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“Parigi – rispose laconicamente William.
“Oh, davvero? – esclamò Asher, marchese di Seabrook – Andate a fare conquiste?”
William ridacchiò: “Beh…più o meno. Devo recarmi presso un ospedale da campo, dove ho conosciuto un’infermiera per cui…provo dei sentimenti, anche se mi riesce difficile farvene partecipi.”
“Ciò può interessare solo Ash – intervenne Julian – Personalmente, non mi attirano molto le infermiere da campo. Allora, buon viaggio, amico mio. Vi accompagnerei volentieri, ma purtroppo devo assicurarmi che questo pazzo rimanga vivo, fintanto che sarete via. Sapete che si mette sempre nei guai!”
William annuì. “Se avrete bisogno di me…” “Sapremo come trovarvi – lo interruppe Julian – Correte dalla vostra infermiera! Presto sarà Natale, e mi auguro che questa pazza guerra finisca prima. Avrei cose più gradevoli da fare, che farmi ammazzare!”
William si trattenne dal chiedergli cosa provasse realmente l’amico per sua sorella. L’amava? Ma convenne con se stesso che non era il momento per queste confidenze. Magari, quando fosse tornato da Parigi…Julian era un brav’uomo e, in circostanze più favorevoli, avrebbe gradito il suo corteggiamento a Brianne. Ma, fintanto che fosse durata la guerra, era sua intenzione tenerlo il più possibile lontano da lei. In cuor suo si sentiva tremendamente egoista, per il fatto che lui andava a trovare Victoria e nel contempo negasse la stessa possibilità all’amico. Negli ultimi tempi, gli era sembrato più malinconico. Aveva perso la goliardia di una volta! A William sarebbe piaciuto che Julian si confidasse con lui, ma non voleva forzarlo. Avrebbe atteso che fosse l’amico a farlo.
Si mise a camminare di buona lena, senza soffermarsi un attimo a riflettere sui pericoli che stava correndo. Aveva un unico pensiero in mente: rivedere Victoria!
“Alt! – urlò una voce maschile in Tedesco alle sue spalle. William imprecò mentalmente. Era una maledetta sfortuna, per via dell’uniforme Francese che indossava. E ormai si trovava a una sola ora e mezza dall’ospedale da campo.
Alzò le braccia in segno di resa e si voltò lentamente, fino a incrociare lo sguardo della sentinella Tedesca, che gli stava puntando un’arma all’altezza del cuore. “Mi auguro non vogliate spararmi proprio oggi.” disse piano all’uomo, cercando di fare leva sul suo humor Britannico.
Ma quello continuò con frasi dichiaratamente minacciose. William non capiva quasi niente di ciò che l’uomo stava dicendo. Julian era molto più bravo di lui come interprete. Per questo William aveva preferito non lasciare la Francia: masticava molto meglio il Francese e l’Italiano che il Tedesco. Se fosse vissuto, avrebbe dovuto rispolverare la lingua teutonica.
“Non capisco una parola! – provò a spiegare al soldato, e fece un passo verso di lui. L’altro gridò per tenerlo indietro e William provò a prenderlo in contropiede, avventandosi sulla pistola che il Tedesco teneva ancora puntata contro di lui, cercando di sfilargliela dalla mano. Colluttarono per un attimo, e poi uno sparo fuoriuscì dall’arma. William pensò che così avrebbe attirato altri soldati e tentò il tutto per tutto. Diede una gomitata nello stomaco del soldato e si chinò ad afferrare la pistola, che era caduta per terra.
La sentinella tirò fuori un coltello e si lanciò su William, ma non fu abbastanza veloce e lo colpì solo di striscio ad un fianco. William gemette per il dolore e gli sferrò un violento pugno sulla faccia. L’uomo cadde a terra, e William continuò a massacrarlo di pugni e di calci, finché quello roteò gli occhi e perse conoscenza. Con un sospiro di sollievo, William iniziò a correre per nascondersi nella boscaglia, cercando di mettere quanta più distanza tra lui e il Tedesco.
Non appena capì di essere fuori pericolo, rallentò la sua corsa e si rimise in cammino in direzione dell’ospedale. Era ferito, ma non se ne curò. Quando avesse riabbracciato Victoria, ci avrebbe pensato lei a curarlo!
Una volta arrivato, William si avviò zoppicando verso la tenda dove l’ultima volta aveva lasciato Victoria. Erano già passati sette mesi, da allora, e non desiderava altro che stringerla tra le braccia. Quando era stata la sua infermiera, lo aveva curato con amore, arrivando addirittura a rimproverarlo perché si era fatto sparare. Era meravigliosa, e lui era pazzo di lei! Ma sicuramente Victoria non sarebbe stata contenta di vederlo tornare di nuovo ferito.
A volte si pentiva di essersi arruolato, soprattutto perché il suo Paese non era ancora entrato in guerra. Ma era fermamente convinto che ormai era solo questione di tempo e anche l’America si sarebbe fatta coinvolgere: e allora lui voleva essere già al suo posto. Sentiva che era suo dovere contribuire per la pace nel mondo, e voleva fare la sua parte.
Victoria uscì dalla tenda, avvolta in una rozza coperta di lana; rabbrividì per il freddo e si strofinò le mani. I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti in una treccia, che le ricadeva giù per la schiena. Non lo aveva ancora visto. William si avvicinò a lei da dietro, e lei si stropicciò gli occhi, come non credendo a ciò che vedeva. “William? – esclamò. Subito si avventò su di lui e lo strinse forte a sé. “Perché non mi avete avvertito del vostro arrivo?”
“Fino a ieri non ero sicuro che ce l’avrei fatta, e volevo farvi una sorpresa – rispose lui, gemendo di dolore al suo abbraccio. La ferita sul fianco gli doleva da matti!
“Che c’è? – esclamò Victoria sorpresa e facendo un passo indietro. Poi, notando il dolore negli occhi dell’uomo provò ad aprirgli il cappotto. “Fatemi vedere!” Subito notò che ormai il sangue aveva completamente inzuppato a camicia di William, che era tutta rossa. Lei sospirò. “Ma perché arrivate da me sempre ferito?”
“Non era mia intenzione, ve lo assicuro – provò a sorridere lui – Ma una sentinella Tedesca mi ha sorpreso nel bosco, cercando di trattenermi. Ho provato a fargli capire che dovevo assolutamente vedervi, ma purtroppo quello insisteva nel tenermi lì…Perdonate il mio aspetto; non era certo così che volevo presentarmi a voi…- cercò di scherzare William.
“Venite con me – disse Victoria, prendendolo per mano – Vi medicherò per l’ennesima volta e mi racconterete cosa avete fatto negli ultimi mesi.”
Entrarono in tenda e lei lo condusse in un angolo appartato sul retro. Gli disse di stendersi su uno dei lettini e andò a prendere il necessario per medicare. “Toglietevi cappotto e camicia: devo dare un’occhiata alla ferita.”
“Non sarà un pretesto per vedermi nudo? – cercò ancora di scherzare lui. Victoria lo fulminò con lo sguardo. “Come potete scherzare, in una situazione come questa? – esclamò. Lui si sentì toccato.
“Perdonate – mormorò – cercavo solo di sdrammatizzare un po’. Ma si vedeva che era sofferente. Non appena Victoria lo toccò per disinfettare la ferita, urlò per il dolore.
“Mi dispiace, ma devo farlo – disse lei – Comunque siete fortunato: la ferita non è profonda e non c’è bisogno di suturarla. Ora vi fascerò per bene e sarete in condizioni di rimettervi in cammino.”
Continuò a medicarlo, ma questa volta un lungo silenzio scese tra loro. Quando ebbe finito, Victoria si lavò le mani in una bacinella d’acqua già pronta. “Rimarrete qui a lungo? – gli chiese.
Lui sussultò: perché quella domanda? “Volete che me ne vada?”
Lei distolse lo sguardo. “Non intendevo questo…- mormorò.
Lui si alzò di scatto e la prese tra le braccia. Lei appoggiò la testa sul suo petto. La sua intenzione era quella di darle conforto, e capì che quell’abbraccio era esattamente quello che lei aspettava. Anche per lui era così: sopra ogni cosa voleva farle capire che temeva per lei e non desiderava altro che stesse bene e al sicuro. “=h, mia cara – le sussurrò tra i capelli – Cosa posso fare per voi?”
“Lo state già facendo – rispose lei, senza staccarsi dal suo abbraccio – Ma ora, finite di vestirsi.” Si staccò da lui e lo guardò. “Avete qualcosa per cambiarvi?”
“Purtroppo no. Ma una camicia insanguinata non sarà la fine del mondo. Quando tornerò dai miei compagni mi cambierò.” Non era convinto di riuscirci, ma nascose questi tristi pensieri a Victoria. “Ora venite, camminiamo un po’.”
“Sì. – mormorò lei. Infilò la sua mano nella sua e insieme uscirono dalla tenda, dirigendosi verso il bosco. Faceva freddo, ma lei quasi non lo sentiva: era con William, il suo amore, ed era tutto ciò che voleva.
Trascorsero insieme varie ore, e William quasi parve dimenticare che erano in guerra, che era stato ferito e che presto sarebbe dovuto ripartire. Lei era la molla che lo spingeva a continuare a combattere e non bramava altro che la guerra finisse, e di poter vivere con lei per sempre.
Capitolo Terzo
Febbraio 1916
Scendendo dal treno, Victoria emise un profondo sospiro. Finalmente era a Parigi! Ne aveva abbastanza, ormai, di ospedali da campo. Non sapeva cosa aspettarsi, da un ospedale civile, ma almeno non sarebbe stata costretta a camminare nel fango! Sicuramente, la sua salute ne avrebbe risentito positivamente. Anche se non pioveva più così spesso da ridurre a fango il terreno. Quell’esperienza le si era fissata nella testa: cominciava a provare una forte avversione per quel miscuglio di letame e sporcizia che aveva dovuto sopportare costantemente sotto i piedi!
Salì sulla banchina. Era un miracolo che i Tedeschi non avessero ancora bombardato la ferrovia. Per tutto il viaggio non aveva fatto altro che temere una simile eventualità, e il terrore di doversela fare a piedi. Almeno così non era stata costretta a scarpinare per mezza Parigi.
Infilò una mano nella tasca del cappotto, per sincerarsi di avere ancora quel fascio di lettere: forse avrebbe dovuto distruggerle, ma era tutto ciò che le era rimasto di William. Ormai riuscivano a scriversi raramente e con lunghi intervalli. A volte la corrispondenza non arrivava, o magari William cambiava residenza. Ma lui cercava sempre di scriverle. Victoria non faceva che stare in ansia per lui, e aveva una tremenda paura di non rivederlo più. Tremando, rimise le lettere in tasca. Avrebbe voluto sedersi da qualche parte e rileggere le sue parole, ma cercò di controllarsi. Non era quello il momento di perdersi nei ricordi. A lei succedeva spesso, leggendo le lettere, ma era una brutta abitudine che doveva assolutamente perdere.
Cercò di pensare ad altro e si concentrò sulla stazione. La cosa importante, ora, era arrivare all’ospedale e smetterla di crogiolarsi nei ricordi. Aveva solo un baule a cui pensare. Aveva fatto piazza pulita di tutto il superfluo e di ciò che era ormai troppo consumato per poterlo usare. Così il suo bagaglio si era ridotto ad un’unica valigia in cui teneva le ultime tre divise che le erano rimaste, e qualche effetto personale. Sperava di trovare qualcuno a Parigi in grado di cucirgliene almeno un’altra. Allungò il passo e si diresse di buona lena verso l’uscita della stazione, sperando di buttarsi il passato alle spalle.
Come Dio volle, riuscì a trovare l’ospedale e finalmente vi entrò. Nessuno fece caso a lei le chiese chi fosse. Tutti correvano affannosamente di qua e di là, impegnati in qualcosa da fare. Victoria alzò una mano, cercando di farsi notare, ma nessuno le prestò attenzione. Lei sospirò e si diresse verso l’ala principale della struttura. Sembrava stesse per scoppiare: le stanze erano piene zeppe di feriti, e medici e infermieri si muovevano alacremente sui malati.
Una donna dai capelli rosso rame raccolti in un severo chignon le si avvicinò. Aveva gli occhi rossi e gonfi per la stanchezza. “Chi siete?” chiese.
“Sono l’infermiera Grant e sono stata assegnata a quest’ospedale – rispose lei.
La donna sospirò: “Grazie a Dio! Non potevate arrivare in un momento migliore! E’ arrivato da poco un altro carico di feriti e non sappiamo davvero dove mettere le mani!” Indicò le stanze con uno stanco gesto. “I medici li stanno visitando e bisognerà prendersi cura di loro.” Sorrise alla nuova arrivata. “Io sono Catherine Langdon. Venite, vi faccio vedere dove riporre i vostri bagagli. Così potrete cambiarvi e venire subito ad aiutarci.”
“Certo – esclamò Victoria – Sono qui per questo. Non sopporterei l’idea di dovermi riposare mentre tutti voi vi affannate sui feriti! Lasciate che mi cambi e sarò subito da voi!”
Victoria fu di parola. Una volta indossata l’uniforme e riposti i suoi bagagli, andò subito in sala, dove i medici stavano lavorando. Era quasi felice di essere così impegnata: era diventata crocerossina proprio per sentirsi utile, non certo per perdere il sonno su una storia d’amore!
Aprile 1916
Victoria si era subito inserita a pieno ritmo nell’ospedale, ben felice di non dover più sopportare il fango e la sporcizia dei piccoli ospedali da campo. Inoltre, si era molto affezionata al gatto di Catherine Langdon, che si chiamava Merlino…anche se non lo aveva mai confessato alla collega. In realtà, pensava che gli animali non dovessero circolare liberamente nei reparti, ma quel gatto aveva qualcosa di speciale. Era tutto nero ma, sotto al mento, aveva dei peli grigi che somigliavano ad una barba, proprio come nelle icone del leggendario Mago! Quella specie di barba lo facevano diventare quasi imponente. Comunque sia, era una creatura strana: Victoria si diceva spesso che forse era davvero la reincarnazione di Merlino!
Ma non aveva tanto tempo per pensarci. Anche Catherine era un po’ strana, un po’ strega. Talvolta le diceva cose senza senso, che poi si avveravano, quasi potesse leggere nel destino delle persone. A Victoria faceva quasi paura. Spesso avrebbe voluta chiamarla in disparte e chiederle se aveva delle sensazioni su di lei…ma poi lasciava perdere, timorosa di sapere cosa il destino le riservasse.
Per fortuna, quella giornata era cominciata bene; l’ospedale era ben gestito e molti feriti erano tornati già a casa. Victoria aveva un paio d’ore libere da dedicare a se stessa, cosa che non le capitava a…beh, da così tanto tempo che quasi le sembrava strana una tale libertà. Aveva deciso di fare una passeggiata per Parigi, a godersi la città e la mite aria primaverile. Ignorava se in futuro avrebbe avuto altre occasioni per farlo. La sua mente corse subito a William : chissà dov’era e cosa stava facendo in quel momento!
“Victoria!” Qualcuno urlò il suo nome. Si voltò e vide William che correva verso di lei. Era in abiti civili e lei stentò a riconoscerlo. Sembrava un gentiluomo qualsiasi, vestito a quel modo.
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