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Scherzi Del Sonno
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Scherzi Del Sonno

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Scherzi Del Sonno
Marco Fogliani

Una quindicina di racconti dedicati agli scherzi del sonno - cioè i sogni - sulla mente umana, e alla loro frequente interferenza, a volte oscura e a volte sorprendente, con la realtà.

L'elenco dei racconti inclusi nella raccolta è il seguente:

HO IMPARATO A VOLARE

IL SONNO PERDUTO

LA ROSCIA

UNA NOTTE DA INSONNI

I NUMERI GIUSTI

IL RISVEGLIO

UNA NOTTE MOVIMENTATA

LE MINIERE DI BABBO NATALE

LA FATINA DELLE NUVOLE

UNA NOTTE IN UFFICIO

VECCHI LIBRI E GRANDI SPAZI

SALAFINO E LA CAFFETTIERA MAGICA

TOMMASO ASPIRANTE CUOCO

LA MOSCA

MARCO FOGLIANI

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Indice dei contenuti

HO IMPARATO A VOLARE (#uc466945a-30b1-5f9c-974f-975956f5fbd9)

I NUMERI GIUSTI (#ubd175da9-67e2-56ab-84ce-09e944ed99b2)

IL SONNO PERDUTO (#u448b48a6-47d4-52b5-b31a-5daf5d586550)

UNA NOTTE MOVIMENTATA (#u0e081ddb-0ea5-5bd4-a100-5eb6587f7816)

LE MINIERE DI BABBO NATALE (#litres_trial_promo)

SALAFINO E LA CAFFETTIERA MAGICA (#litres_trial_promo)

LA FATINA DELLE NUVOLE (#litres_trial_promo)

VECCHI LIBRI E GRANDI SPAZI (#litres_trial_promo)

UNA NOTTE IN UFFICIO (#litres_trial_promo)

LA MOSCA (#litres_trial_promo)

UNA NOTTE DA INSONNI (#litres_trial_promo)

LA ROSCIA (#litres_trial_promo)

TOMMASO ASPIRANTE CUOCO (#litres_trial_promo)

IL RISVEGLIO (#litres_trial_promo)

HO IMPARATO A VOLARE

Mammina, mammina cara: non vedo l'ora di raccontartelo! Sai, forse non ci crederai, ma ce l'ho fatta. Ci sono riuscita, davvero! Ho imparato a volare.

Proprio come fai tu, tutte le notti, quando mi vieni a trovare nel sonno. Ormai è una vita che ciò avviene - è il nostro piccolo grande segreto. E' una vita che ogni notte aspetto il tuo arrivo nel mio sogno, quando i miei problemi quotidiani, amplificati dalla mia mente, cominciano ad assalirmi insieme a tanti altri immaginari, a diventare pesanti, insopportabili, angosciosi. Allora comincio a scrutare in alto nella speranza di scorgere il tuo viso rassicurante e sorridente, e la speranza ogni volta si realizza. Eccoti arrivare leggera leggera, ti avvicini a me, mi prendi la mano, mi carezzi i capelli e mi consoli. " Quali problemi ti angosciano, bambina mia?" E io ti racconto i miei guai, i miei dubbi, le mie paure. I miei problemi con la scuola, con le amiche, coi ragazzi; le prime delusioni amorose. Le terribili visioni e i mostri onirici. Vicende che sembrano più grandi di me, che mi opprimono e mi schiacciano come una rete che mi imprigiona. E tu hai sempre le parole giuste, un consiglio saggio, un nuovo modo di vedere le cose. E questo mi consente di tirare avanti, di proseguire il sonno serenamente fino al mattino, di affrontare in un modo migliore la situazione il giorno dopo.

" Quando anche tu imparerai a volare, tutto ti sembrerà più semplice", mi dicevi ogni volta. " Da lassù tutti i tuoi problemi ti sembreranno ridicolmente piccoli. Vedrai le cose del mondo e della vita nel loro insieme, da una nuova prospettiva, ognuna col suo significato ed il suo ruolo, e allora capirai. Capirai da sola di non dover aver paura, capirai da sola come affrontare ogni cosa. Troverai in te stessa, nel tuo spirito, tutte le risposte che cerchi." Questo te lo ho sentito dire tante volte, forse tutte le notti, prima di lasciarmi; ma solo oggi mi sono resa conto di non averlo mai compreso. Stanotte, quando dovevi arrivare e non sei arrivata. Quando dovevi intervenire, perché il male nel mio sogno stava prendendo il sopravvento, e non lo hai fatto. Ho aspettato il tuo arrivo più che ogni altra volta, invano. Lo ho sperato più di quanto sia umanamente possibile. Mi stavo per svegliare, sconfitta, angosciata a tal punto da preferire un brusco risveglio. Ad un tratto ho chiuso i miei occhi per non vedere l'angoscia che mi circondava, e ho intravisto qualcosa dentro di me. Concentrandomi, e miracolosamente senza sforzo, sono riuscita a vedere la mia anima, il mio spirito. Quasi non mi sono accorta di essere più leggera, leggera, e che lentamente mi sollevavo. Guardando sotto a volte rischiavo di cadere, ma poi richiudevo gli occhi e tornavo a guardarmi l'anima. Non volevo cadere, e così ho scoperto che anche la volontà basta per farmi volare. Ho visto tutto farsi più piccolo, i problemi diventare banali, ogni cosa prendere il suo posto e ho capito tutto. E' proprio come dicevi tu, mammina. Mi dispiace che tu non sia venuta, stanotte: volevo darti questa bella notizia. Ti aspetto un altro po'. Ma adesso il tuo arrivo non è più necessario. Domani so quello che devo fare. Ogni notte saprò come volare. E questo grazie a te, mammina, che stanotte non sei venuta; che mi hai insegnato a volare. Grazie, perché stanotte mi hai fatto nascere una seconda volta.

Da allora non ho più sognato la mia mamma.

I NUMERI GIUSTI

Mi imbattei in Michele per caso, una domenica mattina sotto casa nostra. Stavo attraversando la strada sulle strisce pedonali quando un'automobile di grossa cilindrata e apparentemente nuova iniziò a lampeggiarmi.

"Che vuole questo?", pensai. "E' proprio vero che più sono ricchi e più sono egoisti, e spesso anche maleducati." Dalle luci infatti era passato al clacson, suonato con insistenza; ma poi mi accorsi che stava cercando di attirare la mia attenzione anche con ampi gesti delle braccia.

Non conoscevo nessuno con un'automobile simile - voglio dire di quella categoria. Mi sforzai comunque di capire chi si stesse sbracciando in quel modo, che interpretavo comunque amichevole. Non fu facile attraverso il vetro scuro. Mi parve di riconoscere Michele. "Probabilmente mi sbaglio: non è lui", pensai tra me; ma ricambiai il saluto e proseguii, credendo che tutto sarebbe finito lì. In effetti smise di suonare e di agitarsi, ma poco più avanti parcheggiò, scese dalla macchina e, dopo averla chiusa ed allarmata col telecomando, mi venne incontro.

"Ciao, Filippo: come stai? E' tanto che non ci vediamo. Perché non vieni con me al bar che ti offro qualcosa?"

"Io veramente … tra mezz'ora devo passare a prendere la mia ragazza. Non ho molto tempo."

"Ci tengo davvero: permettimi di insistere. Dai, su, vieni: cinque minuti soltanto."

In effetti la mia titubanza nell'accettare l'invito non era dovuta al mio impegno, più che altro una scusa di cui potermi servire in qualunque momento. Il fatto era che Michele lo conoscevo poco, e questa sua strana, insolita confidenza mi insospettiva. Ci era capitato qualche volta di giocare a calcetto con lo stesso gruppo di amici, tutto qui. Sapevo che abitavamo nello stesso palazzo e quasi niente altro, se non che lui, quando io avevo in vista il traguardo della laurea, era già da anni impegnato nella difficile impresa di trovare una occupazione stabile e decente. Per cui, adesso, vederlo con quel macchinone mi faceva un certo effetto. Forse, pensai, voleva festeggiare il suo nuovo lavoro.

"Ho visto che ti sei fatto la macchina nuova", buttai lì.

"Hai notato, vero? Questo già sarebbe un buon motivo per offrirti da bere." Nel frattempo avevo implicitamente accettato il suo invito e lo avevo seguito nel bar di Giulio, dove prendemmo posto su un minuscolo tavolino.

“Un’altra giornata fortunata, vero Michele?”, gli chiese il cameriere arrivato per l'ordinazione. Lo disse con un tono che faceva pensare ad una scena già vista più volte ultimamente.

“Già. Un altro giorno: ormai potrei dire che è il periodo ad essere fortunato.”

Ordinammo due cappuccini.

"Devo dedurre che finalmente hai trovato un buon lavoro, o mi sbaglio?", gli chiesi.

"In un certo senso … direi proprio di no. Sai: spesso nella vita per fare soldi ci vuole un po' di fortuna, come diceva il mio povero babbo che proprio di fortuna non ne ha mai avuta. Te lo ricordi mio padre? Un signore bassino e grassoccio, coi baffi. Portava sempre una buffa scoppoletta marrone, alla siciliana, perché si vergognava molto della sua pelata. E' morto cinque anni fa: forse ce l'hai presente."

"Può essere … però di preciso in questo momento non saprei."

"Ci tenevo a dirti quello che sto per dirti, perché so già cosa stai pensando. Chissà come si è fatto tutti quei soldi: rubando, o spacciando … o chissà come. E invece è tutto molto semplice anche se, mi rendo conto, piuttosto incredibile. E' stato mio padre."

Fece una piccola pausa. Un'eredità, pensai; ma capii subito di essermi sbagliato.

"Proprio lui che quando se n’è andato non ci ha lasciato niente, per colpa del suo maledetto vizio del gioco. Una notte, ormai sarà un mese fa, mi compare in sogno. Non mi dice niente: solo mi mostra dei numeri. Un sogno che mi è rimasto molto impresso: di solito non sogno mai, o almeno non ricordo cosa sogno. Figuriamoci mio padre! Il giorno dopo ho giocato quei tre numeri al lotto, su tutte le ruote. Era quello che voleva che facessi, non avevo dubbi. Indovina un po’: ho azzeccato il terno secco. E da allora è così ad ogni estrazione: lui viene in sogno la notte prima e mi svela i numeri giusti. Io il giorno dopo li gioco e vinco, sempre sulla stessa ruota. ”

“Ma dai!”

“Lo so che è incredibile, ma è proprio così. Pensa che anche la polizia ha fatto delle indagini su questa mia fortuna sospetta. Ipotizzano connivenze, corruzione: ma non potranno mai trovare niente semplicemente perché non c’è niente, se non mio padre che viene a suggerirmi in sogno. E non potranno certo arrestarlo o interrogarlo, visto che è morto."

Per quanto dicesse, non riusciva minimamente ad attenuare la mia palese incredulità.

"Non posso darti torto se non mi vuoi credere, ma vedrai che cambierai idea, come già hanno fatto tutti i miei amici. Ti dimostrerò che ho ragione. Vediamoci qui sabato mattina alle dieci e ti dirò due dei tre numeri da giocare."

"Va bene", gli risposi: "così mi piace. E se farò ambo ti crederò pienamente." Gli strinsi la mano a suggellare questo accordo, in cui peraltro non avevo proprio nulla da perdere. "Ma dimmi un po': sabato potresti anche dirmeli tutti e tre i tuoi numeri: saresti più convincente."

"No, no: non vorrei che mio padre ci rimanesse male. Essere generosi questo sì - in fondo da vivo lo era anche lui per quanto ci riusciva - ma di più vorrebbe dire essere ingrati. E poi è già troppo così, non è proprio il caso di mettermi ancora più in vista. Mi sono accorto di essere sorvegliato non solo dalla polizia. Di sicuro mi pedinano quando vado alla ricevitoria - sempre una diversa, per non dare nell'occhio - ma non posso farci niente. D'altronde, sai quanti vorrebbero essere al mio posto!"

Più ripensavo a quell'incontro, e più la faccenda mi sembrava incredibile. Ne parlai anche a mia madre la quale, con mia sorpresa, ne era già informata. Un giorno aveva visto tutta quella gente al bar di Giulio … e poi glielo aveva confermato la portiera. Doveva esserne al corrente tutto il quartiere!

"Non lasciarti trascinare nel gioco. Ricordati la fine che ha fatto suo padre", mi raccomandò.

Io il lotto non sapevo quasi cosa fosse, eppure la faccenda mi incuriosiva. Il sabato successivo, a quell'appuntamento al bar, ci sarei andato di sicuro.

Vedevo il profilo di Michele lì seduto davanti a me, e lo chiamavo.

"Michele. Michele!"

Ma lui non si girava e non rispondeva. Sembrava guardare con molta attenzione qualcosa di fronte a lui. Allora guardai anch'io da quella parte. Niente.

"Michele!" Sembrava proprio non sentirmi. Ad un tratto si alzò, sempre più concentrato. Tornai a guardare di fronte a lui e stavolta vidi un signore basso, grassoccio, coi baffi e la scoppoletta in testa. Adesso me lo ricordavo bene suo padre: a ben pensarci l'avevo incontrato tante volte. Da un enorme mazzo di carte cominciò a sollevarne una, mostrandola. Quattordici. Poi un'altra: venticinque. Rimanevano sospese in aria, davanti a noi, mentre ne estraeva un'altra. Poi, con calma, un'altra ancora, stavolta a tre cifre: duecento e passa.

"Questo non può essere un numero del lotto. Non arrivano a novanta?", chiesi a Michele. Ma lui era sparito. Tornai a guardare le carte e suo padre, adesso rivolto verso di me.

"Questo numero è il più importante. Sono le ore che rimangono alla fine di tutto."

O almeno così mi pare che abbia detto, perché poi non ricordo niente altro. Mi sono svegliato sudato e agitato, preso da chissà quale paura. Poi ho passato tutta la notte a cercare di ricordare e ricostruire i dettagli del sogno; di memorizzare i numeri; di capire cosa mi avesse detto esattamente il padre di Michele - l'unica immagine confermata da ricordi della vita reale, insieme a suo figlio, e perciò rimasta veramente nitida dal sogno.

Ma soprattutto a meditare su che senso avesse tutto ciò. La fine di cosa? Di chi? Avevo avuto l'impressione che l'ultimo numero fosse destinato solo a me e non, come gli altri, a Michele. Era vero? A quanti giorni corrispondevano le duecento e passa ore?

Così non aspettai sabato per cercare Michele. La mattina dopo, mercoledì, avvisai l'ufficio che avrei tardato e mi recai al solito bar, sicuro di trovarci, se non lui, almeno sue notizie. Mentre chiedevo a Giulio ("A quest'ora lo trovi sicuramente nella sala flipper", mi rispose), notai dietro la cassa una lavagnetta con sopra scritto "I numeri fortunati di oggi sono: 25 e 72".

"E' stato lui a darti questi numeri?", gli chiesi.

"Naturalmente. E puoi giurarci che li giocherò. Ultimamente non ne sbaglia uno."

Trovai effettivamente Michele impegnato in una partita a flipper dal punteggio esorbitante. "Ciao. Volevo parlarti", gli dissi.

"Aspetta due minuti che finisco la partita. Sto per battere il record."

Ne aspettai almeno dieci di minuti, dopodiché, seccato, gli dissi:

"Volevo solo farti sapere che stasera, oltre ai tuoi due numeri fortunati, giocherò il quattordici."

A queste parole, Michele rimase come di sasso per qualche istante, tanto che la pallina scivolò nella buca. Poco male, pensai, tanto aveva già battuto il suo record.

"Bravo", mi disse appena si fu ripreso. "Potrebbe essere il numero giusto. Hai una probabilità su novanta di indovinare."

"Una su ottantotto", precisai. "Ma anch'io mi sento sicuro. Me l'ha suggerito un uccellino."

"Bene. Sono contento per te."

"Sai, volevo anche dirti che ti credo già da ora, e che …"

In quel momento mi sentii afferrare sotto il collo da una mano enorme. In effetti pochi istanti prima avevo visto entrare nella sala un omone gigantesco, ma non gli avevo dato peso.

"Problemi? Quest'uomo ti sta dando fastidio?" chiese quella montagna umana a Michele senza mollare la presa.

"No, no. E' tutto a posto", rispose Michele. Al che la presa si allentò e tornai a respirare liberamente. "L'unica cosa che non va è che oggi è mercoledì, e avresti dovuto venire alle sette. Mercoledì e sabato: ti sei già dimenticato?"

Quello, imbarazzato, abbozzò qualche scusa.

"Come vedi", riprese Michele rivolto a me "per sentirmi più sicuro ho assunto una guardia del corpo. Me la posso permettere, ormai. Ma soprattutto, la novità più importante è che ho firmato un contratto con un giornale specializzato, Amico Lotto. Forse lo conosci: si trova gratis in tutte le ricevitorie. Da sabato prossimo non avrò più bisogno di giocare per avere i soldi della vincita. Me li daranno loro in cambio dell'esclusiva. Io devo solo comunicare i miei numeri a questa loro persona, e impegnarmi a non dirli a nessun altro. Il contratto ha durata mensile, rinnovabile di volta in volta: quindi se anche i miei numeri non fossero vincenti, loro mi pagherebbero ugualmente fino alla fine del mese. Cosa ne dici: ho fatto bene?"

"Penso proprio di sì."

"Sono contento che la pensi così. E sono contento che tu sia venuto oggi: perché sabato, per via di questo contratto, non avrei potuto mantenere la mia promessa. Non credo proprio che vogliano sapere i miei numeri per pubblicarli."

Era chiaramente dispiaciuto di non poter più aiutare i suoi amici con la sua fortuna, ma capivo che aveva fatto la cosa migliore. Provavo per lui, in quel momento, solo grande simpatia e stima, e per trovare le parole più adatte e carine per dirglielo stavo rovistando mentalmente tra le mie tante elucubrazioni di quella notte.

"Cosa mi stavi dicendo prima che il mio amico ti interrompesse bruscamente?", continuò Michele.

"Che tuo padre sarebbe fiero di te, e che anche tu dovresti esserlo di lui. Ti è ancora vicino, e lo è sempre stato, per quanti errori possa aver commesso."

A queste parole rimase molto pensieroso. "Hai ragione, forse avrei dovuto apprezzarlo di più quando era in vita." Aveva gli occhi lucidi, e non riuscii a trattenermi dall'abbracciarlo. Anche perché avevo la strana sensazione che avrei potuto non rivederlo più.