrebbe avuto accesso al denaro finchè non avesse messo quell'anello al dito di una donna.
"Da un punto di vista tecnico e storico, il matrimonio è esattamente questo" disse "Un contratto, un'alleanza tra famiglie. Il concetto di sposarsi per amore è più moderno e le sue probabilità di successo sono molto basse, a differenza di quanto succede per i matrimoni basati su questioni economiche".
Il coro di sospiri che seguì la sua dichiarazione fu un chiaro segnale che aveva sbagliato di nuovo. Ogni Bennett presente lo guardava accigliato: Elizabeth teneva le mani serrate a pugno, Jane scuoteva lentamente la testa per esprimere la totale disapprovazione e Lydia aveva arricciato il naso come se avesse sentito un cattivo odore.
Per una volta, anche l'espressione di Charlotte era impenetrabile persino per lui.
"Basta così, figliolo" disse mr. Bennett in tono pacato ma inequivocabile "Penso sia il momento che tu te ne vada".
Collin si alzò in piedi, infilò la scatoletta in tasca e riprese il dispositivo dal tavolo. Nonostante non avesse idea di quale errore avesse commesso, fece come gli era stato detto e si diresse verso la porta.
La zia non sarebbe stata affatto contenta del suo fallimento.
CAPITOLO TRE
"Riesci a credere a quel che è appena successo?"
Una volta, qualcuno aveva detto a Charlotte che, quando si è in cerca di consigli, si va sempre dall'amico che sappiamo ci dirà quel che vogliamo sentire.
E lei sapeva benissimo cosa Eliza voleva sentirsi dire.
"Si, lo so" rispose.
"Voglio dire...Collin Hunsford non potrebbe mai rendermi felice. E sono sicura di essere l'ultima donna al mondo capace di rendere felice lui" continuò Eliza, camminando avanti e indietro per la camera da letto, dalla finestra alla porta e viceversa. E ad ogni giro, la folta chioma le ondeggiava sulle spalle, proprio come la coda di una cavalla che allontana le avances di uno stallone troppo insistente.
"Sì, lo so" commentò Charlotte, seduta sulla coperta rosa del letto. Gran parte della camera di Eliza era nei toni del rosa, un colore che mal si adattava a quella giovane donna del tutto priva di fronzoli. Quando Eliza aveva sentito dire che non era consigliabile che le donne dai capelli rossi si circondassero di rosa, aveva fatto l’esatto contrario. Era la sua natura.
"Ha creduto che gli stessi lanciando dei segnali? Figuriamoci...al secondo appuntamento, mi sono a malapena ricordata di mettere il lucidalabbra".
"Mmm...lo so" disse Charlotte, osservando Lefroy dalla finestra. Non le piaceva affatto il modo in cui l'animale spostava il peso da una zampa all’altra. La successiva coppia di passi fu normale, e la sua andatura sembrò stabilizzarsi. Si stava forse immaginando tutto? L’unico modo era portarlo da un veterinario. Peccato che il migliore della città fosse appena stato cacciato fuori, prima ancora di assaggiare l'arrosto.
"E' una situazione completamente irreale. Così irreale che potrebbe benissimo trattarsi di una scommessa organizzata da Darcy".
"Lo so".
"Davvero?"
I passi di Eliza si fermarono di botto. Incuriosita dal silenzio improvviso, Charlotte smise di guardare fuori dalla finestra e si voltò.
"Cosa?"
"Sai che Darcy ha scommesso con Collin riguardo al matrimonio?" le chiese l'amica, crollando sul letto al suo fianco.
Ecco, questo era l'argomento che Eliza preferiva in assoluto: gettare la colpa su Fitz Darcy. Tra i due era in corso una sorta di guerra fredda che durava da così tanto tempo che Charlotte non ricordava più come fosse iniziata.
"Non mi sembra qualcosa tipico di Darcy" disse.
"E come lo sai? Hai parlato con lui?"
"Pensavo stessimo parlando di Collin".
"Giusto". Eliza ricominciò a fare avanti e indietro "Non mi interessa quello che Darcy ha da dire".
"Lo so".
"Perfetto".
Charlotte aveva perso il filo della conversazione. Non aveva idea se stessero parlando di Collin oppure di Darcy. In ogni caso, la risposta fu la stessa.
"Lo so".
"Credeva davvero che avrei risposto sì a quella orrenda proposta".
Oh, stavano parlando di nuovo di Collin. In realtà, la proposta non era stata così orrenda. Quando aveva avuto modo di riflettere sulle sue parole, vi aveva trovato un senso. Certo, non era stata una dichiarazione romantica come Eliza avrebbe voluto, ma, in fondo, non tutte le ragazze vanno in cerca di romanticismo.
Collin aveva offerto ad Eliza ciò che Charlotte desiderava di più al mondo: una casa tutta sua. Meglio ancora, una casa all'interno di un ranch, con tanti cavalli e spazi aperti a vista d'occhio.
Sapeva che Collin intendeva trasformare Rosings Ranch in un paradiso per cavalli da corsa in pensione, ma era ovvio che, essendo lui un veterinario, avrebbe accolto qualsiasi animale avesse avuto bisogno di cure.
Per Charlotte, vivere a Rosings sarebbe stato il paradiso. Ma lui non si sarebbe mai sognato di chiedere la sua mano. Né lei si aspettava che un uomo le chiedesse di sposarlo in ginocchio. Il che non era un problema, perchè in quel momento il suo obiettivo era trovare un lavoro e assicurarsi un futuro.
"E' così sbagliato desiderare una relazione basata sulla passione?" chiese Eliza.
"Certo che no, se è questo che vuoi".
"E' quello che entrambe meritiamo. Siamo donne attraenti, intelligenti e sveglie. Abbiamo bisogno di uomini adatti a noi".
Charlotte sapeva quale risposta si aspettava l’amica. Ma, questa volta, lo so non ne volle sapere di uscire dalla sua bocca. Non un solo uomo, o ragazzo, di quella città si era mai degnato di rivolgerle una seconda occhiata.
"E’ stato tutto così bizzarro” continuò Eliza “Sono ancora convinta che Collin non facesse sul serio e che sia stato tutto frutto di una scommessa. Probabilmente, in questo momento, lui e Darcy stanno ridendo come matti".
Charlotte non pensava che Collin stesse ridendo. Aveva notato la confusione e l'imbarazzo sul suo volto per essere stato rifiutato. Quel poverino faceva sul serio. Anche se Charlotte non riusciva proprio a capire perchè avesse scelto Eliza.
Bugia.
Charlotte sapeva esattamente perchè qualsiasi uomo avrebbe scelto l'amica. Lei possedeva tutte le qualità che aveva elencato poco prima, e inoltre era la ragazza più bella della città, eclissata solo dal fascino etereo della sorella maggiore Jane. Ma Eliza era più intelligente e spiritosa.
Charlotte la adorava per tutte quelle ragioni, sebbene non avesse mai capito perchè Eliza avesse scelto proprio lei come confidente. Forse perchè era esattamente l'opposto? Non glielo aveva mai chiesto e nemmeno voleva saperlo. Era semplicemente felice di avere un'amica del genere.
"Vedremo Darcy domani, quando gli porteremo Lefroy per gli esami pre-gara" disse Charlotte.
Eliza sollevò gli occhi al cielo, spingendosi i capelli dietro la spalla. Un gesto che Charlotte aveva visto fare alle giumente quando volevano attirare l'attenzione di un particolare stallone. Mmm....
Forse, Collin aveva interpretato bene quel segnale. Solo che non era destinato a lui.
"A proposito delle gare di Pemberley..." continuò Charlotte "...volevo parlare con tuo padre del posto di addestratore".