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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке
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La Divina commedia / Божественная комедия. Книга для чтения на итальянском языке

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dinanzi polveroso va superbo,
e fa fuggir le fiere e li pastori.


Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo
del viso su per quella schiuma antica
per indi ove quel fummo è più acerbo».


Come le rane innanzi a la nimica
biscia per l’acqua si dileguan tutte,
fin ch’a la terra ciascuna s’abbica,


vid’ io più di mille anime distrutte
fuggir così dinanzi ad un ch’al passo
passava Stige con le piante asciutte.


Dal volto rimovea quell’ aere grasso,
menando la sinistra innanzi spesso;
e sol di quell’ angoscia parea lasso.


Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo,
e volsimi al maestro; e quei fé segno
ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso.


Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne a la porta e con una verghetta
l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno.


«O cacciati del ciel, gente dispetta»,
cominciò elli in su l’orribil soglia,
«ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta?


Perché recalcitrate a quella voglia
a cui non puote il fin mai esser mozzo,
e che più volte v’ha cresciuta doglia?


Che giova ne le fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo».


Poi si rivolse per la strada lorda,
e non fé motto a noi, ma fé sembiante
d’omo cui altra cura stringa e morda


che quella di colui che li è davante;
e noi movemmo i piedi inver’ la terra,
sicuri appresso le parole sante.


Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra;
e io, ch’avea di riguardar disio
la condizion che tal fortezza serra,


com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio:
e veggio ad ogne man grande campagna,
piena di duolo e di tormento rio.


Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com’ a Pola, presso del Carnaro
ch’Italia chiude e suoi termini bagna,


fanno i sepulcri tutt’ il loco varo,
così facevan quivi d’ogne parte,
salvo che ’l modo v’era più amaro;


ché tra li avelli fiamme erano sparte,
per le quali eran sì del tutto accesi,
che ferro più non chiede verun’ arte.


Tutti li lor coperchi eran sospesi,
e fuor n’uscivan sì duri lamenti,
che ben parean di miseri e d’offesi.


E io: «Maestro, quai son quelle genti
che, seppellite dentro da quell’ arche,
si fan sentir coi sospiri dolenti?».


E quelli a me: «Qui son li eresiarche
con lor seguaci, d’ogne setta, e molto
più che non credi son le tombe carche.


Simile qui con simile è sepolto,
e i monimenti son più e men caldi».
E poi ch’a la man destra si fu vòlto,


passammo tra i martìri e li alti spaldi.

Canto X

Ora sen va per un secreto calle,
tra ’l muro de la terra e li martìri,
lo mio maestro, e io dopo le spalle.


«O virtù somma, che per li empi giri
mi volvi», cominciai, «com’ a te piace,
parlami, e sodisfammi a’ miei disiri.


La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? già son levati
tutt’ i coperchi, e nessun guardia face».


E quelli a me: «Tutti saran serrati
quando di Iosafàt qui torneranno
coi corpi che là sù hanno lasciati.


Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che l’anima col corpo morta fanno.


Però a la dimanda che mi faci
quinc’ entro satisfatto sarà tosto,
e al disio ancor che tu mi taci».


E io: «Buon duca, non tegno riposto
a te mio cuor se non per dicer poco,
e tu m’hai non pur mo a ciò disposto».


«O Tosco che per la città del foco
vivo ten vai così parlando onesto,
piacciati di restare in questo loco.


La tua loquela ti fa manifesto
di quella nobil patria natio,
a la qual forse fui troppo molesto».


Subitamente questo suono uscìo
d’una de l’arche; però m’accostai,
temendo, un poco più al duca mio.


Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto ’l vedrai».


Io avea già il mio viso nel suo fitto;
ed el s’ergea col petto e con la fronte
com’ avesse l’inferno a gran dispitto.


E l’animose man del duca e pronte
mi pinser tra le sepulture a lui,
dicendo: «Le parole tue sien conte».


Com’ io al piè de la sua tomba fui,
guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso,
mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?».


Io ch’era d’ubidir disideroso,
non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi;
ond’ ei levò le ciglia un poco in suso;


poi disse: «Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fiate li dispersi».


«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte»,
rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fiata;
ma i vostri non appreser ben quell’ arte».


Allor surse a la vista scoperchiata
un’ombra, lungo questa, infino al mento:
credo che s’era in ginocchie levata.


Dintorno mi guardò, come talento
avesse di veder s’altri era meco;