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Racconti Buonisti
Racconti Buonisti
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Racconti Buonisti

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Racconti Buonisti
Marco Fogliani

Una quindicina di racconti di vario genere, ma tutti assolutamente e rigorosamente con lieto fine garantito, anche se a volte improbabile.

L'elenco dei racconti inclusi nella raccolta è il seguente:

ALICE, QUELLA PICCOLA FIGLIA DI ...

DIAVOLI E SANTE

E' ARRIVATA LUDMILLA

IL CAMPIONE E LO STUDENTE

IL GRANDE PARRUCCHIERE

IL REATO

L'EREDITA' AUSTRALIANA

L'ONDA MALANDRINA

L’AMORE AI TEMPI DI MATUSALEMME

LA CASCINA IN MONTAGNA

LA STORIA DI JASMIN

LA VITA E' UN GIOCO, PAPA'

LO SCOOP DELL'ANNO

PER SEMPRE

TOMMASO ASPIRANTE CUOCO

Si avverte che, dato il carattere tematico della raccolta, alcuni di questi racconti potrebbero essere presenti anche in altre raccolte tematiche dello stesso autore,

MARCO FOGLIANI

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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Indice dei contenuti

IL GRANDE PARRUCCHIERE (#u5f1ef6ad-167a-52b1-8d3c-1c75e11bd6ba)

IL CAMPIONE E LO STUDENTE (#u5582883b-17ca-5f90-993b-987ebdc11feb)

TOMMASO ASPIRANTE CUOCO (#u4e745363-d846-5116-a392-b342f6dbddfc)

L'EREDITA' AUSTRALIANA (#ucd52eba9-6a4a-5484-bbf3-0c37b22ca8d4)

IL REATO (#litres_trial_promo)

LA CASCINA IN MONTAGNA (#litres_trial_promo)

ALICE, QUELLA PICCOLA FIGLIA DI ... (#litres_trial_promo)

L'ONDA MALANDRINA (#litres_trial_promo)

PER SEMPRE (#litres_trial_promo)

LO SCOOP DELL'ANNO (#litres_trial_promo)

DIAVOLI E SANTE (#litres_trial_promo)

LA STORIA DI JASMIN (#litres_trial_promo)

LA VITA E' UN GIOCO, PAPA' (#litres_trial_promo)

E' ARRIVATA LUDMILLA (#litres_trial_promo)

L'AMORE AI TEMPI DI MATUSALEMME (#litres_trial_promo)

IL GRANDE PARRUCCHIERE

A volte mi succede, per fortuna non troppo spesso, di guardarmi allo specchio e di pensare: "Basta! Questa faccia mi ha stufato."

Non è esattamente che voglia farmi una plastica, anche se ogni tanto la tentazione ci sarebbe, così come quella di cambiare lavoro, casa, marito e figli: insomma, di cambiare vita. Mi accontento di cambiare taglio e colore. E allora esco e vado da Gino, il mio parrucchiere di fiducia il quale, per avere una personalità decisamente più femminile che maschile, mi comprende pienamente.

"Vediamo che cosa mi consiglia questa volta", penso quando vado da lui. In genere mi squadra con espressione dubbiosa, mi guarda prima da vicino, poi si allontana, mi fa voltare e mi esamina da dietro. Poi torna di fronte a me e, come se gli si fosse accesa una lampadina, mi annuncia, con mia soddisfazione: "Non sei affatto male neanche così: però so io cosa ti ci vorrebbe." Prende un suo catalogo e senza esitazione mi fa vedere ciò che quel giorno ha in mente per me - ignorando completamente, come dice mio marito, il fatto che sia stato egli stesso, la volta precedente, a consigliarmi il mio look attuale.

Io non ho mai niente da obiettare. Mi fido completamente di lui e mi affido alle sue mani (o, se ha molte clienti, a quelle della sua assistente: ma l'idea è sempre sua).

Quella volta invece no. Entrai e Gino mi venne incontro con un sorriso quasi radioso. "Signora Teresa, che fortuna che sei venuta! Pensa che volevo chiamarti. Oggi, e non so fino a quando, ho il grande onore e privilegio di avere nella mia bottega Reneè Flambow: un mito, un maestro per noi parrucchieri; un vero artista. Vedrai se non ho ragione." E ciò detto mi fece entrare nel salottino di destra, dove un bizzarro signore, che dalla lingua e dall'aspetto giudicai francese, si dedicò con passione ed energia ai miei capelli.

Poco dopo, la mia testa bagnata passò dalle mani dell'artista al casco; e riecco di nuovo Gino, venuto ad accompagnare una nuova cliente alla poltrona accanto alla mia. La conoscevo, e perciò ci salutammo. Era Enrica, una delle mie vicine di casa: una studentessa universitaria che in qualche occasione aveva anche fatto da baby-sitter ai miei bambini.

Attratta dalla foto in copertina della Silvestrini, giovane e avvenente ballerina ormai lanciata con successo nel mondo del cinema, presi dal portariviste l'ultimo numero della mia rivista di gossip preferita, e cominciai a sfogliarlo.

"Ecco, prima o poi dovrei farmi i capelli come lei" ragionai tra me, probabilmente ad alta voce. "Mi piace moltissimo. E' proprio una donna affascinante, dolce. Certo non sono solo i capelli che fanno la differenza: anche parecchi anni di meno". Mi girai verso Enrica, per mostrarle le foto e condividere con lei le mie riflessioni, ma ella in quel momento - opera d'arte vivente nelle mani del grande artista - non poteva darmi ascolto.

Feci in tempo a leggere da " Lo Specchio Magico" tutto quanto c'era da leggere sulla Silvestrini prima che il maestro, infilata la testa bagnata di Enrica sotto il casco, tornasse a dedicarsi a me.

"Et voilat, madame", mi disse poco dopo scoprendo il mio nuovo look come fosse un capolavoro. E forse lo era davvero. Mi lasciò senza parole. Era come se quell'uomo - o forse quel casco - mi avesse letto nel pensiero. Ero diventata uguale alla Silvestrini. Più mi fissavo allo specchio e più trovavo impressionante la mia somiglianza con lei: stessa tinta, stesso taglio. Non fosse stato per gli occhiali, anche gli occhi e l'espressione del viso mi sembrava che adesso somigliassero ai suoi. Mi sentivo un'altra, ringiovanita; e, difficile a crederci, più felice dentro, quasi fossi cambiata anche all'interno.

"Ma hai visto?", dissi rivolta ad Enrica, continuando a fissare ora il mio volto allo specchio, ora la rivista nelle mie mani. "Mi ha fatto tale e quale alla Silvestrini. E' impressionante!"

Enrica, liberata anch'essa dal casco appena dopo di me, mi guardò anch'essa con grande stupore. Ma lo stupore, mio e suo, fu ancora più grande nel vedere che lei adesso somigliava come una goccia d'acqua a me; a me com'ero qualche giorno prima, voglio dire. Eccetto per un piccolo dettaglio.

"Prova un attimo a metterti questi", le dissi porgendole i miei occhiali. Lei li infilò e li tolse subito. "Mi danno fastidio alla vista", disse, "e poi mi invecchiano ancora di più".

"Davvero trovi che questi occhiali mi invecchino?", le chiesi d'istinto, interessata. Lei ebbe una brutta reazione, quasi isterica: "Ho detto che invecchiano me, non che invecchiano te", mi rispose, alzando la voce e come se stesse per scoppiare in lacrime. Non lo fece forse solo perché in quel momento entrò di nuovo Gino, contento e gioviale come suo solito.

"E allora, che ve ne pare del grande maestro?"

Reneè nel frattempo era uscito, senza quasi che ce ne accorgessimo. "A te ha cambiato completamente aspetto", disse rivolgendosi a me, quasi estasiato. "Invece con te, Teresa, non ha osato troppo … o forse non ha ancora finito! Comunque dimenticavo di darvi questa speciale lacca, di sua invenzione. In omaggio, naturalmente. Va applicata tutte le mattine altrimenti, tempo qualche giorno, un po' alla volta i vostri capelli torneranno come prima. E sarebbe un vero peccato!"

Dopo aver pagato, io ed Enrica uscimmo insieme dal negozio.

"Stai tornando a casa? Ti va se facciamo la strada insieme?", le proposi, vedendola chiaramente triste e demoralizzata. Lei annuì.

Ripensandoci, avrei fatto meglio a consigliarle di chiedere un nuovo intervento "riparatore" ai suoi capelli, anziché cercare di consolarla e di risollevarla.

"Guarda che la pettinatura che ti ha fatto non è niente male", le dissi invece. "Pratica, piacevole, forse la migliore che mi abbia proposto Gino. Comunque, se non ti ci trovassi a tuo agio, basta non usare la lacca e vedrai che tra qualche giorno te la sarai dimenticata, sarai tornata quella di sempre." Cercavo di sollevarle il morale (il mio era molto alto, forse perché inconsciamente pensavo che lei avesse voluto prendermi a modello), senza rendermi conto che di lì a poco avrei rischiato io di avere il morale a terra.

Arrivati al nostro pianerottolo, infatti, suonai alla porta e mio marito, che mi venne ad aprire, non mi riconobbe. Ovviamente scambiò Enrica per me.

"Cos'è, uno scherzo?", disse rivolto a lei che si era avvicinata all'appartamento di fianco. "Guarda che casa tua è questa. … e forse lei ha i tuoi occhiali", continuò indicando me.

Afferrai io per prima l'equivoco. Mi tolsi gli occhiali, esibii a mio marito uno sciocco risolino adatto alla circostanza e cominciai:

"Tua moglie è proprio una gran mattacchiona, ed io sono molto contenta di essere sua amica. Vieni, Teresa, riprenditi pure i tuoi occhiali: lo dicevo io che non ci sarebbe cascato." Feci un altro risolino da ochetta. "Teresa. Teresa, dico a te!"

Enrica cadde dalle nuvole.

"Eh? Ah, si. Casa mia è quella e quelli sono i miei occhiali. E lei è la mia amica … Silvana. Non so se vi siete mai conosciuti."

Con mia sorpresa, sembrava che anche lei avesse capito e stesse al gioco.

"Oh, no, non credo proprio. Uno così me lo sarei ricordato!" risposi proseguendo nella mia parte da svampita. Non c'è che dire, pensai: recitare mi veniva piuttosto naturale.

"Anch'io me la ricorderei", rispose mio marito, fissandomi e squadrandomi come forse non aveva mai fatto. "Dimmi, cara: la tua amica si ferma a cena da noi?"

"Mah, non saprei. Certo, se vuole …"

"Siete molto gentili, io vi ringrazio molto … ma proprio stasera non mi posso fermare. Sapete, ho già preso un impegno …"

Non so dirvi esattamente cosa mi avesse spinto a declinare un invito a cena a casa mia da parte di mio marito; e tuttora non me lo riesco a spiegare completamente. Non il modo strano e interessato in cui mi guardava Piero, pensando in realtà di guardare un'estranea; e neppure l'idea che ai suoi occhi, di fianco ad una donna col fisico da attrice ballerina e con la mia testa, lui potesse credere che sua moglie non fosse all'altezza. Del resto, ero sicura che Enrica non sarebbe stata alla mia altezza, povera ragazza; e forse per questo non avevo timore a lasciarla a casa da sola con mio marito. Non erano neanche esattamente da soli, poi: c'erano anche i bambini. Ma la verità era un'altra: e cioè che quella sera avevo una strana ed incontenibile voglia di uscire e di andare a ballare e divertirmi per locali, come mai prima di allora. Certo, avrei dovuto cambiarmi d'abito. Mi serviva almeno un punto d'appoggio. Mi venne subito in mente che per il momento ad Enrica la sua casa - o meglio la sua camera, dato che abitava insieme ad un'altra ragazza - non le serviva di certo.

"Vi ringrazio tanto, ma devo proprio andare. E' stato un piacere fare la vostra conoscenza. A proposito: e i vostri bambini? Teresa me ne ha parlato tanto! Mi piacerebbe conoscerli."

Non sapevo quanto mi sarei assentata, e i miei bambini già mi mancavano: volevo salutarli, anche se sapevo che non mi avrebbero riconosciuta.

"Naturalmente! Li vado a chiamare", mi rispose Piero.

Approfittai della sua assenza per tirar fuori dalla mia borsa le chiavi di casa e, ragionandoci su, anche il telefonino: li diedi ad Enrica, che mi sembrava ancora nel pallone, chiedendone ed avendone in cambio i suoi. La liberai anche dei miei occhiali, che forse ci invecchiavano ma che mi mettevano molto a mio agio.

"Che tesorini meravigliosi!" Abbracciai e baciai con sincero affetto quelle pesti dei miei figli, che non capivano chi fossi.

"Beh, adesso devo proprio andare", dissi infine.

"Ma sei proprio sicura di non volerti fermare?", mi chiese ancora Enrica con espressione quasi supplichevole.

"Sì", le risposi. "Ma stai tranquilla: qualunque cosa ti servisse da me, ricordati che hai il mio numero di telefonino nella rubrica del tuo cellulare, e che comunque sai dove abito, giusto?"

"Giusto", mi rispose lei, ancora poco convinta. "Ma tu controlla di avere la batteria del telefono carica."

Ci baciammo come due amiche, una delle quali stava affidando all'altra la propria famiglia per non si sa bene quanto né per quale motivo, e augurai loro buona serata.

Quando chiusero la porta di casa, mi trovai sul pianerottolo da sola con la mia nuova vita.

Per prima cosa pensai che Enrica poteva avere nel suo guardaroba un vestito da sera più adatto, rispetto al mio, alla gran voglia di ballare che mi sentivo in corpo. Ma mentre infilavo la chiave nella serratura di casa sua, ebbi un'illuminazione: prima avevo qualche altra faccenda da sbrigare.

I negozi avrebbero chiuso di lì a poco, e forse ero ancora in tempo a trovare l'edicola aperta. Per organizzarmi la serata mi sarebbe stato utile l'ultimo numero di "Lo Specchio magico", quello per intenderci che avevo letto poco prima dal parrucchiere (se non lo avessi trovato lo avrei chiesto a Gino); nonché almeno una guida ai locali notturni della città. Già che c'ero chiesi al giornalaio se avesse altre riviste che parlavano della Silvestrini. Lui mi trovò poca roba, ma soprattutto, guardandomi a lungo, si convinse che io fossi proprio la Silvestrini: mi chiese un autografo, non mi fece pagare niente e mi diede anche altre riviste in omaggio. Niente male come inizio, pensai.

Ritornato a casa di Enrica la trovai vuota. Misi in carica il suo cellulare e mandai una serie di messaggini al mio numero (e quindi a lei) per ricordarle gli impegni dell'indomani: l'ora della sveglia; cosa mangiano i bambini per colazione; che i bambini dovevano essere accompagnati a scuola pur essendo sabato, spiegandole dove e per che ora, e quando andassero ripresi; ed altre amenità del genere.

Poi mi studiai le riviste che parlavano della Silvestrini: che locali e che persone frequentava, e i suoi gusti. Aiutato dalle foto mi scelsi il vestito più adatto tra quelli di Enrica. Trovai nel suo guardaroba (anzi, a pensarci bene, poteva essere l'armadio della sua amica) anche una specie di pelliccia sintetica nera che mi piacque molto e che insieme ai miei nuovi capelli biondi ed ai miei occhiali da sole, che per fortuna avevo nella borsetta, mi conferivano un aspetto intrigante e misterioso.

Così vestita mi recai, in metropolitana, in centro, al ristorante chic in cui "Lo Specchio Magico" aveva pizzicato la mia sosia qualche sera prima. Mi attendeva, ne ero convinta, una serata speciale, indimenticabile.

"Vorrei un tavolino tranquillo, ma non troppo in disparte: tipo quello che di solito riservate alla signorina Silvestrini, per intenderci."

E dopo aver detto ciò, sorridendo scherzosamente, mi tolsi gli occhiali da sole per farmi riconoscere.

"Oh, mi scusi: è lei! Non l'avevo riconosciuta. Sa, di regola viene da noi sempre il martedì … e così, senza averci avvertiti, ci ha preso un po' alla sprovvista. Ma siamo ben contenti che ci abbia fatto questa improvvisata. Purtroppo temo che il suo solito tavolo sia già occupato. Ne sono davvero dispiaciuto …"

"Oh, non si preoccupi: anche un altro va bene lo stesso."

"Ecco: si accomodi qui. Apparecchio per due, come di consueto?"

"No grazie, stasera sono da sola."

Secondo le riviste avevo già confidato ad alcune mie amiche l'intenzione di sposarmi con … ma lasciamo perdere, pensai, stasera voglio godermi la serata da single, visto che dopo tanto tempo torna ad offrirmisi questa opportunità.

Gli antipasti arrivarono senza che li avessi ordinati. Bello, pensai; ma poi, aprendo il menù per scegliere il seguito, mi impressionai un poco. Valutai che quella sera avrei speso decisamente parecchio. Respinsi subito con fermezza l'idea, balenatami in mente, di tentare di far mettere in conto la mia cena alla Silvestrini: anch'io, come lei, ero una donna autonoma, indipendente e soprattutto onesta, e per fortuna avevo con me la mia carta di credito. In fondo la bella serata meritava un piccolo sacrificio.

Così ragionavo mentre assaggiavo i vari stuzzichini, quando il cameriere venne portando sul mio tavolo un mazzo di rose non indifferente.

"Queste ve li manda quel signore là in fondo con la cravatta rossa."

Perbacco: pensavo che cose del genere accadessero solo nei film! Ma proprio perché sapevo come si sviluppano nei film certe situazioni fui molto brava nel contenere tutto il mio entusiasmo e la mia curiosità, simulando assai bene una certa indifferenza. Il signore dalla cravatta rossa, elegante e maturo, mi fece un cenno per farsi notare, ma io lo degnai soltanto di uno sguardo con la coda dell'occhio, continuando a mangiare con apparente tranquillità. Vincendo il mio istinto, rinunciai ad avvicinarmi all'omaggio floreale per annusarlo intensamente nonché per cercare e leggere il bigliettino che sicuramente l'accompagnava. Se non fosse accaduto nulla nel frattempo avrei fatto sicuramente tutto questo alla fine della cena: tanto quei fiori ormai erano miei, e nessuno me li avrebbe portati via.

Ed infatti non passò molto che il signore in cravatta rossa si presentò al mio tavolo: