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Punita Nella Notte
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Punita Nella Notte

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Punita Nella Notte
Giovanna Esse

Giovanna Esse

Ricordate, la tempesta è una buona opportunità per il pino e per il cipresso per mostrare la loro forza e la loro stabilità. Ho Ci Minh Nota Importante: Le immagini eventualmente adoperate in queste pagine, quando non ne sia specificato l’autore oppure il detentore di eventuali diritti, sono state scaricate da pagine web che, al tempo del download, non mostravano avvisi o divieti di sorta all'utilizzazione da parte di terzi. Si ritiene perciò che siano state pubblicate per la collettiva fruibilità. Laddove sull'immagine compariva un marchio, questo non é stato rimosso. Nel caso che il soggetto detentore di eventuali diritti su dette immagini (autori, soggetti fotografati, editori, eccetera) non desiderasse che appaiano, oppure desiderassero che se ne citi l'autore o la fonte, lo comunichi con una mail (contact) specificando con chiarezza a quale immagine la sua richiesta si riferisce e, questa, verrà tempestivamente esaudita. Ogni riferimento a persone esistenti e da ritenersi completamente casuale. © - Giovanna Esse, 2013, 2017

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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

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Indice

1  Uno (#u6f69e2f5-cd57-5e76-99e0-37ff605f7bfe)

2  Due (#uf27b1173-7d4e-5337-ada0-67d2eb4d66c2)

3  Tre (#uef6cb5b5-e4ce-5133-8991-8f0d4bb34e72)

4  Quattro (#litres_trial_promo)

5  Cinque (#litres_trial_promo)

6  Sei (#litres_trial_promo)

7  Sette (#litres_trial_promo)

8  Otto (#litres_trial_promo)

9  Nove (#litres_trial_promo)

10  Dieci (#litres_trial_promo)

Uno

Nunzio aveva viaggiato tanto e così, da quando stavo con lui, capitava spesso che andassimo fuori; e questo mi piaceva. Conosceva bene l’Europa che, diciamolo, è tutta molto bella.

Ad aprile siamo stati a Vienna: dal mercoledì al sabato. Lui doveva presenziare ad una fiera del suo settore, qualcosa tipo arte e metodi per l’illustrazione e la grafica. Durante il giorno me la svignavo e ne approfittavo per visitare quella stupenda città. A colazione ci si arrangiava, perché poi, la sera, come capita spesso durante questi eventi, ci ritrovavamo a cenare in ottimi ristoranti. Servizio impeccabile, “allure imperiale” e tante cose buone da mangiare. Personalmente mi sono goduta di più le verdure, le patate e il riso, perché il loro modo di trattare la carne ma, soprattutto, l’onnipresente aroma di wurstel, non incontrava molto i miei gusti, tipicamente mediterranei. Poi, devo confessare il mio peccato, cercavo di tenermi leggera, per arrivare affamata a fine pasto. Nunzio mi aveva consigliato di non perdere di vista dolci e budini, ed io ho obbedito ciecamente, perpetrando veri e propri “blitz” nei confronti dei carrelli, ricolmi di pasticceria. Alla chiusura della fiera, invece di rientrare subito in Italia, Nunzio propose che facessimo un salto a Bratislava. Disse che c’era stato di passaggio, tanto tempo prima, e che valeva la pena visitarla. Così, nel primo pomeriggio, partimmo. Una volta arrivati, scoprii che aveva già prenotato una stanza per il sabato notte, in un albergo, dignitoso sì, ma nulla a che vedere con il lusso dei giorni precedenti. Mi chiesi quando Nunzio avesse fatto la prenotazione. Comunque, che importanza aveva? Una volta in camera mi spiegò che aveva preferito un albergo commerciale perchè, quella, era una città particolare. Aveva una zona turistica “disinfettata” e abbastanza stereotipata ma sicuramente non ricca come Vienna; in compenso, qui era molto piacevole mischiarsi tra i giovani e la gente del posto, per frequentare luoghi palpitanti di vita, durante la sera e la notte. Fui subito d’accordo. Sono una ragazza senza troppe pretese e poi, Nunzio, non mi aveva mai delusa, turisticamente parlando. Lungo la strada avevamo mangiato un panino, e appena fatta una doccia, davo per scontato che saremmo andati fuori, ma lui accampò mille scuse e suggerì che restassimo un po’ in albergo a ritemprarci, dopo quei giorni intensi. Non molto convinta accettai comunque la proposta, pensando che, forse, aveva in mente qualche giochino tipico da camera da letto. Non mi sarebbe dispiaciuto, visto che tra cene e impegni, nei giorni precedenti, eravamo rientrati talmente tardi, che mi pareva si fosse dimenticato della mia accogliente “farfallina”. Che delusione provai, quando, dopo avermi abbracciata teneramente, si dedicò con tutto sé stesso, alla ricerca di una pennichella ristoratrice. L’arietta frizzante di aprile e la stanchezza, dopo un attimo di delusione, si impadronirono anche di me e così riposammo, beati, fino alle sette. Uscimmo abbastanza rapidamente per la cena; non sono di quelle che amano perdere troppo tempo davanti allo specchio; la sorte mi ha voluto abbastanza bella e proporzionata, tanto da potermi permettere una vita senza troppi compromessi “estetici”, almeno fin’ora. A trentatré anni le forme però si erano leggermente arrotondate, sui fianchi e sul seno, trasformandomi da snella mannequin a prosperosa modella. I seni erano addirittura passati da una stentata terza ad una prorompente quarta. Il gonfiarsi deciso delle mammelle, dentro una pelle elastica e robusta, faceva sì che, nonostante la dimensione, le mie poppe, fossero sode ed erette anche senza reggiseno, scatenando le fantasie di amici e colleghi. La passione per il trekking mi permetteva di tenermi allenata e tonica, tanto da smaltire quegli eccessi di piacere che, a volte, mi concedevo a tavola. Con Nunzio, raggiungemmo il centro della città; passammo davanti ad un castello imponente ed imboccammo una strada che costeggiava la splendida cattedrale. Poco dopo raggiungemmo un ristorante molto carino, si chiamava: Modrà, credo, e lì mangiammo divinamente. Non dimenticherò mai un piatto molto diverso dai nostri, di cui conservo nostalgicamente la squisitezza: gli halusky. Somigliano agli gnocchi, ma più saporiti e conditi da un sughetto delizioso. Poi prendemmo del gulasch di manzo, profumato dagli aromi e accompagnato da verdure. A ripensare a quel giorno, ancora mi torna l’acquolina e, lo confesso, anche un vuoto, una smania nella pancia: come una corrente sensuale, che mi provoca un brivido caldo, dalla spina dorsale fino alla nuca. Probabilmente collego quei sapori al prosieguo di una notte veramente speciale. - Ma, cazzo, non mi dire che ci siamo fatti duecento chilometri per mangiare? – sbottai, appena rientrati in albergo, ero stufa di quella mollezza nel comportamento di Nunzio. In fondo, erano solo le nove e mezza! Lui mi guardò divertito e disse, con tono misterioso: - E chi ti dice che la serata sia finita? Cambiati, donna di poca fede, che tra un’ora ti porto fuori ... – altro sorrisetto malizioso – E preparati ad una notte brava! – - Ah, volevo ben dire! – gli sorrisi – Siamo vicini alla Transilvania, dopo la mezzanotte, arrivano i Vampiri! – - Erica – disse Nunzio, prendendomi il mento con due dita – dove ti porterò io, i Vampiri, hanno paura a farsi vedere! – concluse con uno spaventevole “Uhuu, uhuuuuu” da lupo mannaro. Intanto si dedicava alla sua valigia da cui, a sorpresa, estrasse dei collant neri pesanti, aperti sotto, per lasciare libera la zona erogena. - Metti questi, la notte fa freddo! – disse. Guardai quelle calze da sexy shop, ero perplessa: - Ma guarda che questi sono contenitivi. – infatti erano molto spesse – Non ho mica le varici?! – - Tu indossali, ragazza e fidati ... del Lupo cattivo! – Preferii non discutere: mi piacciono le sorprese e amo le novità. Lui volle decidere anche del mio abbigliamento e continuò a sorprendermi. Mi fece indossare una mini attillata nera, ed ai piedi dei calzerotti arrotolati e gli scarponi da trekking (li porto sempre con me, non si sa mai). Per l’intimo, decise per me delle mutande nere, enormi, estremamente elastiche, che avevo preso per i giorni peggiori del ciclo. Sopra, un reggiseno a mezza coppa, con il corpetto, che avevo comprato nei saldi. Una sola volta ci avevamo giocato in una nostra “seratina fetish”: però ero certa di non avercelo messo io, in valigia. Subito dopo, altro colpo di scena! Mi “regala” seduta stante, una camicetta a quadretti, di una o forse due misure più piccola rispetto al giro del mio seno. - Questa la può indossare solo la Barbie ... ma come mi hai conciata? – mi guardai allo specchio, schifata – Non penserai che io vada in giro così? Sembro Heidi che va a fare la puttana! - Ma Nunzio mi zittì con un bacio sulle labbra, molto complice: - Amore, te l’ho già detto, la notte qui è speciale e ci sono localini molto particolari. – - Ma non capisco quest’abbigliamento, però. - ribattei - Una donna non dovrebbe essere più carina, la sera ... no? – mi aveva abbastanza smontata e mi sembrava di dover partecipare a una festa di carnevale. Nunzio rise, senza rispondere. Mi rassegnai ad accontentarlo, sperando di non dovermene pentire. Uscendo dalla stanza, controllai davanti allo specchio in quali posizioni, la mini metteva di più in mostra il mio culetto, per starci attenta, non volevo eccedere e mi vergognavo un po’. Appena fuori, ci perdemmo tra lo sciamare dei ragazzi per le stradine della città vecchia. Le undici erano passate da un pezzo.

Due

Quando, camminando spediti tra la folla, mi resi conto che nessuno mi cagava più di tanto, mi sentii comoda e a mio agio, soprattutto grazie ai miei scarponcini, robusti e leggeri.

Con sorprendente dimestichezza, Nunzio infilò un vicoletto laterale, poi raggiungemmo una stradina che, alla fine, ci condusse ad un piccolo cortile, abbastanza fuori mano. Una porticina, sotto una scritta fiocamente illuminata, portava ad una scala, che scendeva al di sotto del livello della strada. Sul cartello di legno, in caratteri al neon, c’era scritto semplicemente: HARD. Due buttafuori, all’ingresso, ci squadrarono, poi ci lasciarono passare, come se ci avessero riconosciuti. Discese le scale, arrivammo in un locale, molto più ampio di quanto avessi potuto immaginare. Sembrava un vecchio magazzeno; i soffitti erano formati da volte a botte, che s’incrociavano su enormi pilastri quadrati. Il rivestimento era a mattoncini rossi, molto vecchi, forse era quello originale; l’arredamento era in legno scuro e anch’esso aveva un aspetto estremamente vissuto ma robusto. Non c’era odore di umido né aria stantia, era vietato fumare, però il calore umano che emanava dai numerosi clienti era tangibile. Notai che qualcuno sorrideva a Nunzio, compreso il barista, un bel ragazzo di colore dalla faccia simpatica. Lui, invece, faceva del suo meglio, per evitare di mettersi troppo in vista, come non volesse farsi notare. - Insomma - gli dissi all’orecchio - qui ti conoscono bene? – Pronto, rispose: - Ma che dici? Manco da questo paese da almeno tre anni. L’ultima volta ci sono stato con degli amici... mi sembrò carino. Qui salutano tutti perchè sono socievoli. – Non aggiunse altro. Sedemmo al bancone, sugli sgabelli. Nunzio ordinò una birra scura, io chiesi un Martini Gold con ghiaccio. Approfittai della sosta per ambientarmi ... c’era gente ma non era proprio pieno, forse era solo troppo presto per le ore “clou” della serata, anzi: della notte. Controllai i proprietari di qualche sguardo insistente che mi sentivo addosso, per cercare di capire l’effetto che facevo sui presenti. Un pizzico di vanità lo devo pur confessare e mi piacque scoprire una punta di apprezzamento e di desiderio in chi mi osservava. Notai anche, non troppa sorpresa, che, a studiarmi, erano sia maschi che femmine. Accavallai le gambe con civetteria, stando bene attenta a non mostrare che razza di mutande indossassi... comunque mi sentivo a mio agio. Era bello constatare che, nonostante l’abbigliamento da gita scolastica, il mio bel corpo non passasse inosservato. Dopotutto, ero ancora giovane e mi tenevo in allenamento, anche per il piacere di sentirmi sana. Pur non essendo altissima, sono un tipo slanciato con un bel culetto in bella vista, che, in ufficio, cercavo di mascherare con le giacche dei tailleur, per non creare disagio o false illusioni. Insomma pur essendo sobria e riservata, non ero una bacchettona, anzi. E questo lato del mio carattere mi piaceva! Nascondere un po’ la mia femminilità, senza ostentare troppo il mio corpo, era un po’ il segreto della mia capacità di sedurre, volendo... ed al momento opportuno. Adoravo donarmi al mio partner, soprattutto le prime volte, quando mi scopriva un poco alla volta, lasciandolo sempre più sorpreso e felice dei miei “doni” erotici e sensuali. Amavo sorprendere insomma ... forse perché, comunque, rappresentava il mio carattere ed il mio desiderio di essere sempre io quella che dirige il gioco. Nel locale c’erano tavolini e panche, la musica era soft, così come le luci. Solo sul fondo, una zona con più luci, sovrastava uno spazio, leggermente sotto livello, quadrato e spoglio, apparentemente deserto. Dopo una decina di minuti, sul bordo prospiciente la zona più illuminata, due ragazze presero posizione l’una di fronte all’altra. Erano vestite entrambe col kimono, quello da lotta giapponese. Tenevano una spada in mano, quasi sicuramente finta. Una era una biondina ma non sembrava slava, forse più inglese, dai tratti. Era leggermente in carne, o solo rotondetta di costituzione, aveva un aspetto abbastanza scialbo, insomma: non era una meraviglia. Di fronte a lei una ragazza orientale, forse giapponese, dal corpo sottile e flessibile come un giunco. Qualcuno presentò le due, in inglese. Una musica ritmata seguiva l’esibizione delle due “gattine”: consisteva in una danza che simulava un combattimento, almeno credo, da lontano non si vedeva troppo bene. Pian piano le combattenti attrassero l’attenzione su di loro, perché sotto ai Kimono erano completamente nude e totalmente depilate. Mentre si esibivano, si vedevano i seni e le parti intime, che facevano capolino, sotto la vestaglia bianca, ad ogni mossa che azzardavano. Le ragazze fingevano anche di tentare di ricomporsi ma era tutta scena, infatti, il loro fingere di trattenere le vesti, non faceva che rendere più eccitante lo spettacolo. Le spade vorticavano nell’aria e colpivano, fermandosi al primo contatto, credo senza fare troppo male. Gli spettatori gongolavano e le incitavano: si fecero più attenti quando le ragazze con mosse abili e rabbiose, iniziarono a spogliarsi ed a bloccarsi tra di loro, mimando pose sempre più sconce. Ci spostammo per metterci più a favore del palco e vidi che le ragazze, nel corpo a corpo, mimavano operazioni sessuali di tipo lesbico. L’atmosfera si faceva calda e notai che molti uomini avevano la patta gonfia, senza preoccuparsi troppo di nascondere la loro erezione. Ma c’erano anche ragazze: alcune si muovevano sui sedili, ancheggiando e toccandosi le gambe, eccitate. Nelle file più nascoste, c’era un vecchio, abbigliato da marinaio, che si masturbava sotto il tavolo. Ne rimasi sbalordita, L’uomo era seduto al limite della panca, le gambe aperte, quasi ad inginocchiarsi sul pavimento, con un avambraccio si sosteneva al tavolaccio su cui era appoggiato, mentre, con la mano libera si mungeva il pene, che era talmente lungo da sembrare finto. Sgomitai Nunzio, esterrefatta, mentre notavo che anche altre ragazze occhieggiavano in direzione di quella scena. - Non ci fare caso – rise Nunzio, come se niente fosse – credo sia solo un attore, fa parte dello show! – - Cosa? – Ero allibita: ma che razza di posto strano era mai quello? Ora le ragazze avevano finito di combattersi e, diciamolo, anche di strusciarsi l’una contro l’altra. Sempre sui bordi di quello spazio vuoto, illuminato, si misero a quattro zampe sotto sopra, da vere contorsioniste. Chi conosceva “il gioco” si avvicinava e leccava, con fervore, le loro parti intime, dilatate e sudate, magari erano anche venute, durante la lunga esibizione. Dopo essersi rifocillati nella figa o nell’ano dilatati, i più audaci gettavano sui loro pancini qualche moneta. Poco dopo le ragazze, ringraziarono, recuperando il denaro e andarono via. Controllai la panca del vecchio sporcaccione: era sparito, di certo Nunzio ci aveva azzeccato. Viste le stranezze che capitavano e la disinvoltura con cui lui le recepiva, ero sempre più convinta che conoscesse bene quel posto. Comunque aveva avuto ragione, quella serata si presentava davvero diversa. Complice il Martini, abbastanza alcolico, mi sentivo allegra e su di giri. Intanto, come avevo giustamente intuito, il locale si affollava man mano che la sera lasciava il posto alla notte.

Tre

Molti dei nuovi arrivati, però, avevano espressioni più determinate, facce più decise, qualcuno dava l’impressione di non essere veramente il ritratto dell’onestà.

Ci spostammo di nuovo e cercammo un tavolino; per fortuna ne trovammo uno ancora vuoto, mentre sul palco, davanti al quadrato, un trans bellissimo, seminudo, il cui pene era coperto solo da un piccola conchiglia, iniziò a cantare in tedesco una canzone molto ritmata. I suoi seni rifatti, invece, erano completamente esposti, sotto un bolerino di tulle nero e trasparente. Se fossero state tette naturali, non avrei potuto che invidiarle con tutta me stessa. Era passata mezzanotte, l’animazione era alle stelle, ogni tanto tra la musica rock ci si accorgeva dello scoppio di qualche alterco, piccole risse senza conseguenze ma che mi misero una certa agitazione. Lo dissi a Nunzio, che mi calmò con una semplice osservazione: - Tesoro, hai fiducia in me? – disse con lo sguardo più ingenuo del mondo – Ti metterei mai in pericolo? Guarda, segui attentamente le mie istruzioni ... - e mi prese per le spalle, facendomi girare in direzione di ciò che dovevo osservare. - Ecco, vedi quei due ragazzoni a destra del palco, nella zona dei bagni? – l’ispezione continuò – E quello, vicino alla porta, con la giacca a strisce? E ce ne sono ancora... sono tutti buttafuori. E’ l’atmosfera del locale. Ma non temere, nessuno entra armato, niente coltelli. E’ uno stile. Come una serata a tema. Poi se qualcuno vuole misurarsi, si può recare su quel quadrato e risolvere la questione, dando anche spettacolo. Ma nessuno si fa male, tranquilla. – “Sarà” pensai tra me e me, ma le facce da galera che erano arrivate negli ultimi minuti, mi rendevano un po’ perplessa. Nunzio mi disse cha sarebbe andato a prendere da bere. Mi lamentai: perché non chiedere ad una cameriera? Ma lui si era già perduto nella calca. Pochi minuti dopo, tre ragazze, che sembravano sul brillo, sedettero al nostro tavolo, senza nemmeno chiedere permesso. Una, grossa e puzzolente di sudore, si mise proprio al mio fianco, al posto dove era seduto Nunzio. Mi diede solo una brevissima occhiata, quasi disgustata, poi mi lasciò perdere. Non me la sentii di protestare, anche perché non conoscevo una parola della loro lingua complicata. “Andiamo bene”, pensai tra me. Una delle due ragazze sedute di fronte mi guardò, come se si accorgesse solo allora della mia esistenza. Smise di parlottare sguaiatamente con le sue amiche e si rivolse a me: - Si può sapere cosa tu hai da guardare? – Io sussultai. La ragazza parlava italiano, come lo parlano le badanti: aveva capito subito da dove venivo. - Ah, bene, lei parla italiano. – risposi – volevo solo dire che il posto, questo al mio fianco, è occupato dal mio ragazzo ... è solo andato via, un attimo. – Fui contenta di poterle avvisare che ero accompagnata. Avevo paura che quelle tre iene mi mangiassero in un sol boccone. La donna mi squadrò, poi, come se non avessi nemmeno aperto bocca, ritornò a discutere animatamente con le altre. Intanto arrivò la cameriera con tre birre in barattolo e, alle sue spalle, Nunzio con i nostri bicchieri, colmi di Coca Cola. - Ehi, visto? - dissi indispettita alla ragazza che parlava italiano – lui è il mio ragazzo! - Quella senza mai guardarmi, disse qualcosa alle altre, e tutte e tre sbottarono a ridere in modo volgare. Guardarono Nunzio e lui sorrise ... come un perfetto idiota: - Bene – disse in italiano Nunzio - abbiamo compagnia! - prese per un braccio la cameriera e pagò anche le birre di quelle tre stronze. - Ma che fai? – ci rimasi di stucco. - Questo è tuo uomo? – disse la “badante”, poi, rivolta alle altre – E’ un bello ragazzo, si può sedere! – E di nuovo giù, a ridere. Quell’imbecille di Nunzio, intanto, invece di portarmi via, se la rideva, come se non aspettasse altro che fare amicizia con quelle tre volgaracce. La donna che si era piazzata al mio fianco era la più grossa, di fisico e di età, dimostrava circa trentacinque anni. Lineamenti da russa e col mento pronunciato di un bulldog. Fece un sorriso a Nunzio che sembrava più una smorfia, e si spostò verso di me, col suo grosso culo bolscevico. A furia di spingere e di ignorarmi, la stronza finì per farmi cadere dalla panca, con un ultimo colpo secco. Lo fece apposta. Impreparata, finii col sedere a terra in una posizione così discinta che si videro in bella mostra, le mie collant a reggicalze e le mie mutande da educanda. L’abbigliamento e la posizione suscitarono il ridicolo su di me, mettendomi improvvisamente in forte imbarazzo. La culona improvvisò per l’occasione una sceneggiata che mi fece andare ancor più fuori di testa. Fece un panegirico ad alta voce, fingendo di rivolgersi alle amiche, ma che tutti poterono sentire, infatti commentarono con risatine compiaciute il suo show. Dopo aver fatto la stupida, la ragazza si alzò dalla panca e abbozzando un inchino di scuse, mi porse la mano per aiutarmi ad uscire da quella imbarazzante posizione. Confusa e stupita, ci cascai ... e le diedi la mano. Arrivata a mezz’aria, la troia mi lasciò di botto, facendomi ruzzolare peggio di prima sul pavimento, impacciata dalle scarpe da montagna. Le risate di quella massa di ignoranti arrivarono alle stelle. Nunzio, intanto, seguiva la scena con una faccia da stronzo ed un’espressione divertita. Ormai non pensavo più a lui, un velo rosso calò sui miei occhi. La russa si voltava in giro, mimando degli inchini e raccogliendo gli applausi degli amici: l’atmosfera si era surriscaldata. Non ci vidi più, umiliata e arrabbiata, da terra dove mi trovavo, facendo leva sui gomiti scalciai verso l’alto, alla cieca; fatto sta che, la russa, prese un bella pedata, di pianta, nel culo e fece un balzo in avanti. Non credo di averle fatto male ma di certo si adirò come una scimmia. Dopo la sorpresa, forse finta e un po’ esagerata, ripensandoci, la ragazzona mi fu addosso in un attimo e abbassò talmente il viso sul mio che mi uccise solo con l’alito puzzolente intriso di birra. Raccolsi le mani al viso, convinta che mi menasse ma lei si limitò a prendermi per la camicetta, all’altezza del petto; con la sua forza mi sollevò quasi dal pavimento, poi, sciorinò sul mio volto una litania di offese. Non capii una sola parola ma, in compenso, venni subissata dagli spruzzi di saliva che riversava dalle labbra carnose. Un attimo dopo, invece di continuare quella che sarebbe potuta diventare una vera rissa, si rimise in piedi e con espressione disgustata, si allontanò dalla mia vista. Incredibile! Tirai un sospiro di sollievo, l’avevamo scampata bella: la serata poteva finire veramente male. Fortunatamente la gente che frequentava quel locale era meno aggressiva di quanto avessi temuto. Mi alzai, aiutata da Nunzio che, finalmente, sembrava meno ebete e più preoccupato. Una volta in piedi, però, mentre mi davo una spolverata alle mutande, visto che ormai la mia lingèrie era diventata di dominio pubblico, mi accorsi che qualcosa non andava. Nel locale era caduto un silenzio pregno di aspettativa e tutti gli occhi erano puntati su di noi. Sottovoce, per non dare nell’occhio, sussurrai al mio ragazzo: - Ma ... che c’è ancora, mica saranno razzisti? Perché ci guardano come fenomeni da baraccone? – cominciavo a preoccuparmi più di prima – credo sia meglio se ce ne andiamo ... – - Ehm, amore, non credo sia così semplice... – disse Nunzio abbastanza impacciato – vedi, la ragazza di prima, quella a cui hai dato un calcio ... – Lo guardai allucinata, mi sembrava che anche lui parlasse slavo, visto che non riuscivo a comprendere cosa diavolo volesse dire: - Insomma, quella, – continuò lui con sguardo timoroso – ecco ... lei, ti ha lanciato una sfida! – - Sfidata? – a quel punto ero veramente nel pallone – Che cazzo vuol dire... quale sfida? Ma io chiamo la Polizia, qui siete tutti matti... – divenni veramente furiosa. Ora ce l’avevo anche con quel coglione di Nunzio; a un tratto lo sentii estraneo, lontano. Dopotutto, la nostra non era una storia d’amore... quindi tra noi, a parte l’amicizia e una buona intesa sessuale, non c’era altro. Lui mi fece segno di calmarmi ma io non ne volevo sapere, la mia mentalità “estremamente civile” poteva pure accettare una litigata improvvisa ma una sfida no... che roba. Cose da terzo mondo, da ghetto: trovavo quell’idea repellente, assurda. Mi girai per uscire, dandomi un contegno di superiorità ma alle mie spalle trovai i due buttafuori di prima... deglutii per la paura. Quelli non erano “ragazze”. Avevano le braccia conserte e l’espressione decisa, ognuna delle loro mani era grossa come il mio avambraccio. L’attesa della gente era palpabile e, forse era solo un mia impressione, ma mi sembravano, tutti, un po’ sull’incazzato. Ulteriore disappunto mi nasceva dal fatto che, quel maledetto locale, si riempiva nella notte, invece che svuotarsi. Una sensazione di irrealtà mi prese e mi girò la testa, chiusi un attimo gli occhi per cercare di riprendermi. Nunzio si frappose tra me e i due buttafuori, fece segno di prendere tempo, e quelli sembrarono ammansirsi. - Gioia, purtroppo è andata così ... mi spiace – disse piano – ma conosco questa gente, non ci mollano. Devi batterti con quella, credimi è la cosa migliore ... solo in questo modo ce la caveremo senza danni. – Strinsi gli occhi in una espressione di odio e di rabbia cieca. D’improvviso la situazione mi crollò addosso in tutta la sua drammaticità. Fu come quando, in un incubo, l’ambiente familiare che ti circonda, all’improvviso, diventa terrorizzante e ostile. Provai paura. In pochi minuti ero piombata dalla certezza pacata della civiltà al fondo della barbarie... ecco perché ci avevo messo tanto a razionalizzare quella situazione. Mi ritrovavo a miglia e miglia da casa, in un locale malfamato, nel bel mezzo di un quartiere malavitoso di una città straniera e sconosciuta. Il top, insomma! Con me c’era un’eccellente illustratore pubblicitario milanese, abbastanza fighetto da sembrare una checca giuliva in mezzo a quella gente: già le femmine, erano più virili e violente di lui. L’adrenalina si scaricò nel mio corpo e mi donò una certa lucidità... quantomeno mi aiutò a ritornare con i piedi per terra. Non ce l’avevo con Nunzio, se non per avere sbagliato locale; ormai avevo capito che su di lui non potevo contare... era del tutto inadeguato alla situazione. L’ombra di un dubbio mi sfiorò la mente: il mio uomo, dopotutto, non era un imbecille. Ma il pericolo era così incombente, che non potevo permettermi di crogiolarmi nelle riflessioni. - Che devo fare? – chiesi, visto che, comunque, lui qualche parola biascicava di quella lingua tagliente – Dobbiamo prendere tempo... per cercare di scappare. – - Tesoro, sono le tre di notte – disse – dove credi che arriveremmo? Ascoltami, io ci sono già stato in questi posti: stai al gioco! Queste risse sono più una scaramuccia di pose, una specie di balletto ... ma non credo che raggiungano mai fasi violente. – - Mi aiuti molto, sai? – dissi piena di sarcasmo – Ma insomma, che cazzo vogliono? – - La grassona ti ha sfidato, adesso io provo a chiarire la cosa... ma ti prego non essere troppo preoccupata, per loro è uno spettacolo, una forma di bullismo... – Che spiegazione confortante, maledetto lui e quel locale pieno di matti.


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