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"Dove stiamo andando?", mi chiese Chiara.
"Verso le colline. Hai mai sentito parlare del paese di S. Vittorino?"
"Dove abitavi tu da ragazzo, se non sbaglio."
"Esatto. Adesso che tutto quanto ho costruito con tua madre viene messo in discussione, ho sentito l'esigenza di un ritorno al passato, a quello che per me da giovane era importante. A S. Vittorino una volta c'erano una casa di riposo ed un gruppo di volontari che almeno due volte a settimana si organizzava per andare a trovare quei vecchietti, a portar loro un po' di compagnia e di affetto. Fortunati loro, ma soprattutto fortunati noi, che avevamo modo di vivere e conoscere un po' l'amore, il lato migliore di noi stessi. Quei volontari e quei vecchietti ci sono ancora, anche se ovviamente sono altre persone. E l'esigenza di riscoprire il lato migliore di me stesso è ritornata. Potrebbe essere una bella esperienza anche per te, vedrai. Conoscerai gente simpatica, e in gamba."
Chiara rimase impassibile. Trovavo in lei qualcosa di strano, senza riuscire a capire esattamente cosa.
"E poi c'è un altro motivo per cui vado a S. Vittorino, sempre legato alla mia adolescenza. Ma te ne parlerò al ritorno, così avrai modo di capirlo meglio."
Pochi giorni che non vedevo mia figlia, e già mi sembrava cambiata. Più adulta, direi. Sicuramente era lei a risentire di più della mia lontananza da casa.
"E tu come hai passato la Vigilia? Come ti trovi con quell'amico di tua madre?", le chiesi.
"Niente di speciale. Ha un sacco di soldi, e mi riempie di regali. Credo che se dicessi che voglio il motorino lo troverei pronto in garage il giorno dopo. Mi dà un po' fastidio. Mi dà come l'impressione che cerchi sempre di comprare il mio favore."
"Non devi biasimarlo troppo. Ognuno usa i mezzi che ha, e lui ha quelli. E poi dietro questo atteggiamento c'è tua mamma. Non è che voglia parlar male di lei, intendiamoci: ma la conosco bene. Io non credo che lui abbia conquistato tua mamma comprandola, ma che sia lei ad essersi venduta. Sono convinto che se avessi avuto uno stipendio doppio di quello che ho, non mi avrebbe lasciato. Ma purtroppo sono quello che sono."
In fondo, pensai tra me, questa situazione per me un domani avrebbe potuto avere i suoi vantaggi: magari non mi sarei dovuto svenare per gli alimenti, come succede a tanti.
"Si, anch'io ho avuto l'impressione che ci fosse mamma dietro ad alcuni regali. Vuoi una gomma da masticare?", mi chiese.
"Sai che detesto le gomme da masticare. E soprattutto detesto vedere te che le mastichi in continuazione", risposi così d'istinto.
Lei rimise dentro le gomme, anche la sua, senza fiatare. Si, mia figlia era davvero cambiata. Forse avevo dato la risposta sbagliata: magari un domani Chiara per poter masticare liberamente non avrebbe più voluto vedermi. Però rimasi sulla mia posizione, e non dissi nulla.
Arrivammo alla salita di S. Vittorino e trovai parcheggio. Salimmo a piedi fino alla piazza principale, dove si concentravano gli edifici più importanti del paese, tra cui la chiesa principale.
"In genere vado coi ragazzi alla messa delle undici, ma oggi ho fatto molto tardi. E' inutile entrare a quest'ora."
Vicino alla chiesa un gruppo di ragazzi chiacchierava attorno a una chitarra.
"Vieni, ti presento alcuni dei volontari. Loro sono quelli che non credono, o meglio che credono a qualcos'altro."
Chiara fu accolta con simpatia. A prima vista mi parve che si trovasse a suo agio, e che riscuotesse un certo successo. Poi la gente cominciò ad uscire dalla chiesa, ed il nostro gruppo si accrebbe di nuovi elementi, alcuni dei quali vestiti nel modo tipico degli scout. Qualche saluto, poche chiacchiere ed in breve tempo furono composti gli equipaggi delle poche vetture e moto disponibili. Vista l'assenza dei mezzi pubblici per il Natale, qualche macchina avrebbe fatto due volte il percorso fino alla vicina casa di cura per poter accompagnare tutti.
Al nostro arrivo si può dire metaforicamente, come di consueto e per quanto l'età e le loro capacità fisiche lo consentissero, che il personale ed i malati ci corsero incontro a braccia aperte.
La domenica in genere è giorno di visite di amici e parenti, e il nostro arrivo garantiva un minimo di affetto ed attenzione anche agli ospiti meno fortunati, che di fatto sembravano non avere nessuno, fuori della casa di cura, che si interessasse a loro. Inoltre il sostegno puntuale e costante dei volontari consentiva alla direttrice un risparmio economico non banale, garantendo al personale effettivo il rispetto del loro sacro riposo settimanale senza troppi costi aggiuntivi.
Ciononostante mi presi anche stavolta il giusto rimbrotto dalla direttrice:
"Ti sei ricordato della dichiarazione dell'associazione? O vuoi che se arriva la finanza ci faccia chiudere perché trova dei lavoratori in nero?"
Comprendevo perfettamente le sue esigenze, ma con la mia situazione ed i miei problemi mi era completamente uscito di mente.
"Non solo ho dimenticato, ma se verrà la finanza ti accuseranno anche di sfruttamento del lavoro minorile. Ho portato mia figlia. Però adesso ne parlo col capo scout, che è più giovane e giudizioso di me e di certo non si dimenticherà. Dammi giusto il tempo di salutare Lara."
Qualcuno scherzando diceva che Lara era la mia ragazza. Lo era stata, in gioventù; e in particolare adesso, se qualcuno mi avesse chiesto chi ritenessi la mia anima gemella, avrei detto lei. Il primo amore, si sa, non si scorda mai, anche se una brutta malattia te lo porta sulla sedia a rotelle sin da giovane. Non mi sentivo un vigliacco. Non ero stato io a lasciarla, ma la sua famiglia mi ci aveva costretto, per il mio bene. E ora, guardando mia figlia quasi adulta, capivo quanto avessero avuto ragione.
Andai dentro a prendere Lara, appisolata o ipnotizzata insieme ad altre in salone davanti al televisore acceso, e la portai fuori in giardino, al sole vicino ai gelsomini, che era il posto che preferiva.
"Ciao Lara", le dissi. "Ti ricordi di me?"
"Vagamente", mi rispose guardandomi con quei suoi occhioni buoni e sorridenti. Le avevo posto la stessa domanda la settimana prima, e lei candidamente aveva detto no. Ma non me ne ero dispiaciuto.
"Ti tengo un po' compagnia finché non arrivano tua sorella e i tuoi nipoti. E' questione di poco, presto saranno qui."
Cominciai a parlarle, ricordando alcuni episodi ed alcune gite che avevamo vissuto insieme da giovani. Chissà che parlandone non le tornasse in mente qualcosa. Avrei dovuto cercare a casa qualche foto di quei tempi, di noi due insieme; ma trovarle adesso, con la mia attuale situazione familiare, mi sembrava una cosa assai improbabile.
I ragazzi, come al solito, si erano divisi in tre gruppi: uno in cucina ad aiutare per il pranzo, e gli altri due, vista la bella giornata, in giardino, alcuni a sistemare le piante e tutti gli altri ad intrattenere gli ospiti (quasi tutte donne) parlando e a volte suonando. Chiara durante la giornata ebbe modo di partecipare a ciascuno di questi gruppi, cominciando da quello del pranzo: strano a dirsi, per lei che a casa sua non si dedicava mai alla cucina se non per lo strettissimo necessario.
Verso mezzogiorno arrivò la sorella di Lara con la famiglia. Il suo affetto, la sua cordialità e la sua simpatia si erano mantenuti immutati rispetto a quando era ragazza, prima della comparsa della malattia di Lara, e si erano trasmessi anche ai suoi due figli, ormai anch'essi maggiorenni. Ed anche con suo marito, che avevo conosciuto prima del loro fidanzamento, ero in ottimi rapporti. Perciò il loro arrivo fu una gran gioia anche per me, oltre che per Lara.
"Ragazzi, ho una sorpresa per voi. Voglio presentarvi mia figlia, Chiara, che oggi ha deciso di passare il Natale con me."
Andai a prelevarla dalla cucina per le presentazioni. Che strano effetto!
Che strani scherzi può fare la vita! Se vent'anni prima mi avessero predetto quanto stava succedendo, non ci avrei creduto per nessun motivo.
Non nascondo il fatto che sia in quella occasione che altre volte durante la giornata feci un grandissimo sforzo per non scoppiare a piangere davanti a tutti. Più di una volta con una scusa mi appartai per sfogare i miei sentimenti in un angolo del giardino o in bagno, lasciando che le lacrime sgorgassero in silenzio così come venivano, cercando solo di fare in modo che i miei singhiozzi e le mie lacrime non attirassero l'attenzione di nessuno.
Non volevo che mia figlia vedesse piangere suo padre così, come un bambino, e al tempo stesso avrei voluto che lei capisse. Capisse cosa era stata la mia vita: la mia gioia ed il mio dolore da giovane; la mia tristezza per l'attuale situazione sia mia che di Lara. Speravo che intuisse, magari solo lontanamente, quello che è l'amore con le sue diverse facce; la sua forza che ti riempie la vita e ti fa capire quello che puoi e devi fare, contro tutto e contro tutti, e con cui liberi la tua esistenza dalle banalità. Magari qualcosa quel giorno Chiara l'avrebbe intuito: ma mi sembrava così piccola!
Nel tardo pomeriggio, quando io e Chiara ci accomiatammo, eravamo stanchissimi tutti e due, cotti dal sole di una giornata trascorsa quasi completamente all'aperto, e provati dalle emozioni: soprattutto lei, che di certo aveva sperimentato tante sensazioni nuove in un giorno solo.
Avrei voluto conoscerle, le sue emozioni, sentirmi raccontare da lei le nuove esperienze che aveva vissuto: il pranzo "partecipato", in cui spontaneamente ciascuno faceva la sua parte secondo le sue attitudini e capacità, chi in cucina chi a preparare e sparecchiare la tavola e chi aiutando i vecchietti; la gara di allegria e improvvisazione, in cui ogni mezzo era valido per provocare il sorriso e la serenità natalizia negli ospiti ricoverati; le prime esperienze legate alla cura di un giardino e della preparazione dal nulla di un pranzo; tutta quella strana gente solo apparentemente senza pensieri al mondo, tra cui, guarda caso, c'era anche suo papà.
E invece, data la nostra stanchezza, il viaggio di ritorno passò senza che ci dicessimo una sola parola. Un silenzio che non volli rompere neanche per darle quelle spiegazioni che le avevo promesso, e che riguardavano la vecchia storia tra me e Lara. Le dissi soltanto, una volta fermi sotto casa sua:
"Spero che abbia passato una bella giornata".
Lei annuì, ma esitò ad uscire.
"Papà, ti devo confessare una cosa. E' stata anche mamma a spingermi a venire con te oggi, perché pensava che tu avessi un'altra donna e voleva saperlo".
Ecco, lo squallore del mondo quotidiano tornava ad affacciarsi nella mia vita, cercando di rovinarmi il Natale, pensai.
"E tu cosa le dirai?"
"Non lo so esattamente, ci devo pensare. Di certo le dirò che è proprio una stupida." Mi abbracciò a lungo, forte: poi, prima di uscire, cercò di cancellare le lacrime dal suo volto. Figlia mia, resterai sempre la mia bambina, pensai tra me, anche se stai davvero diventando grande.
BUON NATALE, BERNARD!
(2014)
Quasi per caso, la mattina di Natale dovetti passare nel mio ufficio a prendere un pacchetto regalo che avevo già preparato e dimenticato sulla mia scrivania. La sede della mia azienda, e tutto l'edificio che la ospitava, era insolitamente deserta sin dal vasto atrio; non mi ricordavo di averla mai vista così vuota. C'era solo l'addetto alla sorveglianza, che ben conoscevo, alla sua solita postazione.
“Buongiorno signor Pinkle. Come mai da queste parti?”, mi fece lui senza alzare gli occhi dalla sua rivista. Questo suo strano modo di fare, parlando senza guardare negli occhi ma al tempo stesso riuscendo a far capire che non gli era sfuggito nessun dettaglio di quanto avveniva nei paraggi, era il suo modo unico e inconfondibile per infondere sicurezza e tranquillità a chi passava di lì, o perlomeno a me.
“Ciao Mike. Ho dimenticato su una cosa. Tanti auguri di nuovo”, lo salutai.
“Guardi che c'è chi sta ancora dormendo. Credo che sia il caso di non svegliarlo. Non so se è d'accordo con me.”
Trovai queste parole, che mi raggiunsero mentre arrivavo all'ascensore, difficili da capire; ma poi guardandomi in giro ne compresi il vero significato. Seminascosto da un pilastro, la testa - capelli barba e baffi lunghi incolti e bianco grigiastri - poggiata su un sacco di iuta a mo' di cuscino, un signore con abito e cappello rosso bordato di bianco dormiva profondamente.
Un Babbo Natale addormentato. Non una bella immagine per la mia azienda, proprio nel giorno in cui egli avrebbe dovuto essere impegnato al massimo, a portar pacchi per il mondo. Ma guardandolo meglio mi trovai d'accordo con Mike: meglio non svegliarlo. Dormiva così bene. E poi io quel Babbo Natale lo conoscevo bene.
Sentivo sempre molto lo spirito del Natale, e quell'anno, seguendo i suggerimenti di un mio caro collaboratore che aveva un bimbo piccolo, avevo voluto introdurre degli ulteriori segni natalizi nel mio reparto.
Ecco quindi le novità che avevo provato ad introdurre. I regali per i bambini dei dipendenti sarebbero stati consegnati, la vigilia di Natale, non ai loro genitori ma direttamente ai bimbi da Babbo Natale in persona, durante un'apposita festicciola natalizia nei nostri uffici. Insieme ai regalini dell'azienda (che, ricordo, ha anche dei giocattoli nel suo catalogo), potevano essere consegnati anche pacchi e pacchetti affidatici dai genitori stessi. E poi la festicciola Natalizia sarebbe stata allietata non solo da addobbi, dolcetti e panettoni, ma anche da un gruppo di animatori vestiti da gnomi che avrebbero intrattenuto i piccini con spettacolini di magia.
Era riuscito tutto alla perfezione, mi ritrovai a pensare tra me e me al termine della festa, mentre con gli ultimi collaboratori rimasti riordinavamo la sala riunioni e raccoglievamo, in contenitori distinti, gli avanzi e la spazzatura. Essendomi riservato il ruolo di Babbo Natale, mi ero anche divertito molto nel consegnare i regali ai piccoli. Eppure mi sembrava che mancasse ancora qualcosa al mio Natale, meditavo mentre mi liberavo del mio costume bianco e rosso e di barba e capelli finti.
“Ci sono”, pensai. Mi disturbava il pensiero di essere tuttora in non buoni rapporti col signor Brown, il responsabile dell'ufficio vendite. Avevamo avuto un'accesa discussione di lavoro ormai più di un anno fa, e da allora lo strappo non era stato ancora ricucito. Per tanto tempo ci eravamo ignorati, boicottati, fatto una reciproca guerra silenziosa, forse per uno stupido orgoglio o un banale malinteso. Ora, sotto Natale, questa situazione mi sembrava assurda e insostenibile. Una vecchia macchia da dover finalmente lavare.
Presi in mano tutto il mio coraggio e la mia umiltà e mi decisi a contattarlo, via chat.
“Che ne diresti finalmente di fare pace e scambiarci un augurio sincero di Buone feste, qui da me, davanti ad una fetta di pandoro?”
“Grazie, buona idea. Però adesso ho da fare col signor Pepper. Magari più tardi.”
La lista dei colleghi ancora al computer era ormai ridotta al minimo, quasi tutti erano già giustamente andati a casa. L'iconcina del signor Brown da verde divenne rossa, “in riunione”. Anche il signor Pepper lavorava ancora.
“Aspetterò ancora un po'”, pensai.
“Cosa dobbiamo farne di questi pandori e panettoni avanzati?”, mi chiese intanto la signora Lisa. In effetti, eravamo stati molto abbondanti ed era avanzata parecchia roba.
“Uno lo prenda e lo porti a casa lei. Anche gli altri li dia ai colleghi. Anzi, no. Me ne lasci tre o quattro. Uno per il signor Brown. E un altro per ...”
Ecco un'altra cosa che mancava al mio Natale, pensai. Lo chiamavamo tutti “Bernard le clochard”, per la sua inflessione che denotava origini francofone. Quando non pioveva era solito passare la notte in quell'angolino del marciapiede con le grate, da cui evidentemente usciva aria calda o tiepida. Disgraziatamente era una posizione che qualcuno con una certa influenza giudicava poco dignitosa e poco consona al prestigio dell'edificio: era troppo in vista e troppo vicino al bancomat ed al distributore automatico di snack. Per questo ogni mattina, con poche eccezioni, l'addetto alla security che montava col turno delle sette lo svegliava e lo obbligava a spostarsi con tutta la sua roba almeno venti metri più in là, al di fuori della sua competenza di sorveglianza.
“Prima di andartene ti dispiacerebbe portarmi qui Bernard le clochard? Vorrei offrire anche a lui una fetta di panettone?”, chiesi a un mio collaboratore di fiducia.
“Bernard le clochard? Veramente ho i minuti contati per prendere il treno, e proprio oggi non vorrei fare tardi, con mezzo parentado a casa che mi aspetta per la cena. Mi dispiace, capo, magari un'altra volta”.
“E lei, signora Lisa? Lo farei io, ma sto aspettando che si liberi e arrivi il signor Brown.”
“Bernard? Quel coso fetido e puzzolente? Ma neanche per sogno. Neppure se mi dessero un aumento di stipendio”, mi rispose lei con la sua solita franchezza.
Constatai che dopo la mia richiesta si era fatto il vuoto intono a me, tutti gli altri all'improvviso si erano eclissati o, se non avevano potuto farlo, erano impegnatissimi in qualcos'altro.
“Ho capito. E' un incarico troppo difficile e di troppa responsabilità, che dovrò portare a termine personalmente. Ci sarà pure un motivo se qui il capo sono io”, dissi ad alta voce un po' stizzito per il comportamento dei miei collaboratori. “Spero che almeno sarà in grado di avvisarmi telefonicamente se il signor Brown arriva!”, dissi rivolgendomi alla signora Lisa.
“Naturalmente, ci può contare. Almeno fin quando non vado via”, mi rispose.
Così scesi io a cercare Bernard. Insieme a un po' di dolciumi avevo infilato, nel sacco di iuta ormai vuoto dei regali, il costume di Babbo Natale, con l'idea di farlo lavare nella vicina lavanderia automatica. Ma quando trovai Bernard, e dopo avergli offerto qualcosa da mangiare prontamente accettato, cambiai i miei propositi riguardo alla lavanderia. In effetti Bernard puzzava da morire. “Ti regalo un panettone intero se vieni con me alla lavanderia. I tuoi abiti meritano finalmente una lavata.”
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, per me che non conosco il francese; ma poi, facendogli vedere un panettone nel sacco e quasi sollevandolo di peso per farlo alzare, Bernard acconsentì a seguirmi.
Nella lavanderia quasi deserta, benché impregnata di odore di detersivo, i pochi avventori presenti si accorsero del nostro arrivo anche senza vederci, solo annusando l'aria. Scelsi una lavatrice il più possibile lontano da tutti, feci togliere a Bernard i suoi vestiti e lo rivestii provvisoriamente col mio costume da Babbo Natale. Avendo dei dubbi su come lavare alcuni suoi indumenti, mi rivolsi al personale addetto - nell'occasione una ragazza giovane vestita anche lei da Babbo Natale. Lei fu molto professionale, mi diede tutte le indicazioni che mi servivano e mi aiutò anche a fare quello che dovevo, evitando di guardare nella direzione di Bernard e, apparentemente, trattenendo il fiato per tutto il tempo. Partito il lavaggio, e prima di tornare al suo posto, mi diede anche un'altra indicazione utile.
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